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Buzzi Carminati e Odevaine: lo specchietto è servito

di Militant

Il primo segnale che l’inchiesta su “Mafia Capitale” sia tarata all’origine è che nessun costruttore sia coinvolto nelle indagini. Ci si accapiglia feticisticamente su gente che muoveva qualche centinaio di migliaia di euro salvando chi ne muove centinaia di milioni (in qualche caso miliardi, come nell’appalto per la costruzione della Metro C), nello stesso modo e sfruttando i medesimi meccanismi gestionali consociativi. Il secondo indizio dell’indirizzo politico di tale inchiesta è dato dal racconto mediatico volto ad accusare il sistema pubblico amministrativo contrapponendolo alle virtù della gestione privata. Ma è proprio il concetto di privatizzazione che dovrebbe uscire distrutto da questa inchiesta, non il contrario. Nei fatti, la vicenda della cooperativa “Eriches-29 giugno” è la storia della privatizzazione di un pezzo di gestione sociale della città, dato in appalto a strutture private che peggiorano i servizi e moltiplicano i costi, determinando a valle quell’aumento del debito pubblico (in questo caso cittadino), eretto a simbolo del malaffare pubblico. Assistenza sociale a migranti e rom, pulizia delle strade e dei parchi pubblici, gestione dei servizi di pulizia degli enti pubblici, raccolta della mondezza, emergenza maltempo, gestione dell’assistenza alloggiativa, sono alcuni dei momenti che dovrebbero sostanziare l’attività di un ente pubblico che gestisce un territorio.

In questi anni tutti questi servizi sono stati dismessi, dati in concessione ad aziende appaltatrici private. L’esplosione di questa economia dei servizi sociali ha prodotto quel “mondo di mezzo” unito dalla corruzione. Il comune continuava a pagare il servizio come se fosse ancora pubblico, ma la gestione effettiva di questo era appaltata al privato. Il prodotto è sotto gli occhi di tutti. Invece di puntare alla soluzione del problema sociale, i privati erano ben felici di prolungare all’infinito la presunta emergenza, cercando il modo di allungare i tempi, peggiorare le condizioni e aumentare i costi del servizio stesso.

Tale sistema ci dice anche della natura ideologica del concetto di “concorrenza”. La privatizzazione non ha portato ad alcuna concorrenza ma, come previsto da intere schiere di economisti, alla tendenza al monopolio. Le cooperative tendevano ad eliminare possibili concorrenti tramite ogni forma di condizionamento del “mercato”. Le pratiche illegali stanno venendo fuori con l’indagine della magistratura, ma sono le pratiche legali il vero problema. Da anni si discute in parlamento di una possibile legge sui lobbisti. Tale sistema, perfettamente legale e regolamentato negli USA, non farebbe altro che sancire la legalità di comportamenti che oggi vengono descritti come illegali. Fare anticamera nell’ufficio dell’assessore, andarci al bar, convincerlo a farsi concedere l’appalto – tutte cose oggi criticate dai media – verrebbero di fatto legalizzate con la legge sulle lobbies. Di cosa stiamo parlando allora quando leggiamo lo sdegno degli organi d’informazione e dei loro referenti politici? Del nulla, dell’ennesimo specchietto per le allodole volto a colpire i rami secchi di un sistema che trova i suoi protagonisti altrove e ben più in alto.

Non è una logica “benaltrista”. Buzzi, Carminati, Odevaine, Gramazio e compagnia devono pagare per l’appropriazione o distorsione illecita di denaro pubblico. E’ la falsa indignazione della politica il problema, che oggi finge di condannare comportamenti che vorrebbe legalizzare nel prossimo futuro. Soprattutto, è l’eterna logica privatizzante il nocciolo del problema, che ancora oggi viene descritta come soluzione dei mali dell’amministrazione pubblica, quando è vero esattamente il contrario: la corruzione deriva dalla gestione privata della città.

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