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Landini e il sindacato per tutti

Carlo Clericetti

Ridda di interpretazioni e di critiche sull’iniziativa del segretario della Fiom, molte delle quali distorsive. La strategia che ha enunciato è di portare il sindacato a rappresentare tutti i lavoratori, anche gli atipici e i precari, e di combattere per difendere i loro diritti anche attraverso una mobilitazione della società civile che prema sui partiti, come avvenne per il divorzio o il referendum sull’acqua

Basta mezz’ora a far capire quel che si vuol fare? Maurizio Landini, nell’omonima trasmissione su Rai3 condotta da Lucia Annunziata, a spiegarlo ci ha provato e riprovato, ma dalle reazioni che si leggono in giro non sembra che sia riuscito a comunicare un messaggio interpretabile in un solo modo. Sarà forse anche perché più di qualcuno ha interesse ad accreditare l’una o l’altra lettura. E allora proviamo anche noi a mettere giù quello che abbiamo capito.
 
Landini ha ripetuto più volte che la sua Stella Polare è una sola: difendere gli interessi dei lavoratori. Fin qui nessuno dovrebbe stupirsi: il sindacato esiste appunto per questo. Una volta il luogo più appropriato per svolgere questo compito era l’azienda: oggi non è più così. Non solo, almeno. Non solo, perché oggi una parte importante di lavoratori non si reca ogni giorno in un certo luogo fisico, non timbra il cartellino, non è protetto da contratti strutturati, con le aziende ha rapporti spesso precari, a volte indiretti, quasi sempre del tutto privi di potere contrattuale, del tipo “o accetti questa offerta, o vai ad impiccarti altrove”. E’ il nuovo mercato del lavoro, frantumato, individualizzato, sottomesso, anche a causa di una disoccupazione altissima che rende la parte più forte, i datori di lavoro, ancora più forte.

Ma anche per la parte più protetta, quella inquadrata in un contratto nazionale e assunta a tempo indeterminato, le garanzie continuano a ridursi, specie quelle contro i licenziamenti ingiustificati, e con esse si riduce anche la possibilità di farsi avanti per contrattare condizioni migliori: chi si mette in contrapposizione con l’azienda quando ciò può significare che, prima o poi, c’è la possibilità di perdere il lavoro?
 
Questa situazione, la frantumazione del mercato del lavoro e la riduzione delle garanzie per coloro che  erano più protetti,  non deriva dalla contrattazione fra imprenditori e sindacati, deriva dalle leggi sul mercato del lavoro che sono state approvate. Dalla politica, quindi. E come si dovrebbe fare a contestarle senza scendere anche sul terreno politico? Il che non comporta necessariamente che si debba formare un nuovo partito: la politica non si fa solo attraverso i partiti. Nelle vicende italiane si possono ricordare numerose svolte politiche di grande importanza in cui i partiti non hanno avuto un gran ruolo. La legge sul divorzio nacque da un’iniziativa del deputato socialista Loris Fortuna, a cui si affiancò poco dopo un’analoga proposta del liberale Antonio Baslini. Un’iniziativa a cui i rispettivi partiti, in un primo momento, non offrirono un grande appoggio, considerandola troppo dirompente per il quadro politico dell’epoca. Si mobilitò invece il Partito radicale, un partito anomalo e all’epoca con scarsissimo seguito, e un’associazione costituita allo scopo, la Lega italiana per il divorzio. Siccome il problema era reale, la consapevolezza che bisognava affrontarlo si diffuse nell’opinione pubblica, e i partiti laici e di sinistra furono praticamente costretti ad accodarsi. Lo spesso avvenne per la legge sull’aborto e, più recentemente, per il referendum sull’acqua. Sono solo tre esempi – ma se ne potrebbero fare altri – di problemi politici in cui i partiti non furono protagonisti, ma, ad un certo punto, furono praticamente costretti ad agire grazie alla mobilitazione della società civile.
 
E sono le associazioni della società civile quelle che Landini ha chiamato a raccolta per mobilitarle su un tema generale quanto quello degli esempi precedenti: il tema della difesa dei diritti dei lavoratori.

“L’ispirazione – ha detto il segretario della Fiom nella trasmissione televisiva – me l’ha data una frase del presidente del Consiglio Renzi. Dov’erano i sindacati, ha detto Renzi, mantre avanzava la precarietà e l’esclusione dei giovani? Giusto, ho pensato: il nostro compito è rappresentare tutti i lavoratori, non solo quelli delle fabbriche, anche i precari, anche le “partite Iva”, anche chi il lavoro non riesce a trovarlo. La mia iniziativa ha proprio questo scopo”. Ora, con ogni probabilità quello di Landini è stato un artificio retorico: di questi problemi nel sindacato si discute da tempo, certo da molto prima che Renzi se ne uscisse con quella frase. Tre dirigenti della Cgil ci hanno anche scritto un gradevolissimo libro (Rosso quadrato: il simbolo della Cgil è appunto un quadrato rosso) che, sotto la forma di un giallo avvincente, con tanto di delitto e colpo di scena finale, fa capire il dibattito e le difficoltà all’interno del sindacato meglio di un saggio accademico. E non sembra un caso che nel libro un anziano e autorevole ex dirigente si chiami Tiziano Bruni e dica al protagonista: “Tutti lavorano. Se la politica volesse ripartire dalla gente potrebbe farlo da qui. Dal lavoro”, mentre Landini nell’intervista ha dichiarato di ispirarsi a Bruno Trentin.
 
Il sindacato è stato spesso accusato di occuparsi solo di una parte sempre meno numerosa di lavoratori, praticamente solo quelli delle aziende medio-grandi. E in questo (a parte il fatto che le accuse sono venute essenzialmente da chi non dovrebbe permetterselo) una parte di verità c’è. Ebbene, quello che Landini ha detto di voler fare è appunto di riparare a questa mancanza, di voler costruire un sindacato che si occupi di tutti quelli che lavorano (o vorrebbero farlo). E di voler agire anche politicamente attraverso la società civile, come per il divorzio, come per l’acqua, in modo che la società civile costringa i partiti a tornare ad ascoltare le persone e non solo i diktat di Berlino, Bruxelles e Francoforte. Questo, certo, è “fare politica”, ma in una logica decisamente diversa da quella di chi accusa il segretario della Fiom di uscire dall’ambito sindacale. Ma come, prima accusano i sindacati di non essere abbastanza rappresentativi, di corporativismo, di avere una visione vecchia, e poi, quando un leader sindacale propone qualcosa di nuovo, lo criticano perché non vuole limitarsi a contrattare i minuti di pausa nelle aziende?
 
Landini ha ripetuto infinite volte che non ha intenzione di fondare un nuovo partito e tantomeno di assumerne la guida. In effetti quello che sta facendo appare come il primo tentativo, da molto tempo a questa parte, di pensare il sindacato in modo nuovo: proprio quello che i critici chiedevano, anche se di sicuro avevano in mente qualcosa di diverso. Beh, non si può aver tutto nella vita…
 
Il segretario della Fiom è al suo secondo mandato, e per statuto non potrà essere rieletto. Anche Susanna Camusso è nella stessa situazione, e i due mandati scadranno a distanza di un mese nella primavera 2018. Se il nuovo sindacato che Landini ha in mente prenderà corpo, fra tre anni sarà lui il candidato naturale alla guida della Cgil. Resta da vedere se la Cgil lo vorrà.

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