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Il gruppo Bilderberg di Domenico Moro

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 E’ in libreria, ormai da qualche mese, la seconda ristampa de “Il gruppo Bilderberg”, l’ultima fatica editoriale di Domenico Moro, un libro di cui ci sentiamo di consigliare vivamente la lettura. Il volume vanta notevoli meriti, su tutti quello di sgomberare finalmente il campo da tanta letteratura complottista sull’argomento e riportare l’analisi su più salde basi storico-materialistiche. L’attività sessantennale del Gruppo Bilderberg, ed insieme ad esso quello della Commisione Trilaterale, vengono così descritte ed analizzate dall’autore non come l’attività segreta di una setta di iniziati che decide sui destini del pianeta, quanto  piuttosto  “come camera di compensazione e di composizione delle inevitabili contraddizioni tra le varie fazioni capitalistiche che hanno continuato ad identificarsi con gli Stati nazione più forti”. Dopo aver scorso rapidamente la teoria delle elitès propria di alcuni esponenti della scienza politica borghese (Weber, Mills, gli “elitisti”), a cui l’autore riconosce per certi versi il merito di aver contribuito a demistificare la reale natura della democrazia liberale, Moro ritorna rapidamente a Marx e all’approccio che il filosofo di Treviri ha con la questione del potere e delle classi dominanti. Come ricorda l’autore, citando più volte lo stesso Marx, le classi sono dominanti o dominate a seconda della posizione che occupano nei rapporti di produzione.

La classe dominante è la classe economicamente dominante, perché controlla i mezzi di produzione, dirige il processo produttivo e si appropria del plusvalore”, e il capitalista è il “funzionario necessario e dominante” di quella forza che è il Capitale, rappresentandone la personificazione contrapposta al lavoro salariato. Ed è proprio attraverso questa chiave di lettura che Moro prova ad analizzare l’attività del gruppo Bilderberg dalla sua nascita fino ad oggi, facendo leva nelle sue riflessioni anche su alcune relazioni interne recentemente “desecretate” da WikiLeaks. Un contributo, quest’ultimo, di assoluta rilevanza perché, come ricorda più volte l’Autore, una delle caratteristiche del Gruppo Bilderberg è proprio l’assoluta confidenzialità e riservatezza delle discussioni tra i leading citizens chiamati a partecipare, e questo fin dalla prima riunione tenutasi in Olanda il 31 maggio del 1954. Dopo aver dunque analizzato la composizione economica e sociale del Bilderberg e della Trilaterale ed averne seguito l’evoluzione del dibattito interno la conclusione a cui giunge Domenico Moro è dunque che “il Bilderberg e la Trilaterale non sono soltanto forum di discussione o network di uomini importanti. Sono vere e proprie organizzazioni con una struttura gerarchica  e soprattutto  con scopi e obiettivi precisi riferiti all’indirizzo della società e dell’economa nel suo complesso. Ciò significa che sono organizzazioni politiche a tutti gli effetti”. Organizzazioni di una borghesia transnazionale che “più che imporre la propria volontà mediante complotti esercitano quella che , impiegando un concetto gramsciano, possiamo definire una forma raffinata di egemonia sul resto della società”. Nelle ultime pagine del libro l’Autore prova dunque a ragionare sulle ricadute pratiche e politiche di quanto analizzato precedentemente evitando così di rimanere, come capita purtroppo a molti intellettuali d’area, nel rassicurante (ma inutile) alveo della critica pura. Su alcune delle conclusioni a cui giunge Moro ci ritroviamo in pieno su altre invece sarebbe interessante aprire una discussione. Concordiamo ad esempio sulle trasformazioni occorse alla forma Stato, sia come collettivo che come rete nazionale “Noi Saremo Tutto” abbiamo dedicato molte energie a contrastare l’idea che l’attuale fase imperialista sia caratterizzata da una progressiva estinzione dello stesso e ci troviamo dunque in piena sintonia con l’Autore quando scrive che “il punto non è tanto il declino dello Stato in sè, quanto la disgregazione degli Stati piccoli o deboli, determinata dagli Stati più forti del centro del sistema capitalistico. (…) Viceversa l’emergere dei Brics è la dimostrazione che il ruolo dello Stato è tutt’altro che obsoleto. (…) Se questa è la situazione nei Paesi periferici e in quelli “emergenti”, vediamo quella dei Paesi centrali. In Usa e in Europa occidentale lo Stato sembrerebbe indebolirsi. Ci sonop spinte alla cessione di potere a favore del livello regionale e soprattutto del livello sovranazionale, rappresentato dall’Unione Europea. Il punto è che ci sono funzioni dello Stato che si indeboliscono e altre funzini che si rafforzano. E quelle che si rafforzano sono quelle più “essenziali” dello Stato. (…) E’ l’aspetto della mediazione tra le classi, sviluppatori nella forma democratico-rappresentativa nel corso di una lotta secolare tra 1848 e 1945, che si indebolisce. E’ invece l’aspetto del dominio della classe capitalistica transnazionale sulle alte classi e degli Stati più forti sugli Stati più deboli a rafforzarsi“. Ciò che ci convince di meno è la tesi che l’attuale fase sia caratterizzata da un “imperialismo unitario” che vede, in ultima istanza, ancora una coesione di fondo in quello che per comodità chiameremo il blocco atlantico. Come abbiamo scritto più volte la storia della costruzione dell’UE, per quanto contraddittoria e ancora in fieri, ci appare come il tentativo di autonomizzazione da parte della borghesia imperialista europea rispetto alla borghesia imperialista nordamericana dopo un’arcata storica in cui effettivamente l’imperialismo poteva essere declinato al singolare. La caduta del blocco socialista, la fuoriuscita dalla condizione di minorità in cui era precipitato il Capitale europeo con la fine del secondo conflitto mondiale e la crisi d’egemonia degli Stati Uniti ci sembra abbiano modificato profondamente il quadro d’insieme proiettandoci in una fase in cui gli imperialismi tornano ad essere molteplici mentre il pianeta, per le ragioni che ben elenca Domenico Moro, è sempre più “piccolo” e “finito”. Con tutto ciò che ne consegue in termini di “tendenza alla guerra”.

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