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Su "Patria e Costituzione"
di Gianpasquale Santomassimo
Qui di seguito, autorizzati dall'autore che ringraziamo, il testo della relazione del prof. Gianpasquale Santomassimo (già docente di storia presso l'Università di Siena) per "Patria e Costituzione"
Ci troviamo probabilmente all’interno di una vera e propria rivolta popolare in atto nel continente. Che si esprime nelle forme pacifiche di un sommovimento elettorale e che tende ad assumere, per la disastrosa politica delle sinistre tradizionali, una forte connotazione di destra, dal punto di vista politico e culturale.
E’ un esito che non giunge per la verità inatteso, che viene dopo un quarto di secolo di impoverimento costante, di erosione tangibile delle garanzie dello stato sociale, di stagnazione permanente e di perdita di prospettive credibili per le generazioni più giovani. Assistiamo a una gigantesca sostituzione di rappresentanza sociale, che vede i ceti popolari cercare spesso a destra protezione e sicurezza (sicurezza che è una dimensione globale, che significa in primo luogo sicurezza del lavoro e nel lavoro, sicurezza sul terreno della salute e dell’assistenza, e che solo in ultima analisi significa anche tutela dell’ordine pubblico). Una inversione di ruoli e di rappresentanza di ceti e di stili di vita, raffigurato plasticamente da tutte le analisi del voto degli ultimi anni, che hanno contrapposto benestanti soddisfatti dei centri cittadini a popolo delle periferie che esprimeva un bisogno al tempo stesso di ribellione e di protezione. E lasciando alla sinistra la rappresentanza di un ceto medio più o meno riflessivo, fatto di benestanti soddisfatti degli esiti provvisori della globalizzazione e dei diritti civili acquisiti.
Ma quel segno prevalente di destra non è univoco: dove esiste una nuova sinistra degna di questo nome, essa prende le distanze dai miti dell’ultimo trentennio e partecipa in forma autonoma alla lotta contro l’establishment europeo. Anche dalla sua capacità di incidere dipenderanno gli esiti finali di questo processo.
La sinistra italiana purtroppo non fa parte di questo quadro.
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Libia-Siria: per chi tifano, per chi tifare
di Fulvio Grimaldi
Amici, anche stavolta siamo lunghi. Perdono. Comunque per 15 giorni sono fuori e, dunque, c’è tempo per piano piano farcela. Se credete
Diciamocelo: che bravi governanti sono quelli di Al Qaida e Isis!
Per chi tifano in Siria quelli là (non fatemeli nominare sennò Facebook mi banna e cancella il post) non è difficile saperlo: basta leggere il “New York Times”, standard aureo del giornalismo perennemente degno dei riconoscimenti, se non di Pulitzer, di Reporters Sans Frontières (il corrispettivo mediatico di Medicins Sans Frontières e altrettanto cari a quelli là). Se pensavamo che nella provincia nord-occidentale di Idlib si fossero concentrati, accolti, nutriti e armati dai vecchi padrini turchi, tutti i tagliagole Isis e Al Qaida generosamente fatti evacuare dai territori e dalle città da loro abbellite con croci appesantite da infedeli, o con pelli di corpi scuoiati di dissidenti, la lettura del “New York Times” ci libera dall’intossicazione di simili fake news.
L’autorevole giornale che, se non fosse stato per l’assist della CNN, dei media di obbedienza atlantista con, nel nostro piccolo, il “manifesto”, ci avrebbe con le sue sole penne liberato da Milosevic, Saddam, Gheddafi, Assad e dai Taliban, rettifica quella che finora e per troppo tempo, quasi otto anni, è stata un’informazione falsa, bugiarda, truffaldina. Assad, con quegli hackers e troll delle ingerenze urbi et orbi russe, con quegli spiritati di flagellanti sciti, iraniani e hezbollah, voleva farci credere, col supporto di chilometri di audiovisivi fabbricati, raffiguranti giustizieri cha spellavano vivi innocenti, li incendiavano, o li annegavano in gabbie o li crocifiggevano, o ne sposavano a ore le donne, che il suo paese era stato invaaso, non da oppositori democratici assistiti dalla “comunità internazionale”, bensì da un branco di ossessi islamisti attivati da una “comunità internazionale” in preda a psicopatia stragista. Come pretendeva fosse successo in Libia e, poi di nuovo, in Iraq.
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Un socialismo possibile. Per aprire un dibattito - parte I
di Gianbattista Cadoppi
All’amico, compagno e maestro Domenico Losurdo[1].
Considerazioni sui sistemi socialisti in URSS, Est Europa e Cina
La formazione della teoria del socialismo alla cinese ha usato proprio il marxismo come linea di guida, facendo un bilancio dell’esperienza e delle lezioni dell’Unione Sovietica e dei paesi dell’Est europeo, e anche della stessa esperienza di costruzione del socialismo in Cina nel periodo ‘49-’78, prendendole come base per la formazione di questa teoria.
Huang Hua Guang, responsabile per l’Europa Occidentale del Dipartimento Esteri del Partito Comunista Cinese (Ceccotti, 2010)
Il socialismo marxista differisce da altre impostazioni di tipo sociale come il fabianesimo[2] inglese che rifiutano il capitalismo esclusivamente per ragioni etiche. Il socialismo marxista dovrebbe superare i sistemi precedenti anche, e soprattutto, in termini di razionalità economica.
Nel marxismo la superiorità etica del socialismo va di pari passo con la sua superiorità economica. L’emancipazione umana nel socialismo diventa una premessa per liberare le forze produttive da obsoleti rapporti di produzione che devono essere superati per l’emancipazione dell’umanità. Tutto ruota attorno ai rapporti di produzione. In altre parole, la proprietà sociale dei mezzi di produzione dovrebbe garantire a ogni membro della società il diritto di un accesso equo alle decisioni concernenti il modo in cui i mezzi di produzione vengono impiegati e al modo in cui i frutti di tale impiego sono distribuiti. La proprietà sociale dovrebbe stabilire un rapporto adeguato tra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione. La socializzazione dei mezzi di produzione renderebbe il lavoro direttamente sociale giacché nel capitalismo lo è solo indirettamente essendo mediato dal profitto individuale (Brus; Łaski, 1989).
