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controlacrisi

Elezioni regionali, se la sinistra non viene percepita come anti-sistema

di Domenico Moro

Le competizioni elettorali rappresentano un indicatore della situazione sociale e politica di un Paese. Anche le elezioni regionali lo sono, sebbene presentino alcune particolarità. Ad ogni modo, le elezioni regionali del 2015 confermano, in forma accentuata, le tre tendenze principali in atto nel Paese già da tempo.

La prima tendenza è quella dell’astensionismo, che ha raggiunto un nuovo record. Ha votato solo il 53% degli aventi diritto, oltre dieci punti in meno rispetto alle elezioni regionali del 2010 (63,3%), e quasi sei punti in meno rispetto alle europee dell’anno scorso (58,8%). Inoltre, se consideriamo soltanto i voti validi (al netto di schede bianche e nulle), riscontriamo alle regionali del 2015 un decremento del -17,5% rispetto alle europee del 2014. La seconda tendenza è la crisi del sistema bipolare. Insieme Pd e Fi ottengono il 36,5% dei voti. Di fatto il quadro politico che esce da queste elezioni è ancora più frammentato, anche se le elezioni regionali accentuano, attraverso le liste “alleate”, tale risultato.

In pratica esistono almeno 4 poli politici potenzialmente “autonomi”, Pd, M5S, Fi e Lega. La terza tendenza è l’affermazione di due forze politiche, la Lega e il Movimento cinque stelle, che vengono percepite come “antisistema”. La Lega è ormai nel Centro-Nord il primo partito del Centro-destra ed è l’unica a guadagnare voti in assoluto, quasi 300mila, pari al +57,6%. Il M5S dimostra di non essere una meteora ma una forza politica che fa parte dell’assetto del Paese e che, pur perdendo il 40% dei voti rispetto alle europee, rimane con 1,3 milioni di voti la seconda forza politica italiana dopo il Pd.

La frammentazione politica (crisi del bipolarismo) e soprattutto l’astensionismo e l’affermazione di due forze “antisistema” dimostrano che è in atto un avanzato scollamento tra interi settori della popolazione e sistema politico. Tale scollamento è il riflesso della marginalizzazione di milioni di italiani dalla vita sociale, determinata dalle conseguenze della crisi strutturale e dalle misure che il capitale adotta per superarla dal suo punto di vista, ovvero dalla austerity e dalle “riforme di struttura”, ispirate dai processi di integrazione economica e valutaria europei. Anche le consistenti perdite elettorali di Renzi sono da attribuirsi a tali fattori. In primo luogo, alla coerente prosecuzione da parte del Presidente del Consiglio della linea tradizionale del Pd basata sulle politiche europeiste (ad esempio il jobs act) e, quindi, alla sua impossibilità a dare una risposta, per quanto parziale possa essere, alla crisi. Così, il risultato delle regionali rappresenta il necessario ridimensionamento del risultato delle europee, che aveva un carattere di eccezionalità, e che si basava su aspettative eccessive, suscitate da una fortissima spinta mediatica tesa a enfatizzare le capacità salvifiche di Renzi e la sua presunta determinazione a “battere i pugni in Europa”.

Tuttavia, sarebbe un errore ritenere che queste elezioni mettano in seria crisi il progetto renziano. Il Pd, pur perdendo il 50% dei voti rispetto alle europee rimane, con il 25% dei voti, largamente il primo partito, a dieci punti sopra il M5S. Renzi, soprattutto, ha provveduto a blindare la futura competizione elettorale nazionale. In primo luogo, attraverso la legge elettorale, “l’Italicum”, che è il suo vero asso nella manica, e che, grazie ai suoi meccanismi, gli garantisce sia la vittoria sia una forte governabilità, pur con un consenso reale molto ridotto. In secondo luogo, attraverso l’aver favorito alla sua destra la crescita di un avversario di comodo, Salvini, che, estremizzando il suo messaggio xenofobo, ha raccolto un ragguardevole consenso ma difficilmente potrà allargarlo di molto. Inoltre, Salvini, non è in grado di sfondare al Sud e soprattutto di compattare un fronte largo di destra attorno a sé, attraendo Fi, Udc-Ncd, e Fratelli d’Italia. Il progetto renziano ha carattere di lunga durata e strategico, e la sua forza non sta tanto nelle capacità mediatiche del personaggio, bensì nell’appoggio dei settori egemoni del capitale italiano e europeo che lo sostengono e di cui si fa espressione.

