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vocidallestero

Gli scioperi che paralizzano la Germania non finiranno facilmente

di Wolfgang Streeck

Un articolo del Guardian analizza dettagliatamente la situazione del mercato del lavoro tedesco. La resa dei sindacati iniziata negli anni ’90 ha smantellato la struttura del mercato del lavoro tedesco, peggiorando le condizioni di vaste fasce di lavoratori e migliorando quelle di altri, in particolare quelle dei top manager. Come qualcuno spiega già da anni, questa evoluzione ha avuto pesanti ripercussioni su tutta la UE, aggravando gli squilibri interni all’eurozona. Il governo tedesco è ancora oggi impegnato a difendere questa sciagurata “riforma strutturale”, ma è destinato a fallire per il semplice fatto che essa è, a lungo andare, insostenibile

Gli scioperi tedeschi una volta erano come gli scherzi tedeschi: una contraddizione in termini. Ma le cose sono cambiate: quest’anno la più grande economia europea sta stabilendo un nuovo record di azioni sindacali, e tutti, dai macchinisti agli insegnanti degli asili nido e delle scuole materne fino ai lavoratori delle poste, hanno recentemente incrociato le braccia. L’ondata di scioperi non è soltanto un fatto congiunturale: è un altro aspetto dell’inesorabile disintegrazione di quello che era “il modello tedesco”.

Le buone condizioni economiche sono un fattore, ma i sindacati delle fiorenti industrie dell’export non sono quelli che stanno scioperando in questi giorni. Gli scioperi avvengono nei servizi interni, soprattutto nel settore pubblico, e ci sono elementi per dire che non finiranno in breve.

Ai vecchi tempi, i potenti sindacati dei metalmeccanici dettavano la linea degli aumenti salariali di tutta l’economia. Ma l’ultima volta che la IG Metall ha dichiarato uno sciopero generale è stato nel 1984 (una data simbolica, non è vero? NdVdE). Negli anni ’90 i membri del sindacato, in particolare nelle grandi industrie automobilistiche, hanno imparato a loro spese che i posti di lavoro in questo settore possono essere delocalizzati all’estero più facilmente che in passato, in Cina o negli ex paesi comunisti dell’est Europa.

La competizione internazionale non riguarda più solo le quote di mercato, ma anche l’occupazione. Non ci volle molto perché i leader dei sindacati lo notassero. La paura della disoccupazione, guarda un po’, è anche responsabile della mancata volontà dei lavoratori manifatturieri tedeschi di contribuire al riequilibrio macroeconomico dell’Unione Europea, che trarrebbe giovamento dall’aumento dei loro salari in modo da limitare il surplus commerciale tedesco.

Oggi, le agitazioni si sono spostate sui servizi, dove la delocalizzazione dei lavoratori è più difficile. Ma ci sono altri fattori che contribuiscono all’aumento del disordine nel settore industriale. Fin dall’unificazione tedesca, i datori di lavoro pubblici, per conseguire il consolidamento fiscale, hanno frammentato il particolare regime di contrattazione collettiva del settore pubblico, che comprendeva tutti, dai netturbini ai professori e generava, essenzialmente, gli stessi aumenti annuali di salario per tutti. Inoltre, molti lavori – inclusi i macchinisti, gli insegnanti e gli impiegati postali – hanno perso il peculiare status tedesco di Beamter, ossia di servitori pubblici senza il diritto allo sciopero ma con un lavoro a vita e la garanzia di un aumento della retribuzione in linea con il tasso di crescita economica.

Inoltre, la progressiva privatizzazione dei servizi pubblici, combinata con la disoccupazione e la de-sindacalizzazione che l’ha accompagnata, ha messo sempre più in competizione i salari del settore pubblico, portando problemi fino a quel momento sconosciuti per i sindacati, causati da quello che stava rapidamente diventando un sistema duale dei salari.