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Spread: come uscire dalla trappola
di Leonardo Mazzei
Mazzei ci spiega, con parole chiare, chi c'è dietro la trappola spread, come nacque; come e con quali misure è necessario e possibile uscirne
Il tema non è nuovo. E' lì da sette anni, da quando servì ad intronizzare Monti, portando l'Italia sulla china di un declino di cui ancora non si vede la fine. No, il tema non è nuovo, ma è di nuovo attualissimo. Il signor spread torna a presentarsi non solo come il supremo regolatore delle scelte economiche, ma come l'autentico dittatore dell'eterno "stato d'eccezione" in cui l'Italia si è cacciata entrando nell'euro.
Torneremo a breve sulle alterne vicende che ci stanno portando al decisivo snodo della Legge di Bilancio. Vicende che vedono un triplo e complicato confronto: tra il governo e l'Unione Europea sui numeri del bilancio 2019; tra M5s e Lega sulle priorità dei provvedimenti da adottare; tra questi due partiti e la Quinta Colonna dei poteri sistemici all'interno dell'esecutivo (Tria, Moavero, ecc.) sul grado di compatibilità (politica, oltreché economica) dell'intera manovra. Di certo a nessuno sfuggirà come, in questa triplice partita, la vera arma delle forze euriste sia fondamentalmente lo spread.
Meno di un mese fa segnalammo come i veri eroi dell'attuale opposizione fossero nientemeno che gli speculatori, cioè appunto i "signori dello spread". La novità è che mentre allora sembrava che quest'arma dovesse servire a disarcionare Conte, oggi - avendo valutato l'assenza di alternative politiche - essa viene sapientemente usata dal blocco dominante per condizionare le mosse della maggioranza governativa, imbrigliandola così di fatto in estenuanti mediazioni al ribasso. Vedremo nelle prossime settimane fino a che punto questa operazione avrà successo, ma di certo questo è il problema: la dittatura dello spread, il suo potere condizionante quando non apertamente eversivo.
A due anni dalla storica sconfitta del disegno anticostituzionale di Renzi, la democrazia italiana è di fronte ad una minaccia più subdola, ma più grave.
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Il sistema conteso
L'eredità hegeliana tra Gramsci e Gentile
di Emiliano Alessandroni
Nelle pagine dei Quaderni del carcere Gramsci afferma in più di un'occasione come la filosofia di Croce e Gentile – indipendentemente da quanto essi stessi ne dicano – lungi dal costituire l'erede della filosofia hegeliana, esprime un ripiegamento sull'unilateralità idealistica che espunge la dimensione più viva e concreta del filosofo tedesco, per dare luogo ad una sorta di «hegelismo addomesticato»1, ovvero ad una revisione conservatrice di Hegel:
È da vedere se il movimento da Hegel a Croce-Gentile non sia stato un passo indietro, una riforma «reazionaria». Non hanno essi reso più astratto Hegel? Non ne hanno tagliato via la parte più realistica, più storicistica?...Tra Croce-Gentile ed Hegel si è formato un anello tradizione Vico-Spaventa-(Gioberti). Ma ciò non significò un passo indietro rispetto ad Hegel2?
Scongiurando un tale arretramento, una tale controriforma reazionaria, Gramsci indica nel marxismo, ovvero nella filosofia della praxis, l'autentica eredità dell'hegelismo, scagliandosi con veemenza contro tutte le generalizzazioni indebite suscettibili di soffocare in categorie astratte e formali le specificità e le scissioni concrete – come avviene di norma nel neoidealismo, e segnatamente in Gentile:
Hegel rappresenta, nella storia del pensiero filosofico, una parte a sé, poiché, nel suo sistema, in un modo o nell’altro pur nella forma di «romanzo filosofico», si riesce a comprendere cos’è la realtà, cioè si ha, in un solo sistema e in un solo filosofo, quella coscienza delle contraddizioni che prima risultava dall’insieme dei sistemi, dall’insieme dei filosofi, in polemica tra loro, in contraddizione tra loro.
In un certo senso, pertanto, la filosofia della prassi è una riforma e uno sviluppo dello hegelismo, è una filosofia liberata (o che cerca liberarsi) da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente o inteso come intero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi di azione3.
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Quattro tempi della storia per Domenico Losurdo
di Alessandro Visalli
L’ultimo capitolo dell’ultimo libro del filosofo marxista Domenico Losurdo, scomparso questo anno, su “Il marxismo occidentale” si pone una domanda di straordinaria difficoltà, ma di grande rilevanza in questa fase nella quale l’ultima versione del capitalismo sta mostrando tutta la sua ferocia e capacità di creare continuamente nuovi e creativi modi per creare periferie da sottoporre a saccheggio e isole di sfruttamento coloniale in ogni luogo, anche entro le ex opulente società del ‘primo mondo’.
Il punto di partenza di Losurdo nel suo libro è che la storia del novecento è andata in modo ben diverso da quanto il modello astratto di Marx ed Engels prevedevano in ultima analisi perché la dialettica interna alla società borghese è stata neutralizzata dalla forza maggiore che spingeva il capitalismo alla espansione coloniale. Spinta che ancora si manifesta e che, anzi, si manifesta ovunque sempre più forte. La contraddizione tra l’espansione delle forze produttive e la sua appropriazione limitata, che avrebbe dovuto portare al socialismo, è rimasta senza effetti. Al contrario il marxismo occidentale ha ovunque perso la propria capacità emancipativa, riducendosi o ad un generico progressismo (che si accontenta del tempo che chiamerà del “futuro in atto”, ovvero della capacità del capitalismo borghese di dissolvere i rapporti sociali tradizionali, sostituendoli con rapporti “razionalizzati”, ovvero rapporti sociali tra cose), o ad un altrettanto generico messianesimo (che salta direttamente, e in modo meramente enunciativo, dal “futuro in atto”, che rigetta solo nominalmente, al “futuro remoto”, avvolto nella nebbia dell’utopia). Ciò che ha squalificato la prospettiva marxista occidentale, e quindi la sua carica emancipativa, è il rifiuto di fatto della transizione reale, ovvero del tempo nel quale si crea un “futuro prossimo”. Ovvero il tempo nel quale lo Stato non va dissolto ma usato, in cui le classi esistono e bisogna farci i conti (anche con le necessarie alleanze), in cui la pressione esterna richiede di organizzare le forze.
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Ma come funziona il M5s e perché vince?
di Aldo Giannuli
A molti il M5s sembra un evento inspiegabile come la “ venuta degli Ixos” e se ne chiedono il perché del successo. Proviamo a spiegarlo ragionando per punti.
