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manifesto

La crisi del comico che copia i tecnici

Michele Prospero

Per nascon­dere il suo fal­li­mento, il pre­si­dente del con­si­glio sposa la dot­trina Picierno. La stu­diosa dei con­sumi volut­tuari, aveva sco­perto, con teo­remi ad ele­vata sofi­sti­ca­zione mate­ma­tica che, con 80 euro, una fami­glia naviga nel lusso per almeno 15 giorni. E, ben prima di Renzi, aveva get­tato fango sulla Cgil. Ora, il segre­ta­rio di un par­tito coin­volto fino al collo con i guai di mafia capi­tale, con le pri­ma­rie liguri che nar­rano di un tarif­fa­rio per recarsi ai gazebo, con iscri­zioni false e con il Pd della capi­tale sotto com­mis­sa­rio, accusa i sin­da­cati di avere più tes­sere che idee.

Si tratta di colpi di fumo per coprire il disa­stro del governo. Dopo la chiac­chiera, ven­gono i fatti a con­fu­tare la favola bella della comu­ni­ca­zione che rac­con­tava di mira­coli a colpi di tweet. Le cifre smon­tano l’effetto nar­co­tiz­zante dei media e par­lano di un sot­to­svi­luppo per­ma­nente per il sud. Di intere gene­ra­zioni per­dute. Di lavoro che non c’è. Di grandi città del silen­zio e di giunte del malaffare.

Il fia­sco colos­sale del governo non può essere occul­tato con il ron­zio della nar­ra­zione che pro­mette nuovi fan­ta­stici tagli di tasse. La corte dei conti ha appena sve­lato che il trucco di Renzi è sem­plice: il governo taglia le impo­ste per farsi bello e poi i comuni sono costretti a spre­mere la capa­cità fiscale dei ter­ri­tori. In tre anni la tas­sa­zione locale è cre­sciuta del 22 per cento.

Stretto nella morsa del disa­stro annun­ciato, Renzi cerca di soprav­vi­vere inven­tando nemici, utili per con­ser­vare il soste­gno dei poteri influenti. A sug­ge­rire al pre­mier cat­tivi pen­sieri non è certo la mino­ranza Pd.

Con i suoi pic­coli graffi, la mino­ranza è molto utile al gioco del par­tito della nazione. Pro­prio i suoi colpi spa­rati a salve, con­fer­mano che nel Pd ci può stare di tutto. Il Pd è governo e oppo­si­zione al tempo stesso.
E pro­prio que­sto bal­letto osta­cola la costru­zione di un’alternativa poli­tica, che è un bene per il sistema.
La tra­spa­renza del con­flitto governo-opposizione viene osta­co­lata dai distin­guo infi­niti della mino­ranza, che con affondi privi di con­se­guenze aggrava il males­sere del qua­dro politico.

Se Renzi è un male asso­luto con le sue poli­ti­che costi­tu­zio­nali, con le sue scelte sulla scuola, il lavoro, la sanità, l’informazione, la giu­sti­zia, accen­nare ogni volta a un dis­senso rias­sor­bi­bile signi­fica aiu­tarlo a coprire l’intero spa­zio poli­tico. Il par­tito della nazione non è uno spet­tro inde­fi­nito, è quella pra­tica informe che esi­ste già e che vede sotto lo stesso tetto con­vi­vere idee in appa­renza inconciliabili.

Per cogliere il destino di Renzi non è nel con­flitto interno al suo par­tito che occorre guar­dare. Un lea­der che ha con­qui­stato lo scet­tro gra­zie al soc­corso di potenze esterne, può essere disar­cio­nato solo dallo sgre­to­la­mento delle cen­trali economico-mediatiche che l’hanno forag­giato. Per tenere il nulla osta di quel mondo Renzi aggre­di­sce il sin­da­cato. Cosa si muove nei piani alti del potere? Si nota Squinzi che esulta per i tagli alla sanità pub­blica e che quindi brinda per il lucro che si pro­spetta per le imprese pri­vate di assi­cu­ra­zione. E però qual­che timido segnale di insof­fe­renza si coglie.

Sul Cor­riere della Sera il giu­ri­sta Sabino Cas­sese para­gona il gua­scone Renzi a un attore comico fran­cese, Jac­ques Tati. Più che il cinea­sta d’oltralpe, che recu­pe­rava il cinema muto di Kea­ton e non spri­gio­nava un tratto ver­bale osses­sivo, è l’atmosfera di una certa Toscana minore che rie­cheg­gia in Renzi. Il pre­mier è un misto tra la comi­cità pop, senza acuti e nessi crea­tivi pun­genti, di Pana­riello e il gusto infi­nito per il gioco, per il rischio, per l’azzardo di Pupo.

Ma, a parte le rica­dute este­ti­che dell’accostamento del pre­si­dente del con­si­glio a un comico, il pro­blema che Cas­sese segnala potrebbe spin­gere una parte delle élite a ten­tare di sosti­tuire l’esuberanza del comu­ni­ca­tore con la sobrietà di uno sta­ti­sta.
La ripro­po­si­zione di un pen­dolo antico tra il tec­nico e il comico non pare però avere molte chance. E poi Renzi è di sicuro un comico, come indica Cas­sese, ma con un pro­gramma che è simile a quello dei tec­nici. Per que­sto è da esclu­dere una sua rimo­zione ordi­nata dalle can­cel­le­rie euro­pee e rati­fi­cata dai ver­tici delle isti­tu­zioni italiane.

Un capi­ta­li­smo ita­liano ancora più debole, con i suoi beni scarsi messi in ven­dita, accre­sce gli appe­titi di appro­pria­zione col­ti­vati dai mer­cati inter­na­zio­nali. A certe aree spe­cu­la­tive e imprese cor­sare, un sistema eco­no­mico in affanno stuz­zica mire espan­sive, per­ché il declino con­sente di con­trol­lare i resi­dui pezzi pre­giati del made in Italy con un tarif­fa­rio di acqui­si­zione molto a buon mer­cato.
La depo­si­zione di Renzi, in que­sto sce­na­rio, non pare pro­pe­deu­tica al ritorno in cat­te­dra di per­so­na­lità delle aree tec­ni­che, di spez­zoni respon­sa­bili delle isti­tu­zioni. Lo spe­gni­mento del ren­zi­smo può coin­ci­dere solo con l’autodissoluzione di una mag­gio­ranza imbelle dinanzi alla crisi che si appro­fon­di­sce e spa­venta la coa­li­zione sociale di supporto.

Per que­sto Renzi attacca il sin­da­cato che gli ricorda i dati impie­tosi sulla disoc­cu­pa­zione di lungo ter­mine. Costrui­sce un nemico e spera che i signori dei media, del denaro, della finanza sap­piano distin­guere i loro com­plici nelle isti­tu­zioni, ed essere loro grati. All’impresa del resto il governo ha tagliato di ben 10 punti le tasse sui pro­fitti, e inol­tre ha desti­nato ad essa decon­tri­bu­zioni ghiotte in caso di assun­zione a tempo inde­ter­mi­nato (almeno triennale).

E però Renzi non si sente tran­quillo gio­cando a biliar­dino. Avverte che il disa­gio sociale potrebbe costruire dal basso delle alter­na­tive poli­ti­che impre­ve­di­bili, capaci anche di espu­gnare le for­tezze edi­fi­cate per lui da media e capitale.

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