Un altro sviluppo che ha contribuito a aumentare il conflitto industriale è stata la comparsa di nuovi impieghi, specialmente nella cura dei bambini e degli anziani. Nonostante la retorica governativa della loro indispensabilità e della virtù morale del loro lavoro, questi tendono ad essere pagati poco e il loro lavoro è spesso precario. I lavoratori di questo settore devono cercare il loro posto in una struttura salariale che è in profondo cambiamento. A meno che non si organizzino – per la qual cosa possono rivolgersi a Verdi, il grande sindacato dei servizi pubblici e privati – devono accontentarsi delle pacche sulle spalle dei politici, i quali, pressati dall’esigenza di tenere a posto i bilanci, non necessariamente fanno seguire alle loro parole i fatti di stipendi e condizioni di lavoro in linea con le abilità richieste per un servizio di qualità.

Aggiungiamo a tutto questo il fatto che il progresso tecnologico offre ai datori di lavoro opportunità per mettere pressione sulle occupazioni un tempo privilegiate, come i piloti di volo, i controllori di volo e i macchinisti. Generalmente, a costoro viene chiesto di accettare un salario più basso, delle condizioni di lavoro peggiorative e un lavoro meno sicuro, sulla base del fatto che il loro lavoro non richiede più le stesse abilità di prima a causa degli avanzamenti dei processi tecnologici e informatici. Nel lungo periodo, essi possono addirittura diventare degli esuberi – una prospettiva che paradossalmente contribuisce alla guerra sul salario dal momento che il TFR e le indennità di disoccupazione vengono calcolate sulla base dell’ultima retribuzione del lavoratore.

Tutto questo concorre a una generale erosione formale e informale delle norme salariali che per molti decenni hanno garantito la pace all’interno del capitalismo tedesco. L’aumento delle differenze tra i salari dei lavoratori e una struttura occupazionale in transizione può potenzialmente causare conflitti esplosivi. Dove in passato c’erano aumenti salariali equi per tutti, che seguivano la linea dettata dall’industria metallurgica, oggi c’è la stagnazione nei settori più esposti e salari in caduta in molti segmenti del settore dei servizi.

Un’altra parte del quadro complessivo sono gli enormi aumenti – in stile anglo-americano – degli stipendi dei top manager, specialmente, ma di certo non esclusivamente, nel campo della finanza. Questo avviene in un paese dove le differenze di reddito tra i lavoratori e i manager sono sempre state storicamente basse. I salari in vertiginoso aumento per i manager sono disconnessi dalla realtà della grande maggioranza delle famiglie, che soffrono non solo a causa di salari stagnanti o in caduta e per le condizioni di lavoro in via di peggioramento, ma anche per i tagli ai servizi e ai benefit pubblici. Questo fa sì che gli appelli ai lavoratori di accettare strette sui salari a beneficio dell’intera nazione e dell’economia, suonino ipocriti a molti.

Il sistema di contrattazione salariale tedesco si sta avvicinando a una condizione di far west privo di qualsiasi norma, come avvenuto in Inghilterra negli anni ’70. A quel tempo, il sociologo di Oxford John Goldthorpe diagnosticò una condizione di anomia industriale: una fondamentale assenza di consenso sui legittimi principi distributivi tra capitale e lavoro, così come tra diversi gruppi di lavoratori.

Il governo tedesco, con il suo ministro socialdemocratico del lavoro, sta cercando di sopprimere il crescente conflitto industriale limitando il diritto ad organizzare scioperi e rendendo gli scioperi di parte dei sindacati – ad esempio i macchinisti – illegali. Ma questo tentativo fallirà, molto probabilmente davanti alla corte costituzionale (che anche in Germania non terrà conto delle conseguenze economiche delle sue decisioni… #DAR! NdVdE) e certamente nella pratica, in un mondo in cui la struttura delle imprese e dei settori non è più favorevole all’aggregazione sindacale industriale e alla sua dottrina di “un posto di lavoro, un sindacato”, e dove i macchinisti, i piloti di aereo e altri lavoratori si sentiranno autorizzati a difendersi organizzando scioperi ove necessario, indipendentemente da quello che può dire la legge.

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