1. Il M5s non viene dal nulla: è il figlio (o il nipote) dell’ondata populista nata nei primi anni novanta ad opera di Pannella, Occhetto e Segni portatori di uno schema politico plebiscitario, simil-presidenzialista basato su soggetti fluidi raccolti intorno ad un leader. La Seconda Repubblica è nata ed ha vissuto all’insegna del populismo, ha poi avuto una ulteriore svolta, con l’attuale iper populismo, per il mix fra la comparsa del media ultra-populista, il web e la crisi finanziaria del 2007-2008.
2. Il M5s non è un fenomeno solo italiano: si pensi al Fn francese, ad Afd in Germania, all’Ukip in Inghilterra ecc. Considerato che l’Italia è il paese occidentale che ha più sofferto della crisi e che più stenta a riprendersi, non stupisce che sia il paese nel quale le formazioni iper populiste (Lega e M5s) siano quelle con i risultati elettorali più alti. In comune con le altre formazioni iper populiste il M5s ha la critica della politica in quanto attività separata dalla società civile, il mito dell’autosufficienza del popolo, che non ha bisogno di èlite, il carattere post ideologico, l’organizzazione poco strutturata.
3. Ma il M5s ha proprie peculiarità. Al suo sorgere, esso ha avuto caratteristiche anti-sistema e si è autoproclamato “né di destra né di sinistra” in nome della critica alla democrazia rappresentativa e a favore della democrazia diretta (che, a voler essere pignoli, è una ideologia di sinistra). In verità, esso ospitava confusamente idee tanto di destra quanto di sinistra con una prevalenza di questi ultimi, che ne hanno fatto una cosa ben diversa dal Fn francese o da Afd tedesca. Ma la diversità fondamentale è data dalla Casaleggio Associati, che è un pezzo a sé del progetto del suo fondatore Gianroberto Casaleggio, come strumento per realizzare la democrazia diretta.
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Attualità di Marx. Che cosa possiamo dire di nuovo sulla Scienza dal punto di vista del materialismo storico?
di Angelo Baracca
Nella ricorrenza del bicentenario della nascita di Marx si stanno ovviamente moltiplicando le iniziative a livello internazionale, nazionale e locale. Non devo certo esprimere la mia convinzione che dall'elaborazione di Marx ci siano ancora tantissimi insegnamenti da trarre. La vera sfida è di trarre spunti fecondi sui temi più scottanti oggi sul tappeto. Non ho l'ambizione di fare questo, ma vorrei dare un contributo su un campo che probabilmente non sarà al centro dei temi trattati, ma sul quale mi sono personalmente impegnato per quattro decenni e che ritengo sempre più cruciale oggi: il tema della Scienza. Intendo la Scienza capitalistica, quella cioè che venne fondata (schematizzo brutalmente) nei secoli XVII-XVIII e divenne con il decollo della Rivoluzione industriale del XVIII secolo uno dei cardini, sempre più imprescindibili, della Società industriale e del capitalismo. E qui sono convinto che ci sia ancora moltissimo da trarre da Marx.
La Scienza, in tutte le sue manifestazioni, informa sempre più tutti gli aspetti non solo della produzione e della distribuzione, ma della vita sociale e individuale. Questi sviluppi sempre più radicali e pervasivi sembrano avere anestetizzato la maggior parte delle persone le quali, nell'illusione di acquisire attraverso tecnologie sempre più sofisticate capacità a poteri eccezionali, non si rendono più conto di essere (anche) strumenti sempre più passivi e dipendenti dalla prossima innovazione che verrà introdotta, e per la quale viene sapientemente costruita l'aspettativa. Inutile dire che in questo meccanismo ha assunto un ruolo esorbitante la pubblicità, che pervade in modo incontenibile tutti gli aspetti della nostra vita, utilizzando molto frequentemente slogan che non hanno nessun fondamento, quando non sono palesemente infondati.
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“L’Europa è sull’orlo dell’abisso”
Mathieu Magnaudeix intervista Joseph Stiglitz
In un’intervista a Mediapart, il celebre Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz si preoccupa del perseguimento dell’austerità nella zona euro. Si allarma anche delle politiche di Donald Trump e dell’esplosione delle disuguaglianze, dieci anni dopo la crisi finanziaria del 2008. Più che mai, sostiene di “aumentare i salari”, regolare la finanza e lottare contro i “monopoli”
Dieci anni dopo la crisi del 2008, a che punto è la regolamentazione finanziaria? Membri dell’ICRICT [Independent Commission for the Reform of International Corporate Taxation, ndt], una commissione indipendente create da tre anni che propone soprattutto di riformare la tassazione delle multinazionali, illustri economisti e sostenitori di una regolamentazione della finanza si sono riuniti martedì 4 settembre a New York. Tra questi, lo specialista dei paradisi fiscali Gabriel Zucman, professore all’università californiana di Berkeley, l’eurodeputata ecologista Eva Joly, o l’economista indiana Jayati Ghosh, venuta ad esprimere i suoi timori di vedere la bolla di indebitamento dei paesi emergenti “scoppiare presto, forse da quest’anno”.
Anche lui, membro dell’ICRIT, il celebre Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, professore alla Columbia University e precedente capo economista alla Banca Mondiale, ha risposto alle domande di Mediapart.
* * * *
Panama Papers, Paradise Papers, Swiss Leaks, LuxLeaks, Malta Files, etc. Dalla crisi del 2008, grandi inchieste internazionali hanno provato la portata dell’evasione fiscal nel mondo. Ma la situazione è veramente cambiata?
La crisi finanziaria del 2008 non è stata provocata dai paradisi fiscali, ma è abbastanza notevole constatare la piena luce che ha proiettato su questi. Ed è una buona cosa! Grazie al lavoro di investigazione di giornalisti del mondo intero, ci si è resi conto della magnitudine dell’evasione fiscale, ma anche dell’elusione fiscale, che priva gli Stati di risorse essenziali. Le restrizioni fiscali che hanno seguito la crisi hanno peraltro accresciuto questa presa di coscienza e reso l’opinione pubblica molto sensibile a queste questioni.
