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La Grecia e l'Europa dei sonnambuli

Giovanni Principe

Mentre il popolo greco festeggia la vittoria della democrazia, si riappropria della sovranità e restituisce dignità e grandezza alla sinistra, l'Europa dei sonnambuli, dei popoli senza sovranità sprofonda nell'incertezza e balbetta di fronte al disegno di una destra sempre più arrogante.

Questa destra ha incontrato per la prima volta un ostacolo, dopo lunghissimi e tristissimi anni, nel piccolo popolo greco. Ma non si arrende e insiste nel voler portare l'Europa alla catastrofe.

Dall'altra parte, il quadro che ci offre quello che dovrebbe essere lo schieramento contrapposto fa cadere le braccia. Tralasciando la parte della socialdemocrazia europea (tedesca ma non solo) che ha sposato la versione Merkel della strategia di estrema destra (il bastone e la carota, col sorriso ma solo finché non costa nulla) il “corpaccione” moderato ha un solo mantra: riaprire la trattativa. Facendo però finta di ignorare quali sono le precise condizioni richieste dalla Grecia per accettare di sedersi di nuovo al tavolo di Bruxelles.

Non può neppure capirle, quelle condizioni, chi ha straparlato di derby euro-dracma. Eppure il governo greco le ha espresse con grande chiarezza. E se l'elettorato le ha condivise in larghissima misura è anche perché ha respinto le intromissioni e non ha dato ascolto alla campagna di mistificazioni e minacce con cui lo si voleva portare a votare contro i suoi interessi fondamentali. Una campagna che ha fatto molti proseliti nel resto di Europa senza fare però breccia nell'estremo lembo dei Balcani.

Chi crede, o vorrebbe far credere, che tutto si riduca a quei 60 milioni di euro di differenza tra il piano della delegazione europea e quello del governo greco, deve rassegnarsi all'evidenza. Quelle proposte non sono più sul tavolo, né da una parte né dall'altra, perché quella trattativa si è conclusa. Il capo delegazione greca, non a caso esperto di teoria dei giochi (che gli imbecilli hanno tradotto in “appassionato del gioco d'azzardo”), ha fatto venire allo scoperto il vero obiettivo, strategico, della delegazione europea a trazione tedesca: stringere il cappio attorno al collo del popolo greco per costringerlo a scegliere tra la bancarotta e la sottomissione al dominio dell'ultradestra che ritiene di poter spadroneggiare in Europa, sfiduciando il governo Tsipras. La decisione su cui il referendum chiamava a pronunciarsi gli elettori greci non era tra i due corni del ricatto, benché fosse presentata come tale dalle leadership di tutta Europa. Era sulla scelta se sottrarsi o meno a questo ricatto.

Lo stillicidio dei rinvii, della liquidità col contagocce, delle obiezioni sempre nuove e sempre meno ragionevoli ai piani greci doveva finire. L'Europa deve scegliere se accettare di sottoscrivere un piano di salvataggio equo, nel senso di sostenibile socialmente per i greci e economicamente conveniente per i creditori. Se farlo, si intende, in via definitiva, mettendo di nuovo in opera tutti gli strumenti previsti per gli Stati membri in difficoltà che adottino un piano con questi requisiti. Compresa una ristrutturazione, di lungo termine, del debito. Altrimenti, se intende portare la Grecia a dichiarare il default se ne deve assumere apertamente la responsabilità. Politica. Davanti al popolo greco. Davanti ai cittadini europei. Davanti alle grandi potenze del mondo globalizzato, che ammoniscono (tutte insieme, si badi bene, pur da punti di vista diversi e perfino in conflitto) sui rischi, globali, di un esito catastrofico della fine dell'euro e dell'Unione Europea.

Il problema, in poche parole, dopo il referendum greco non è cosa farà Tsipras ma cosa farà l'Europa. E una domanda campeggia sullo sfondo: dove è finita la sinistra europea?

Una risposta può essere suggerita da uno sguardo alle vicende italiane. Quella che pretendeva di essere la più forte sinistra di governo si è tristemente rivelata una formazione priva di identità. La leadership appare accondiscendente, fino ai limiti del ridicolo, nei confronti della destra dominante, mentre il corpo del partito è intruppato disciplinatamente nei ranghi della socialdemocrazia d'impronta Spd. Dei sonnambuli che arrivano ad essere più realisti di Frau Merkel (nel ruolo di re).

Quanto ai resti della sinistra che proviene dalla storia otto-novecentesca della Terza Internazionale, festeggia con Syriza ma si ritrae incerta non appena si tratta di restituire, anche in Italia, sovranità al popolo, come ha fatto ripetutamente nella sua storia di “avanguardia di classe”. Per non dire del chiacchiericcio compiaciuto di quella sinistra (?) che si è arruolata al seguito delle truppe della variante populista dell'estrema destra, che a differenza di Schaeuble e dei poteri che rappresenta vorrebbe, anziché forzare i popoli verso un'Europa nazionalista e ultraliberista, raccontargliela come una conquista di libertà e di amor di Patria.

Eppure esiste in Italia un popolo vasto, potenzialmente maggioritario, di cittadini che chiedono una offerta politica di sinistra. Democratica, cioè. Repubblicana. Ancorata alla Costituzione più avanzata che sia stata scritta (e però disattesa da una politica retrograda in tutti i suoi capisaldi fondamentali). Con buona pace di chi a sinistra giustifica il proprio opportunismo e il cedimento ai valori della destra con l'affermazione che “gli italiani sono storicamente, culturalmente, fondamentalmente di destra”.

Così come esiste in Europa e non solo in Grecia. Che cosa significa oggi essere a fianco di Tsipras, per quelli che, dispersi in vari rivoli in un panorama politico che non contempla più una formazione di sinistra, ambiscono a ricrearla, nel suo profilo etico e programmatico? Significa avere il coraggio di ritornare al popolo sovrano e confidare nelle risorse che la società esprime. Per costruire ex novo.

Sono centoventicinque anni, mese più mese meno, che in Italia la sinistra procede solo per scissioni e per federazioni. Il coraggio che serve è questo, il coraggio di un nuovo inizio. Foss'anche una follia, sarebbe tuttavia la scelta più lucida oggi consentita.

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