Ciò che, a mio modo di vedere, va sottolineato è che La Lega e il M5S vengono percepiti come forze “antisistema”, perché hanno avuto la capacità di presentarsi in chiara e netta opposizione nei confronti del Pd e dell’intero sistema politico tradizionale. Certamente il loro successo è dipeso dalla capacità di occupare la scena agitando alcune tematiche che rispecchiano il “senso comune”, la paura dell’immigrazione, per quanto riguarda la Lega, e la corruzione e la “casta” come causa principale della crisi, per quanto riguarda il M5S. Ma, in gran parte, tale ruolo “antisistema” ruota anche attorno alla critica espressa in forme molto nette rispetto all’Europa e all’euro. Inoltre, il posizionamento politico che Lega e M5S assumono e quanto dicono è espresso in modo univoco e immediatamente percepibile a livello generale.

Una simile capacità è mancata alla sinistra, che non è riuscita ad intercettare il voto in uscita dal Pd e l’astensionismo. Infatti, la sinistra non è largamente percepita come “antisitema” e può persino essere vista come appendice del Pd. Una percezione che certamente affonda le sue radici nella storia recente di partecipazione all’Ulivo e nei risultati negativi specie dell’ultimo governo Prodi, e che soprattutto non è contraddetta dalle scelte attuali di alcuni pezzi della sinistra. Ne è esempio maggiore, anche se non unico, Sel, che, mentre in alcune regioni si è presentata in liste di sinistra alternative al Pd, in altre regioni ha appoggiato il candidato del Pd. Inoltre, Sel è alleata del Pd in alcuni governi locali, ad esempio a Roma, dove la situazione, a seguito delle note vicende di “mafia capitale”, imporrebbe ben altre scelte. In definitiva, a non essere percepita è l’esistenza di un progetto politico nazionale e ciò ha pesato. Infatti, sono stati premiati partiti che hanno un progetto e un profilo politico nazionale ben definito, perché le regionali, per quanto siano elezioni locali, subiscono, specie in questa fase, il riflesso del livello nazionale.

Certo, l’aspetto della costruzione di processi unitari a sinistra del Pd è importante, ma è altrettanto importante il modo in cui tali processi si realizzano. Del resto, se l’unità non si è realizzata ovunque è stato perché la sinistra non ha un suo profilo ben definito attorno al quale possa essere costruita. Quindi, il problema politico maggiore da affrontare è la definizione di un profilo politico sia dei comunisti sia, più in generale, della sinistra italiana.

La definizione di un profilo politico consiste soprattutto nella scelta di un posizionamento chiaro e univoco nei confronti delle altre forze politiche in campo e nei confronti degli aspetti centrali della realtà economica e sociale. Per la sinistra, l’aspetto centrale, sebbene non l’unico, è in questa fase sicuramente la lotta contro le politiche neoliberiste che hanno imposto l’austerity ai lavoratori europei. Però, in Europa, a differenza degli Usa, le politiche neoliberiste sono state implementate mediante una leva specifica, ovvero il grimaldello dell’integrazione economica e valutaria a livello sovrannazionale. Quindi, è necessario assumere una chiara opposizione sia verso questo tipo di Europa (e i meccanismi dell’euro) sia nei confronti del Pd, che in Italia è stata la forza politica più coerente nel determinare l’adesione alle misure di integrazione valutaria europea e nell’implementare le cosiddette “riforme di struttura” ad esse collegate.                                                                    

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