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Terza questione di geopolitica: il “cuore della terra” sul fronte orientale
L’ipotesi di Russasia
di Uber Serra e Giorgio Gattei
1. Dal duello al “triello”.
A dar retta a diversi commentatori, all’ultimo incontro di Helsinki del 16 luglio 2018 Donald Trump avrebbe dovuto aggredire Vladimir Putin rinfacciandogli (almeno) l’occupazione della Crimea e l’intervento militare in Siria. Se così si fosse comportato, Trump avrebbe agito come l’ennesimo combattente “da guerra fredda” sopravvissuto alla scomparsa dell’Unione Sovietica. Invece Trump non ha agito così, quasi consapevole (lui o i suoi spin doctors) che l’equilibrio geopolitico è ormai mutato e la vecchia logica della contrapposizione bipolare tra USA e URSS è superata. Le cose si sono fatte più complicate e la situazione va considerata in modo nuovo.
La logica della guerra fredda è stata quella di un duello in cui chi spara per primo vince. Tuttavia nella realtà di quella guerra nessuno dei due antagonisti ha potuto pensare di “buttare la bomba atomica” per primo perché la ritorsione immediata sarebbe stata devastante anche per lui, il che ha consentito, ad esempio, di chiudere per via di telefono (sic!) la pericolosissima crisi di Cuba del 1962. Eppure quel duello è finito, ma come mai? Solo perché l’Unione Sovietica si è fatta esplodere una bomba atomica tra i piedi (a Chernobyl, in Ucraina, nel 1985), dopo di che è stata per lei tutta una frana fino all’ammaina-bandiera rossa dal Cremlino nel 1991. Così il “nemico americano” è rimasto unico e vincitore, sebbene questo “dominio unipolare” sia durato ben poco se già nel 1999 a Mosca era arrivato un Vladimir Putin (ex KGB) intenzionato a riportare alla dignità militare un paese fin troppo umiliato dalla NATO, mentre nel 2001 Washington ha dovuto accettare l’ingresso di una Cina “rossa” nella Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) pur di avere un alleato in più nella “crociata” contro il fondamentalismo islamico attentatore alle Torri Gemelle di New York.
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“A proposito di…”
di Elisabetta Teghil
[…] La socialdemocrazia non va
a caccia di farfalle.
Il nemico marcia in testa a te
ma anche alle tue spalle.
Il nemico marcia con i piedi
nelle tue stesse scarpe.
Quindi anche se le tracce non le vedi
è sempre dalla tua parte[…]
Claudio Lolli-La socialdemocrazia- da “Disoccupate le strade dai sogni”
Gli appelli all’unità antifascista e antirazzista che si sono moltiplicati recentemente dopo la formazione del nuovo governo concentrano la loro attenzione su aspetti emotivi, specifici e circoscritti omettendo che la mentalità e la visione del mondo di stampo nazifascista è veicolata proprio dal neoliberismo che in Italia trova il suo referente nel PD che si è proposto e lavora per naturalizzare qui da noi la società neoliberista improntata per quanto si proclami “moderna”, a valori feudali, ottocenteschi e nazisti.
Definire la società impostata e voluta dal Pd in questi anni come fascista, definire il PD come fascista non è un insulto banalmente usato nelle situazioni più disparate, e dallo stesso PD tra l’altro, quando si vuole tacitare un avversario politico, ma risponde all’analisi di quello che il Pd ha messo in atto, di come ha trasformato il sociale, di come ha costruito un comune sentire improntato a valori corrispondenti ai principi dell’ideologia fascista.
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Elezioni europee. Rompiamo il falso schema “europeisti versus nazionalisti”
di Dante Barontini
L’orizzonte delle europee e la crisi della governance Ue
Non siamo degli appassionati del rito elettorale, ma per la prima volta la scadenza di solito più inutile – le elezioni europee – assume un valore strategico.
E’ quasi sorprendente, visto che tutta la costruzione dell’Unione Europea è stata pensata per congelare dentro trattati di fatto non modificabili (se non all’unanimità, ossia mai) rapporti di forza temporanei e indirizzi di governance in grado di vanificare eventuali risultati elettorali divergenti in qualche singolo paese.
Come spiegava il cerbero Wolfgang Schaeuble in una riunione dell’Eurogruppo, “non si può assolutamente permettere ad un’elezione di cambiare nulla. Perché abbiamo elezioni ogni giorno, siamo in 19 e, se ogni volta che c’è una elezione, cambia qualcosa i contratti tra noi non significherebbero nulla”.
Tutta la costruzione, però, poggiava su una maggioranza politica che sembrava eterna: la grosse koalition su scala continentale tra “popolari” e “socialisti”. Ancora nel 2009 questa coalizione sfiorava i due terzi dei seggi a Strasburgo e quindi garantiva che qualsiasi scelta fatta nella formazione della Commissione (il “governo” europeo, quello che fa le leggi e le “raccomandazioni”, che controlla/contratta la stesura delle “leggi di stabilità” nazionali, ecc), o nel Consiglio Europeo, venisse approvata senza problemi.
I primi scricchiolii sono stati avvertiti già nel 2015, quando la maggioranza è scesa al 54%, mentre cresceva l’opposizione di destra che andava al governo in alcuni paesi, ed ora è diventata un protagonista problematico in quasi tutti. Esisteva anche un’opposizione di sinistra, molto variegata quanto ad orientamenti, ma politicamente ininfluente o subordinata ai “socialisti”.
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Sogni e realtà
di Carlo Galli
Proponiamo questo intervento di Carlo Galli non solo per la sua spietata critica della cosiddetta "sinistra liberal" di cui il PD è il principale rappresentante nel panorama politico italiano, ma anche perchè molte delle sue argomentazioni possono essere pertinenti anche a buona parte della cosiddetta sinistra "radicale"
Se il Pd è un partito di sinistra, e se la sua rinascita è indispensabile alla rinascita di questa, allora c’è poco da stare allegri: il suo orizzonte è infatti diviso fra chi non ammette alcun errore e incolpa i cittadini di avere sbagliato a votare, chi vuole cambiare nome come se non si dovesse anche cambiare politica, e chi, come Veltroni non trova nulla di meglio che identificare la sinistra con il «sogno» e la «speranza».
Nel momento di più cupo smarrimento e di più evidente mancanza di strategia, si propone quindi come soluzione della crisi lo stile politico che l’ha generata: uno stile sovrastrutturale, centrato sulla comunicazione e sull’illusione mediatica – al più, corretto dall’ammissione che il Pd non ha saputo stare «vicino a chi soffre», detto con un linguaggio che ricorda più la beneficenza che la politica –; uno stile lontano da ciò che è veramente la sinistra: teoria e prassi, analisi e lotte, materialismo e realismo, disegno di una società futura che parte dall’assunto che la struttura economica, e la cultura che la esprime, è conflittuale e non neutrale, e che quindi la liberal-democrazia non è una universale panacea formalistica che realizza l’accordo di tutti i cittadini ma il risultato, in equilibrio dinamico e precario, di tensioni e di contraddizioni che non si possono togliere né superare in «narrazioni» e in «visioni».
