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manifesto

Le carte di Tsipras nella partita dell’euro

di Alfonso Gianni

E' duro per l'Europa dei banchieri accettare la prospettiva di un'Europa dei popoli. Eppure è questa la minaccia rappresentata dalla Grecia di Tsipras. Se l'infezione si allargasse, allora lo 0,4 per cento della popolazione rischierebbe di diventare un po' più povero

Nuovo giro di vite della Troika sulla Gre­cia. Si torna a par­lare di Gre­xit. Non è la prima volta in que­ste set­ti­mane, ma ora il tempo stringe. La liqui­dità scar­seg­gia e il paese elle­nico deve resti­tuire tra mag­gio e giu­gno al Fmi 2,5 miliardi di euro. A giu­gno e luglio sca­dono altri due bond verso la Bce per un importo ancora supe­riore di 6 miliardi. Se non doves­sero venire rim­bor­sati ces­se­rebbe anche la linea di cre­dito di emer­genza (Ela) da 73 miliardi messa a dispo­si­zione a caro prezzo dalla Bce per soste­nere le ban­che gre­che. E’ da dubi­tare che l’Eurogruppo di Riga del 24 aprile si mostri più com­pren­sivo. Situa­zione dispe­rata dun­que? Non è detto. La par­tita è ancora complessa.

La linea di Varou­fa­kis è chiara: «Faremo com­pro­messi con la Ue ma non fini­remo com­pro­messi». Ale­xis Tsi­pras dichiara alla Reu­ters che il governo lavora per una solu­zione che «rispetti il recente man­dato popo­lare come il qua­dro ope­ra­tivo dell’Eurozona», pre­ci­sando però che restano quat­tro punti di disac­cordo – non tec­nici, ma poli­tici – in mate­ria di rap­porti di lavoro (del resto il mer­cato del lavoro greco è già del tutto dere­go­la­men­tato), di sicu­rezza sociale, di aumento dell’Iva, di pri­va­tiz­za­zioni. Ovvero il cuore del pro­gramma sociale di Syriza.

Ma la Gre­cia ha biso­gno di tempo e che si allenti la morsa del debito. Varou­fa­kis ha chie­sto al Fmi una tol­le­ranza mag­giore del solito mese di gra­zia. Chri­stine Lagarde ha rispo­sto che la dila­zione dei paga­menti non è mai stata fatta per un paese “avan­zato”, che è roba da Terzo Mondo. Si potrebbe obiet­tare che c’è sem­pre una prima volta per tutto e que­sto potrebbe essere un ottimo caso, nel quale la Ue e il Fmi potreb­bero dimo­strare quella sag­gezza e pre­veg­genza di cui finora hanno dato prova di com­pleta assenza.

La Gre­cia non uscirà mai dai «sette anni del nostro scon­tento» – il rife­ri­mento sha­ke­spea­riano- steim­bec­kiano è farina del sacco di Varou­fa­kis – senza una ristrut­tu­ra­zione del pro­prio debito, la cui inci­denza peral­tro in rela­zione al debito com­ples­sivo dell’Eurozona è minima. Ma come sap­piamo il pro­blema è politico.

Se la Gre­cia se la cava, altri pos­sono per­cor­rere strade alter­na­tive all’austerità e l’influenza sul qua­dro poli­tico dei paesi in mag­giore dif­fi­coltà, che finora hanno ese­guito pedis­se­qua­mente i dik­tat della Troika tro­van­dosi peg­gio di prima, potrebbe essere letale per le destre che attual­mente li gover­nano. Il rife­ri­mento alla Spa­gna è d’obbligo.

Tut­ta­via, vale anche il ragio­na­mento con­tra­rio. Se la Gre­cia finisse in default, se - mal­grado le ultime dichia­ra­zioni più pru­denti della Mer­kel sulla per­ma­nenza greca nella Ue - ciò com­por­tasse una fuo­riu­scita dall’euro e quindi dalla Ue, non è affatto detto che per la finanza sarebbe pura godu­ria. Spe­rare infatti - scrive un edi­to­ria­li­sta del Sole24Ore - che il Gre­xit non abbia alcun impatto sui mer­cati finan­ziari e sull’economia degli paesi della Ue è come pre­ten­dere che una bomba esplo­dendo non fac­cia danni.

Per quanto la Bce abbia inon­dato di liqui­dità i mer­cati finan­ziari euro­pei, con esclu­sione come sap­piamo della Gre­cia e di Cipro, que­sti restano sen­si­bili a ogni minimo movi­mento. La situa­zione in Europa è migliore del 2011–2012, ma il peri­colo di un con­ta­gio finan­zia­rio del Gre­xit è tutt’altro che scongiurato.

E’ vero che le ban­che hanno ormai un’esposizione minima con la Gre­cia: da 200 miliardi di dol­lari del 2008 agli attuali 18,6. Ma que­sto non eli­mina il peri­colo del ritiro dei depo­siti dagli isti­tuti finan­ziari dei paesi della catena debole dell’euro, fra cui anche l’Italia, come rivela Gold­man Sachs. Se la Gre­cia se ne va, crolla il mito della irre­vo­ca­bi­lità dell’ingresso nell’Euro e altri paesi potreb­bero seguire la stessa strada. Quindi sarebbe meglio per chi ha depo­siti con­si­stenti in que­sti paesi por­tarli pre­ven­ti­va­mente altrove.

Le con­se­guenze di un Gre­xit sareb­bero ancora più gravi sugli Stati. Com­ples­si­va­mente l’esposizione di que­sti ultimi sul fronte greco è cre­sciuta, sia in modo diretto che indi­retto, attra­verso il cosid­detto fondo salva stati, giun­gendo a 194,7 miliardi di euro. Se da noi Renzi mena vanto per avere tro­vato un “teso­retto” di 1,6 miliardi, si può bene capire quale impatto nega­tivo avrebbe sulla nostra eco­no­mia e sull’opinione pub­blica dovere dire pro­ba­bil­mente addio ai quasi 41 miliardi di euro pre­stati dall’Italia alla Grecia.

Quindi, mar­gini per gio­care la par­tita il governo greco ne ha ancora. Com­presi quelli di aprire migliori rap­porti con Cina, Rus­sia e la Chiesa Orto­dossa. Ma non c’è da fidarsi, per­ché non sem­pre i poteri eco­no­mici si com­por­tano secondo logica e una dina­mica poli­tica puni­tiva potrebbe pre­va­lere. La carta migliore che Tsi­pras ha in mano resta l’appoggio del popolo greco che, nono­stante i boa­tos arta­ta­mente ingi­gan­titi su una cre­scente oppo­si­zione da sini­stra, con­ti­nua a con­so­li­darsi. Se a que­sto si aggiunge – come potrebbe in occa­sione del pros­simo Primo Mag­gio - la soli­da­rietà dei popoli euro­pei, si può capire che i nervi distesi di Tsi­pras e Varou­fa­kis non sono propaganda.

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