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La democrazia degli ateniesi

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«L’Eurozona si compone di 19 democrazie, non una sola», dice oggi un ritrovato Junker di fronte al parlamento Europeo. Sarebbe facile ricordargli che queste democrazie sono malate, se ancora il punto all’ordine del giorno, dopo il disvelamento operato magistralmente dal governo greco, riguarda la necessità dei greci di ripagare il loro debito. Lo abbiamo detto, ma vale la pena ripeterlo: primo, la Grecia non è e non sarà mai in grado di ripagare il debito; secondo, gli enormi prestiti garantiti dalle stesse istituzioni europee ai passati governi greci non sono stati un regalo alla popolazione greca in difficoltà, ma l’esatto opposto. Si è trattato, come per fortuna continuerà a ricordare all’Europa il fantasma di Varoufakis, di un atto criminale, che ha negato l’evidenza dei fatti – un problema fondamentale di solvibilità della Grecia – al solo scopo di alimentare il circuito finanziario delle banche e il controllo delle istituzioni internazionali come il FMI. Solo una stampa in palese mala fede e prostrata ai dettami della democrazia finanziaria può continuare a non dare il giusto peso a questa evidenza. Il non-regalo ha però imposto reali prezzi da pagare a lavoratori e  lavoratrici, precari, pensionati e più in generale ai governati greci. Oggi i creditori pretendono dalla Grecia atti concreti contro gli sprechi, facendo un discorso con tratti razzisti basato sulla maturità e la responsabilità. E noi sappiamo che, a Roma come ad Atene, il richiamo alla responsabilità e alla maturità lascia sempre prevedere qualcosa di poco gradevole.

D’altra parte, non ci risulta che i precedenti governi, che hanno ottenuto fantasmagorici prestiti per il 90% immediatamente andati nelle casse delle banche dei creditori senza passare dal via, abbiano compiuto alcun gesto per porre fine all’endemica corruzione ed evasione fiscale a favore di quei soggetti che in Grecia, proprio nell’apice della crisi, hanno continuato a macinare miliardi e a fare affari. Solo il portato di ormai sette anni di lotte senza soste ha permesso di sbattere in faccia a questi soggetti un sonoro OXI domenica scorsa. Solo una stampa prostrata ai poteri forti dell’Europa come quella italiana poteva non vedere com’era composto il fronte del SI, e non osservare che esso comprendeva tutti – ma proprio tutti – i responsabili dell’attuale crisi greca. Tutto ciò potrebbe essere spiegato a Junker oggi, e probabilmente qualcuno lo farà. Ma la frase sibillina che Junker ha pronunciato in mattinata – nell’Eurozona ci sono 19 democrazie, non una – continuerà a pesare. Bisogna ammettere che ha ragione, a meno di non considerare democrazie soltanto quelle dove si ottengono risultati in linea con le nostre aspettative. Quel che accade è invece che molti dei sostenitori nostrani dell’OXI – in verità quasi tutti – hanno accentuato il tratto democratico di rifiuto dell’austerity, fornendo così al nemico utili argomenti. Se di sovranità e democrazia si tratta, infatti, queste non possono essere valorizzate a corrente alternata, quando il risultato è favorevole, dimenticandosi completamente dei problemi che tanto la sovranità quanto la democrazia continuano a porre. Qualche timido tentativo di sostanziare il discorso sulla democrazia reale, in termini di salari, servizi, valorizzazione dell’uso comune delle risorse e via dicendo, è stato fatto, è vero. Ma è stato anche presto dimenticato. Sarebbe allora il caso, una volta intrapreso un cammino di rottura della gabbia d’acciaio dell’euro, di non chiudersi da soli nella gabbia d’acciaio (ben più pericolosa, come insegna la storia!) della democrazia. Non è il caso di strumentalizzare le prese di posizione dei piccoli politici di casa nostra, ma almeno un momento di riflessione sul coro di dichiarazioni, da sinistra a destra, sul trionfo della democrazia nel referendum del 5 luglio, andrebbe speso. La nostra idea è che la democrazia ha un valore quando la si agisce. Essa non si rivendica à la carte né, tantomeno, può essere rinchiusa all’interno di procedure formali. Tuttavia, abbiamo di fronte un’alternativa piuttosto netta: vogliamo trasformare l’occasione del NO greco in una disputa sul vero significato della democrazia, o vogliamo invece comprendere cosa c’è dietro al 61% dell’OXI greco, e cioè una insubordinazione di massa e di classe contro il comando della finanza, della precarietà e della povertà, che rivendica salari, pensioni, servizi e una vita libera da ricatti? La democrazia, in tutto questo, è un dettaglio, un momento di passaggio, una mossa ormai compiuta e che non potrà essere facilmente riattivata. Ed è uno strumento, vale la pena ricordarlo, che anche il nemico può decidere di usare. Ciò che oggi si vuole imporre alla Grecia non è la fine della democrazia, ma l’imposizione di una democrazia più grande di quella ateniese, che chiede tagli lineari alle prestazioni pubbliche, salari e pensioni anche per dare una lezione visibile a chi, in Europa, inizia a non credere più alle sirene della crisi e ambisce a qualcosa di più delle briciole. Non è un caso, ad esempio, che in questi giorni emerga con chiarezza come i differenziali salariali siano uno degli spauracchi che portano i governi dell’Europa orientale a schierarsi contro la Grecia. La domanda che viene posta è: perché dobbiamo aiutare la Grecia, dove il salario minimo e le pensioni sono più alte che da noi? Ma questa domanda potrebbe presto trasformarsi in: perché dobbiamo avere salari e pensioni più bassi della Grecia? Nemmeno la Germania è immune da tutto questo. Oggi si pone infatti la domanda: perché dobbiamo continuare ad aiutare la Grecia, quando anche da noi in questi anni sono calati i salari e si inizia a parlare di sacrifici? E anche questa domanda potrebbe presto trasformarsi in: perché dobbiamo continuare a preoccuparci noi, lavoratori, precarie, pensionati, dei bilanci dell’Eurozona, quando c’è gente che qui in Germania come in Grecia continua a macinare miliardi sulla nostra pelle? Mentre in troppi parlano di democrazia, la nostra occasione di fare risuonare l’OXI greco in Italia e in tutta Europa risiede altrove ed è meglio rendersene conto in fretta.

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