Come lascia assai poco a sperare la decisione – che accomuna il Pd a molta opinione “progressista” – di cercare la via d’uscita dalla impasse politica nella sempre più acuta polemica “antifascista” contro il governo; una mossa che esprime una lettura “azionista” cioè moralistica – o, se si vuole, “liberal” – della politica, a cui la sinistra dovrebbe preferire la analisi storica ed economica sullo stile di Gramsci. Non lo sdegno ma la comprensione dei processi è il solo inizio possibile se la sinistra vuole avere qualche chance di non scomparire.
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Immunità di legge
di Il Pedante
Il 25 settembre uscirà nelle librerie per i tipi di Imprimatur Immunità di legge. I vaccini obbligatori tra scienza al governo e governo della scienza (ISBN 8868307510), un lavoro che ho firmato con Pier Paolo Dal Monte a commento dei dibattiti sollevati dal Decreto Lorenzin sull'estensione e l'inasprimento dell'obbligo vaccinale in Italia.
Chi segue questo blog sa che il tema, affrontato già in altri articoli (qui e qui in modo specifico), mi è caro non solo per l'urgenza dei pericoli che rappresenta una «cessione di sovranità» sui propri corpi a un complesso politico ed economico sempre più disperatamente dedito alla concentrazione dei poteri e alla compressione di libertà e diritti per alimentare un modello di sviluppo ormai inequivocabilmente distruttivo, ma anche perché in esso si incarna con una limpidezza senza precedenti, direi in modo quasi finale, il nodo politico di una democrazia incompresa, mal tollerata e declinante.
Nella prima parte del libro, di cui sono autore, si ripercorrono e si contestualizzano le tappe di una reciproca invasione di campo orchestrata da politici, mezzi di informazione e commentatori, tra scienza e governo, dove la prima è stata imbracciata come testa d'ariete per creare spazi interdetti al metodo democratico (ad es. «il tema dei vaccini dovrebbe stare fuori dalla campagna elettorale») in deroga al primo articolo della nostra Carta, mentre il secondo, nominalmente subordinato al principio «superiore» di un preteso consenso scientifico elevato a totem, umiliava a sua volta il metodo della scienza negandone la complessità e lo statuto necessariamente aperto a ipotesi diverse e divenienti.
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Il razzismo, malattia permanente del capitalismo
di Ascanio Bernardeschi
Il capitalismo usa il razzismo per perpetuarsi e per colpire la classe lavoratrice. Per combatterlo non basta l’atteggiamento umanitario ma serve la coscienza di classe che individui il vero nemico
Il razzismo, per quanto abominevole, non è, almeno nella nostra era, una malattia sociale, ma è un carattere fisiologico delle società in cui predomina il modo di produzione capitalistico, in quanto costituisce una potente leva per fare profitti e per dividere le classi lavoratrici. Per questo, quando se ne presenta l’opportunità, viene scientemente iniettato in dosi massicce nel corpo della società.
Il compianto Domenico Losurdo [1], ha già ampiamente documentato come, fin dagli albori del capitalismo, l’ideologia liberale abbia elaborato una sorta di la de-umanizzazione delle razze indigene come pretesto e giustificazione delle colonizzazioni delle loro terre e dell’intensivo sfruttamento del loro lavoro. Tra i tantissimi intellettuali da lui citati, c’è l’economista apologetico borghese John Stuart Mill, il quale, mentre elogiava la libertà occidentale, sosteneva che “il dispotismo è una forma legittima di governo quando si ha a che fare con barbari»¡”. Lo stesso Tocqueville, considerato un campione della democrazia, predicava la supremazia occidentale e il rischio di una “misce generation”, cioè la mescolanza di diversi gruppi razziali, per cui si rendeva necessario tenere ben distinta la razza superiore bianca da quelle inferiori, considerate alla stregua di animali parlanti. Lo stesso nazismo e il manifesto della razza fascista trovano i loro precedenti in questa tradizione liberale: un razzismo che non si limitava a de-umanizzare i neri e gli ebrei, ma anche i popoli slavi, così come oggi avviene nei confronti di altri popoli che ci interessa colpire.
Anche la deportazione e la messa in schiavitù dei neri africani per farli lavorare fino allo stremo e senza alcun diritto nelle piantagioni americane necessitava del razzismo quale sovrastruttura ideologica ideale.
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Gallino, l'euro, lo spread, Salvini, Visegrad
L'impotenza della sinistra europeista
di Enrico Grazzini
Luciano Gallino aveva denunciato i disastri prodotti dalla subordinazione dello stato al mercato, spiegando come uscire dalla gabbia dell’euro e dell’austerità senza rompere l’Unione europea. Una lezione inascoltata dalla sinistra italiana, che continua a difendere questa Europa liberista in nome di un europeismo acritico e illusorio. Con il rischio di consegnare così milioni di elettori alla destra xenofoba e anti-europeista.
La sinistra alternativa che quattro anni fa aveva promosso la lista Tsipras, anche con l'aiuto e l'adesione del compianto Luciano Gallino – senza alcun dubbio lo studioso più profondo e critico della sinistra –, non può certamente riproporre quello stesso progetto di uscita dall'austerità che molti (come me) considerano del tutto fallimentare, o che comunque, nella migliore delle ipotesi, certamente non può più costituire un riferimento esemplare! Dopo la capitolazione greca di fronte alla Troika (UE, BCE e FMI) oggi la sinistra europea e soprattutto quella italiana non hanno ancora elaborato una proposta credibile per l'Europa e per l'euro. Il problema è che la sinistra italiana non vuole neppure discuterne e si chiude nei suoi dogmi. Così si assume la pesante corresponsabilità di consegnare milioni di elettori alla destra xenofoba e anti-europeista.
La famigerata Troika non ha lasciato la Grecia, anche se formalmente ha terminato il suo programma di aiuti; il debito pubblico greco è ancora al 180% del PIL, e il programma europeo di austerità continua incessante sia nell'Ellade che in Italia e negli altri paesi dell'eurozona (a parte ovviamente la Germania). La Grecia è sotto il controllo straniero. La Banca Centrale Europea tuttora non include l'Ellade nel suo piano di Quantitative Easing perché giudica ancora insolvente lo stato greco. Mario Draghi non considera affidabili i titoli di debito greci, che non quindi sono sostenuti dalla BCE.
