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mat storico

Che gender di sinistra?

Stefano G. Azzarà

Che la sinistra - che pure sulle questioni di genere e sulla sessualità ha maturato una riflessione ultradecennale nella quale sono presenti posizioni anche molto diverse e difficilmente confondibili - si sia impastoiata con le proprie gambe in una polemica su una fantomatica "ideologia gender", scatenata in ambienti culturali precisi in un momento preciso con finalità politiche precise, è già di per sé indice di grave subalternità culturale e di irresistibile coazione a seguire la linea altrui pur di dimostrare di esistere ancora.

Anche con le migliori intenzioni, il solo fatto di prendere posizione accettando questi termini del discorso è un errore, a prescindere dalle tesi che vengono difese.

Che poi però qualcuno pretenda addirittura di richiamarsi a Marx e all'analisi marxiana del modo di produzione per schierarsi contro un presunto piano segreto di omogeneizzazione sessuale, con l'argomento che questo piano sarebbe coerente con un ammodernamento dei rapporti sociali capitalistici (nel senso di un rafforzamento delle tendenze consumeristiche tramite costruzione di forme di identità ibride artificiali) è grottesco. Sulla base di questo modo di ragionare, avremmo dovuto difendere l'istituto della schiavitù o della servitù della gleba contro la congiura del lavoro salariato, perché l'emergere di questa nuova forma di lavoro, con la scusa di emancipare il servo, consentiva in realtà il decollo del modo di produzione capitalistico segnando il tramonto di quel mondo di intensa felicità che era il medioevo...

A parte la bizzarria anti-materialista di una concezione mitologica della storia, non c'è nulla di più lontano da Marx di questo Marx immaginario e comunitarista, difensore di un ordine "più autentico". Se c'è una cosa incontestabile in lui è invece proprio il suo modernismo radicale.

E' chiaro che anche la polemica di questi giorni è una conseguenza ideologica volgarizzata dell'onda lunga dell'emancipazione femminile, un mutamento che ha alterato subordinazioni secolari e ha messo in discussione forme di identità consolidate. Ma questo processo è a sua volta il risultato di trasformazioni nella divisione del lavoro e nei rapporti di produzione che sono avvenute da tempo, e che inevitabilmente comportano anche imponenti trasformazioni sociali.

Ovviamente, non viene prodotto qui nessun soggetto "rivoluzionario", come pure molti entusiasti a sinistra credono, e dunque l'apologia dell'ibridazione - se mai questa cosa esistesse - è stupida quanto la sua demonizzazione. E però, non solo le trasformazioni in atto sono prevalentemente progressive, in quanto in esse è comunque realizzato un processo di astrattizzazione e de-naturalizzazione nel quale è implicita la costruzione dell'unità del genere: soprattutto, esse non possono essere negate nella loro realtà per il fatto che a qualcuno non piacciono. E Marx è l'ultimo degli autori ai quali ci si può richiamare per celebrare il feudo o il paesello contro lo sviluppo delle forze produttive moderne e delle forme di soggettività concomitanti.

La sacrosanta critica del postmodernismo, per non rovesciarsi in nostalgia reazionaria, deve ricordare che la storia c'è sempre e non solo quando fa comodo a noi. E che la vera sfida - e oltretutto non potrebbe essere diversamente - è quella di costruire nuove identità e nuove strutture organizzative di socialità, non restaurare quelle defunte.

Ciò che va restaurato è semmai un equilibrio favorevole nei rapporti di forza, non forme determinate di un equilibrio passato che non tornerà mai più.

Quelli ai quali queste mie parole piacciono ricordino, invece, che è la stessa chiesa cattolica che molti di loro hanno osannato due giorni fa, dopo l'enciclica di Bergoglio, a guidare la campagna "anti-gender". E che la chiesa in entrambi i casi lo fa con assoluta coerenza, facendo discendere il proprio ragionamento da alcune premesse dogmatiche fondamentali.

Il problema non è la chiesa, che non potrebbe dire nulla di diverso da ciò che dice: il problema siamo noi e la nostra nullità politico-culturale [SGA].

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