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L’austerità “funziona”. È questo il problema

di J. W. Mason*

L’austerità non crollerà sotto il peso delle sue contraddizioni. Per contrastarla serve un movimento

La Grecia ha oggi una bilancia commerciale in equilibrio. Questo vuol dire che non deve più ricorrere a capitali esteri (o a trasferimenti ufficiali, o alle rimesse degli emigranti) per finanziare le importazioni dall’estero. È un dato che pesa – o meglio che dovrebbe pesare – nei negoziati del governo greco con le “istituzioni”.

Il riequilibrio della bilancia commerciale greca riflette un trend più generale dell’eurozona? Martin Wolf ha recentemente notato sul Financial Times che negli ultimi cinque anni l’eurozona nel complesso è passata da un modesto deficit commerciale a un cospicuo surplus commerciale, pari al 3 per cento del Pil della zona euro nel 2013. Ma l’articolo di Wolf non specificava come quel surplus era ripartito tra i vari paesi. Ho pensato di rimediare.

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Rapporto importazioni-esportazioni dei paesi dell’eurozona, 2008 e 2013.

Qui possiamo vedere il rapporto importazioni-esportazioni dei paesi dell’eurozona nel 2008 e nel 2013 (dati Eurostat). Un valore superiore a uno lungo l’asse orizzontale significa che quel paese aveva un surplus commerciale nel 2008. Solo alcuni paesi dell’Europea settentrionale rientrano in quella categoria; in sette paesi dell’unione monetaria le importazioni eccedevano le esportazioni del 10 per cento o più.

Nel 2013, la maggior parte dei paesi dell’euro risultava in surplus, e non c’era un solo paese in cui le importazioni eccedessero le esportazioni di più del 5 per cento. La distanza dalla linea diagonale nella parte superiore del riquadro indica un miglioramento tra il 2008 e il 2013; vi rientrano tutti i paesi ad eccezione dell’Austria, della Finlandia e del Lussemburgo. I paesi ad aver registrato l’incremento maggior sono quelli che presentavano i rapporti peggiori nel 2008. I paesi in surplus, ad eccezione della Finlandia, hanno mantenuto i loro surplus, mentre i paesi in deficit hanno tutti più o meno eliminato i loro deficit.

Dobbiamo concludere che l’austerità funziona? Sì e no. Da un lato, è innegabile che grazie a queste politiche i paesi in deficit – anche quei paesi come la Grecia i cui deficit precedevano di molto l’introduzione dell’euro – negli ultimi anni sono riusciti effettivamente a mettere le loro bilance commerciali in pareggio o addirittura in positivo. Dall’altro, questo dipende molto di più dal crollo della domanda interna (e dunque delle importazioni) che da un aumento della competitività (e dunque delle esportazioni).

Lo si vede chiaramente nel seguente diagramma, che mostra la variazione (in euro) nelle esportazioni nel periodo 2008-2013 sull’asse verticale e la variazione nelle importazioni, sempre nello stesso periodo, sull’asse orizzontale. Un punto lungo la linea diagonale indica un tasso di crescita equivalente tra importazioni ed esportazioni.

La maggior parte dei paesi ha registrato un incremento del 15 per cento sia nelle importazioni che nelle esportazioni; sono gli stessi paesi che avevano una bilancia commerciale in equilibrio o in surplus nel 2008, e il cui il rapporto importazioni-esportazioni non è cambiato molto negli ultimi cinque anni. Solo un paese, l’Estonia, ha registrato un aumento delle esportazioni notevolmente al di sopra della media europea.

Tutti gli ex paesi in deficit, d’altro canto, hanno registrato un aumento delle importazioni ben al di sotto della media (denotato dalla loro posizione a sinistra dei paesi che si trovano lungo la linea diagonale). Risulta evidente dal seguente diagramma che il miglioramento della bilancia commerciale nei paesi in deficit è dovuto al crollo delle importazioni, non all’incremento delle esportazioni. In altre parole, il fattore determinante è stata la stagnazione e/o riduzione dei redditi e dei consumi, non la riduzione dei costi.

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Rimane comunque il fatto che i deficit commerciali sono stati praticamente azzerati in tutta la zona euro. I critici liberal dell’establishment europeo affermano spesso che “non è possibile che tutti i paesi dell’eurozona diventino degli esportatori netti”, come se fosse una verità evidente. Ma non è così, né in principio né – come l’eurozona sta dimostrando – in pratica. A quanto pare è perfettamente possibile che tutti i paesi della zona euro siano in surplus.

Viene da chiedersi, allora: nei confronti di chi è migliorata così tanto la bilancia commerciale dell’eurozona? Innanzitutto, nei confronti dei paesi europei extra-euro. Curiosamente, il paese che visto incrementare più di qualunque altro le proprie importazioni dalla zona euro è la Svizzera, il cui deficit commerciale nei confronti della zona euro è aumentato di quasi 60 miliardi. Il deficit annuale del paese nei confronti dell’eurozona è ora di 75 miliardi, circa un quarto di tutto il surplus dell’unione monetaria.

Anche Norvegia e Turchia hanno visto aumentare i loro deficit nei confronti dell’eurozona, di circa 15 miliardi ciascuno. Per il resto sono aumentati i surplus della zona euro nei confronti dell’Africa (26 miliardi), gli Stati Uniti (27 miliardi) e l’America Latina (35 miliardi, di cui circa la metà rappresentati dal Brasile), mentre è diminuito il deficit che aveva nei confronti dell’Asia (135 miliardi in totale, a causa di 55 miliardi di deficit in meno con la Cina, 30 miliardi in meno con il Giappone e 20 miliardi in meno con la Corea). Anche le esportazioni nette verso l’Australia sono aumentate di 10 miliardi.

Perché sollevo questa questione? Primo, perché non se n’è parlato molto e mi pare interessante. Ma soprattutto perché la trasformazione dell’Europa verso una regione nettamente in surplus solleva un punto importante: ossia che l’austerità, entro i propri termini, “funziona”. C’è una tendenza tra i critici liberal dell’austerità a dare per scontato che i fautori dell’austerity siano confusi o acciecati dall’ideologia, e che ci sia qualcosa di incoerente o di contradditorio in un’Europa organizzata in base al principio della competitività; e a sperare che prima o poi la logica economica induca i politici a ravvedersi e a fare ciò che è nel miglior interesse di tutti.

Personalmente, non credo che i guardiani dell’euro siano particolarmente interessati all’esito della battaglia per la competitività; è la battaglia in sé – e i limiti che impone alle scelte pubbliche e private dei singoli paesi – che conta. Ma finché continueremo a giudicare l’austerity sulla base dell’andamento della bilancia commerciale, temo che essa continuerà a rivelarsi un “successo” per lungo tempo a venire.

* Professore di economia alla John Jay College (City University of New York) e fellow al Roosevelt Institute.
Pubblicato su Jacobin il 7 marzo 2015.

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