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Seconda questione di geopolitica: il “cuore della terra” al fronte sud
di Uber Serra
Nella prima puntata di questa inchiesta sullo stato attuale della narrazione geopolitica autentica (quella di H. Mackinder, per intenderci) s’è detto che per essa c’è un luogo privilegiato del pianeta il cui governo consentirebbe il dominio del mondo: è questo il “cuore della terra” (o Heartland) che coincide con la Russia nella estensione delle steppe dal Dniepr alla Kamciakta. Però la Russia è stretta dal Mar Glaciale Artico a nord e dalla fascia dei deserti asiatici a sud, sicché per esercitare il pieno controllo sul pianeta dovrebbe spingere la propria supremazia su una di quelle “terre di confine” (poi dette Rimlands dal geopolitico americano Nicholas Spykman) che la circondano ad ovest (Europa e Balcani), a sud (Medio Oriente e Persia) e a est (Cina e Corea) e che si affacciano, per l’appunto, sui mari caldi. Proprio per evitare tanta jattura Mackinder aveva affidato, al suo tempo, alle due isole dirimpettaie al continente euroasiatico, la Gran Bretagna e il Giappone, il compito strategico di “salvare” il mondo dalle mire planetarie di Mosca, un compito però che dopo la seconda guerra mondiale, avendo tradito il Giappone il suo “dovere” geopolitico ed essendosi esaurita la Gran Bretagna a sua difesa, è stato assunto su tutti i fronti dai più robusti e onnipresenti Stati Uniti d’America. Ed è questo il “destino” americano che perdura tuttora sebbene l’URSS sia scomparsa, e questo perché la Russia è cattiva non perché zarista, sovietica o quant’altro, ma perché geopoliticamente resta comunque il “cuore della terra”.
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Questa società è troppo ricca per il capitalismo!
di Ernst Lohoff e Norbert Trenkle
La casalinga sveva e i parassiti della società
Due posizioni apparentemente inconciliabili caratterizzano la controversia politica su come vada affrontata la crisi. Mentre gli uni, per rilanciare la crescita economica, vogliono ancora continuare sempre ad aprire le valvole monetarie ed applicare dei nuovi programmi congiunturali, gli altri difendono un rigoroso orientamento all'austerità. I due campi pretendono che, nel caso venga applicato il loro piano, la crisi potrà essere superata, e che il modo di produzione capitalistico potrà essere ripristinato su delle solide basi. Si potrebbe pensare che ancora una volta stiamo assistendo al vecchio dibattito che opponeva l'orientamento keynesiano a quello liberale, un dibattito cui nel secolo passato abbiamo assistito tante volte. Ma dove il sistema di riferimento a tale controversia viene meno, in quanto la crisi indebolisce in maniera irrevocabile le basi della produzione della ricchezza capitalistica, ecco che la cosa degenera in sinistra farsa. Tuttavia, i protagonisti non se ne rendono nemmeno contro, oppure riescono benissimo a fare finta di niente. Continuano ad interpretare instancabilmente lo stesso spettacolo, mentre la scena sotto i loro piedi appare essere sempre più decrepita. Il conflitto fra le loro visioni non rimane tuttavia senza conseguenze, poiché, anche se nessuno dei due piani è in grado di offrire un'uscita dalla crisi, nondimeno assegnano il loro carattere alla gestione di tale crisi, e quindi anche alle ripercussioni concrete che tali misure hanno sulla società.
In Germania, la politica di austerità gode tradizionalmente di un favore particolare. Si sente dire dappertutto che la società avrebbe «vissuto a spese dell'avvenire», e che nel presente si tratta di dover fare delle economie.
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Controversie: “Patria e Costituzione”, un progetto per una sinistra di popolo
di Alessandro Visalli
Il prossimo 8 settembre a Roma, alla Sala della Promoteca, dalle 10.30 per chi volesse esserci un nutrito gruppo di intellettuali e attivisti propone l’avvio di un’associazione politica il cui provocatorio nome è: “Patria e Costituzione”. Ci sarà un intervento in video di Sahra Wagenknecht e relazioni di D’Attorre, Santomassimo, Giacchè, D’Antoni, Preterossi, introdurrà Fassina. Non solo per la presenza della Wagenknecht la cosa può ricordare la parallela, anche nei tempi, operazione che una componente della Linke tedesca sta tentando con “Aufstehen”, come alcuni toni della posizione neo-giacobina di “La France insoumise”.
Nel nome dell’associazione palesemente “Patria e Costituzione” sono due termini che si illuminano reciprocamente, nel quale quindi il secondo dà il senso nel quale si propone il primo. La mia idea è che insieme chiamano a riconoscere che ci unisce un progetto che ha tratti universalisti, ma anche caratteristiche nostre proprie. Come ricorda il post di Fassina che inquadra l’iniziativa, l’8 settembre di settantacinque anni fa terminava la guerra che l'Italia fascista aveva proclamato imprudentemente contro le liberaldemocrazie e contro il mondo socialista e quindi si avviava quell'Italia che univa le sue molteplici tradizioni, il risorgimento, la cultura classica e la realtà delle sue molte vocazioni territoriali, alla volontà di progettare insieme un futuro di pace e libertà socialmente responsabile. Un progetto, quindi, che unisce e non divide, nel quale nessuno può considerarsi solo, nel quale la politica democratica trova il suo spazio e prevale sulla lotta di tutti contro tutti e sull'economico imperiale dei nostri tempi; un progetto nel quale, infine, il ‘popolo’ si definisce e costituisce (lontano dall’essere trovato da un sapere esperto perché già esistente, o ascoltato da un intermediario che se ne fa sacerdote).
