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Ordoliberismo e Wolkswagen

di Christian Marazzi

Il modello tedesco, che da anni orienta (eccome) le politiche in seno all’Unione europea, è un insieme piuttosto coerente dei seguenti ingredienti: politica di austerità, bassi salari, restrizioni del Welfare State, utilizzo di mano d’opera straniera e politiche aggressive di sostegno all’export.

Da non dimenticare l’idea morale e virtuosa della competitività e della neutralità della moneta, incarnate in quell’etica protestante che divide il mondo in due, chi lavora sodo e chi vivacchia sulle spalle degli altri. Si tratta di un vero e proprio modello, ne sanno qualcosa i greci ma anche tutti i paesi membri della Ue costretti nella loro diversità ad adeguarsi agli imperativi della signora Merkel e di quell’altro campione di moralità che è il ministro delle finanze tedesche, Schaeuble.

Questo modello ha una lunga storia, nasce nel corso degli anni trenta da un gruppo di economisti e giuristi tedeschi (Walter Eucken, Franz Böhm e Hans Grossmann-Dörth) confrontati da una parte con il capitalismo di stato nazista e, dall’altra, con la dottrina del laissez-faire anglosassone. Ad esso venne dato il nome di economia ordoliberale, dove “ordo” sta per ordine per una ragione precisa: occorre che l’azione governativa sia subordinata alla stretta osservanza di un ordine, l’ordine dell’economia di mercato.

A differenza degli adepti del lasciar-fare anglosassoni, gli ordoliberisti tedeschi rifiutano l’idea che lo Stato influenzi, cioè distorca, il gioco del libero mercato. La libera concorrenza, secondo loro, non si sviluppa spontaneamente, non ha nulla di “naturale”. “Lo Stato deve organizzarla; deve costruire il quadro giuridico, morale, culturale del mercato. E far rispettare le regole”. Le regole hanno un carattere divino, ha detto Varoufakis parlando del ministro delle finanze Schaeuble. Lo Stato non deve dirigere il processo economico in quanto tale, deve però costruire il quadro istituzionale entro il quale l’economia deve funzionare.

È per questo motivo che lo scandalo della Volkswagen rappresenta un guasto spaventoso per la Germania, una crisi che va ben oltre la violazione degli standard ambientali prestabiliti e le multe gigantesche che il gruppo tedesco si troverà a dover pagare non solo negli Stati Uniti. Chissà quante altre compagnie automobilistiche usano trucchetti per eludere le norme anti-inquinamento, norme peraltro molto care al popolo tedesco, notoriamente ambientalista.

Possiamo solo sederci lungo il fiume e goderci lo spettacolo nel prossimo futuro. Il problema è un altro: che ne è, che ne sarà dell’idea del mercato come rappresentazione di un ordine razionale e della competitività come disciplina che si esercita secondo regole ferree?

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