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La domanda filosofica e l’utopia concreta
di Salvatore Bravo
Il presente non è tutto, lo diviene in assenza di domande. La domanda è già utopia concreta. Per pensare l’utopia concreta l’immaginazione è imprescindibile, essa è operazione critica, domanda radicale e filosofica, è una diversa rappresentazione del presente: mentre configura il futuro, opera nel presente investendolo di nuova vita. Un mondo senza pensiero ed immaginazione empatica è solo distopia
L’indagine filosofica pone domande radicali. In ogni filosofare vi è l’atto dell’uscire dalle posizioni ordinarie, dall’ovvio, per interrogarlo. La domanda filosofica non vive nel chiuso delle accademie, delle istituzioni o nelle parole paludate degli specialisti: abita ovunque vi siano esseri umani che pongano l’esigenza del senso, del riportare il quotidiano alla sua razionalità. Si procede per scissione e ricomposizione. La domanda filosofica vive socraticamente nella strada. È nei luoghi della vita routinaria che possono emergere domande su dettagli che rivelano la sostanza, la verità del proprio tempo. Domandare nel filosofare è sempre pratica dell’epochè, sospensione dell’atteggiamento naturale, porre le sovrastrutture culturali ed ideologiche in uno stato limbico, per guardare con occhi nuovi, per imparare a guardare il mondo in carne e d’ossa, come affermava Husserl.[1] La parola teoria deriva dal greco θεωρέω theoréo, “guardo, osservo”, composto da θέα, thèa, “spettacolo” e ὁράω, horào, “vedo,” dunque senza il guardare profondamente non vi è la domanda filosofica.
Fenomenologia del SUV
Prodotto negli Stati Uniti arriva il carro armato di lusso: si chiama Ripsaw Ev2 Extreme Luxury Tank. Dotato di un motore Diesel da 6.6 litri è prodotto dalla Howe Technologies. Tra i super ricchi americani sta già diventando un oggetto di culto.
Muoviamo un passo con un esempio: l’analisi del SUV. La mastodontica auto sovrana delle nostre strade. Il SUV tradisce le contraddizioni del nostro reale “molto virtuale.” In primis, la sua storia è inquietante, in quanto tale modello ha un’origine militare. L’acronimo di SUV è Sport Utility Vehicle, un’automobile corazzata derivata dai modelli corazzati della prima guerra del Golfo.
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Cambiare la vita o conquistare il potere?
Foa, Trentin e il futuro della sinistra
di Giorgio Pagano
Vittorio Foa, “La Gerusalemme rimandata”, Einaudi, Torino, 1985
Bruno Trentin, “La città del lavoro”, Feltrinelli, 1997
La sinistra, oggi a rischio avanzatissimo di irrilevanza, vive solo se ricrea una dimensione sociale a partire dalle persone che lavorano. “La città del lavoro” di Bruno Trentin e “La Gerusalemme rimandata” di Vittorio Foa sono due libri che non ebbero fortuna quando uscirono. Riletti oggi, ci forniscono preziose riflessioni non solo sul passato ma anche sul presente e sul futuro.
Vittorio Foa e Bruno Trentin si conobbero a Milano il giorno prima della Liberazione. Insieme scrissero l’appello alle Brigate di “Giustizia e Libertà” per l’insurrezione di Milano che inizia con la frase “La bandiera rossa sventola su Berlino”. Si frequentarono assiduamente nei due anni di esistenza del Partito d’Azione, per poi prendere strade diverse allo scioglimento del partito nell’autunno 1947: Foa aderì al partito Socialista, Trentin si laureò e si iscrisse al Pci probabilmente nel 1950. Alla fine del 1949 Foa, diventato vicesegretario della Cgil con l’incarico di seguire l’ufficio studi, chiamò Trentin in questo ufficio con l’incarico di ricercatore. Il loro comune maestro fu Giuseppe Di Vittorio, segretario della Cgil. Foa fu dirigente della Cgil fino al 1970, Trentin ne fu segretario dal 1988 al 1994.
Nell’ultima fase delle loro vite, entrambi tornarono a studiare e a riflettere sulla loro esperienza sindacale e politica, sulla sconfitta del movimento operaio dopo le grandi lotte degli anni Sessanta e Settanta di cui furono protagonisti, e soprattutto sul socialismo libertario, l’”altra strada” per la sinistra. Foa pubblicò “La Gerusalemme rimandata” nel 1985, dopo quattro anni di studi in Inghilterra. Trentin pubblicò “La città del lavoro” nel 1997, dopo un lavoro durato tre anni. Sono due libri che, quando uscirono, non ebbero successo: furono quasi “clandestini”. Riletti oggi, ci forniscono preziose riflessioni non solo sul passato ma anche sul presente e sul futuro.
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Mark Lilla, “L’identità non è di sinistra. Oltre l’antipolitica”
di Alessandro Visalli
Mark Lilla insegna storia alla Columbia e scrive questo libro che fa parte di un vasto processo di riflessione della sinistra internazionale di fronte alle turbolenze di questa fase terminale della seconda globalizzazione (o, come dice, Dani Rodrik della “iperglobalizzazione”) nel 2017. Il punto di attacco dell’autore è la concezione individualista della politica che ha interessato sempre più quelle che chiama “le forze politiche progressiste” dimentiche delle dimensioni collettive, individuate come oppressive e talvolta conservatrici. A partire dalla metà del secolo scorso, man mano che si sviluppava e radicava l’opulenta cultura dei consumi, ha infatti guadagnato centralità quella che chiama “la politica identitaria”; ovvero “un fenomeno egoriferito e antipolitico” che, come dice nettamente, “non è di sinistra né liberal, anche se i democratici, purtroppo, sono caduti nella trappola”.
Questa trasformazione è avvenuta prima in America e solo dopo in Europa, tra i motivi addotti, ci sono l’impatto del marxismo, e di una minore immigrazione. Oggi, invece abbiamo sia il tramonto del marxismo, sia una maggiore disgregazione sociale, con famiglie sempre più piccole e tecnologia che divide, invece di unire. Tutte queste condizioni, inclusa l’immigrazione, “alimentano lo sviluppo di una questione identitaria a destra”, ma il vero problema, per Lilla, è che non si sviluppa la versione di sinistra. Certo, in Francia c’è una serrata discussione sul multiculturalismo ed il futuro della tradizione repubblicana, in Inghilterra Jeremy Corbyn sta iniziando ad affrontare il tema, ma in generale accade che “l’immigrazione clandestina offre ai democratici una nuova categoria di ultimi per cui combattere, ora che la classe operaia li ha abbandonati per affidarsi alla protezione dei populisti” (p.9).
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Lo schianto: più il come, che il perché
di Michael Roberts
Questa settimana, Adam Tooze si trovava a Londra per presentare il suo nuovo libro, "Crashed, How a decade of financial crises changed the world" [In italiano: "Lo schianto. 2008-2018. Come un decennio di crisi economica ha cambiato il mondo", Mondadori]. Tooze è anche l'autore di "The Deluge and The Wages of Destruction" [in italiano: Il prezzo dello sterminio, Garzanti editore]."Il prezzo dello sterminio" ha vinto il Premio Wolfson per la storia ed il Premio Logam come libro dell'anno. Adam Tooze ha insegnato a Cambridge e a Yale, ed oggi insegna storia alla Columbia University. A mio avviso, egli è il più importante storico economico radicale.
Il nuovo libro di Tooze apporta un enorme contributo alla storia economica del collasso finanziario globale del 2008-9. Tooze ci mostra che cosa sia successo e come è nato quello che è stato il più grande boom del credito dei primi anni 2000 che alla fine ha portato al più grande disastro finanziario che ci sia mai stato nelle economie moderne, ed al conseguente crollo della produzione capitalista, il peggiore dagli anni '30. E conclude dicendo che il modo in cui questo schianto è stato trattato dai "poteri" - vale a dire, attraverso i salvataggi delle banche e la salvaguardia della ricchezza dei più ricchi, a pese di tutti noi - ha provocato l'emergere di una reazione "populista" contro il "capitalismo", sia da parte della sinistra, come in Grecia o in Spagna, sia da parte delle persone di destra, come è avvenuto con Trump, con la Brexit, e con la Lega in Italia. Quindi, l'eredità dei primi dieci del capitalismo del XXI secolo, nel secondo decennio, è ancora con noi. E peggio ancora, il problema soggiacente di fondo, quello del debito crescente e del settore finanziario fuori controllo, non è stato ancora risolto. La crisi finanziaria del 2008-9 potrebbe benissimo ritornare.
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Il governo Salvini-Di Maio: chiude i porti agli emigranti, li spalanca alla NATO
Intervista a "Il cuneo rosso"
Con questa intervista alla redazione de il cuneo rosso, iniziamo un ciclo di conversazioni con le realtà politiche e sociali che intendono contrastare l'attuale esecutivo muovendosi sul terreno dell'anticapitalismo. La scelta del primo interlocutore ci è sembrata in qualche modo obbligata: il cuneo rosso ha posto con tempestività l'istanza di un'opposizione complessiva, senza se e senza ma, al cosiddetto "governo del cambiamento". Mettendo il evidenza il segno di classe, padronale delle politiche vessatorie nei confronti degli immigrati e rifiutando quelle derive nazionaliste che vedono coinvolti diversi intellettuali che pur continuano a dichiararsi "marxisti".
* * * *
Inevitabilmente, il primo aspetto da analizzare nel confrontarsi con l'attuale governo è l'estrema ferocia del suo attacco verso gli immigrati, in termini propagandistici e fattuali. Qual è il senso ultimo di questa politica?
C'è un enorme scarto tra la volgare demagogia di Salvini e la reale funzione della politica migratoria del governo Lega-Cinquestelle. Costui si atteggia a salvatore dell'Italia dall'invasione di spaventose maree di immigrati. Ma di quale invasione parla? Il movimento migratorio verso l'Italia è il più ridotto degli ultimi vent'anni, e questo è avvenuto anzitutto per effetto dei decreti e della politica di Minniti, sulla cui scia l'attuale ministro di polizia si muove, inasprendone i termini. Lo stesso vale per il movimento migratorio verso l'Europa.
Ciò premesso, per cogliere il senso ultimo di questa politica, è utile chiedersi chi sono gli emigranti su cui si sta accanendo in questi mesi il governo Lega-Cinquestelle. Potenziali azionisti di Unicredit, potenziali dirigenti di Fincantieri, potenziali direttori di Tg, potenziali grand commis (grandi affaristi) di stato? Difficile. Al netto dei casi più tragici, sono candidati/e al 99,99% alla raccolta dei pomodori, delle arance, delle mele o del radicchio a 2-3 euro l'ora, alle pulizie di case e uffici, ai lavori più pesanti in edilizia, nell'industria alimentare o tessile, e - dovesse andargli alla grande - alle fabbriche di lavorazione delle pelli nella Valle del Chiampo, dove hanno trovato impiego molti operai africani che scambiano un discreto salario con la rovina precoce della propria salute, a beneficio di avide sanguisughe leghiste.
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Appunti per un rinnovato assalto al cielo. XI
Money for nothing and chicks for free
di Paolo Selmi
Uno sguardo a ideologia, evoluzione tecnologica e rapporti monetario-mercantili
Le persone sono persone. Amano i soldi, ma è sempre stato così... l'umanità ama i soldi, non importa di cosa siano fatti: di pelle, carta, bronzo o oro. Sono frivoli... che farci... ma la pietà alle volte pulsa nei loro cuori... gente normale... in generale ricordano coloro che li hanno preceduti, soltanto la questione degli alloggi li ha rovinati...1
Люди как люди… le persone sono persone. Come dar torto al buon Woland in visita di istruzione a Mosca (a prescindere che, personalmente, ci penserei due volte prima di dar torto a un Woland, a un Azazel o a un Begemot)? Eppure, qualcosa da aggiungere la avrei: è vero, ljudi kak ljudi, ma esistono armi e armi del delitto. In altre parole, non possiamo affermare den’gi kak den’gi (деньги как деньги, “i soldi sono soldi”): ci sono “soldi” e “soldi” e, chi ne ha escogitato le attuali forma, condizioni e modalità di esercizio, lo ha fatto scientemente al fine di instaurare nelle “persone” comportamenti, sovrastrutture psichiche del tutto funzionali ai modelli di consumo e scambio desiderati sin dal momento della loro ideazione. In altre parole, i “soldi di adesso” sono qualitativamente diversi dai “soldi di una volta”, dai biblici “trenta denari” ai červoncy (червонцы), per chiudere il cerchio con Bulgakov, che planano dal cielo agli spalti del Variété. dove una calca di avide mani di “uomini nuovi” sovietici li attende. Affronteremo ora per sommi capi questo argomento.
“Nelle auto prese a rate Dio è morto”...
Tutto iniziò con Francesco Guccini e Augusto Daolio (scusate, ma non potevo non “riportare a casa” anche loro in quest’ultimo capitolo…): partiamo subito dal presupposto che non ce l’avevano con chi, perché non ricco di suo o beneficiario di qualche lascito, non poteva permettersi il lusso di pagare una macchina in contanti (mi spiace, ma il resto della canzone non lascia dubbi a proposito!).
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