Print Friendly, PDF & Email

caratteriliberi

Metamorfosi e divisioni del Pd

di Giorgio Salerno

Alcuni passaggi politici di queste ultime settimane di gennaio hanno ancora una volta mostrato serie difficoltà del PD ad offrire un’immagine chiara ed univoca della sua proposta politica, quella che un tempo si sarebbe chiamata la ‘linea’ del partito.

Le vicende delle unioni civili e della ‘riforma’ costituzionale, comunque vadano a finire, hanno già dimostrato due cose : la prima è che sui temi etici esistano due PD, uno di cattolici integralisti ed uno di ‘laici’ variamente motivati, la seconda che sui temi costituzionali la minoranza di sinistra non ha rinunciato del tutto a dare battaglia sulla elezione diretta dei senatori. Anche su questo versante un altro PD.

Siamo ancora all’ “amalgama mal riuscito” (D’Alema) od al “partito mai nato” (Cacciari)?.

Finora, tra le due minoranze, quella cattolica appare più convinta e decisa rispetto all’altra che sovente è apparsa risibile con i suoi penultimatum sempre finiti in capitolazioni di fatto. Ricordate i fieri propositi di Bersani che affermava non esservi disciplina di partito che tenesse di fronte alla modifica della Costituzione? Affermazione ‘coerentemente’ confermata dal voto favorevole di quasi tutti i senatori dissidenti al primo voto al Senato sulla riforma Boschi? Solo in pochi ne trassero le conseguenze votando contro o uscendo dal PD come Mineo. Ma allora quanti PD esistono? E la maggioranza di governo a quale ‘linea’ del PD risponde?

Le ultime elezioni politiche, febbraio 2013, videro ‘la non vittoria’ di Bersani con l’alleanza PD-SEL denominata ‘Italia bene comune’ che comunque conquisto’ la maggioranza dei seggi alla Camera grazie al sistema elettorale del Porcellum. Naufragato il tentativo bersaniano per volontà del Presidente Napolitano, si arrivo’ alla prima distorsione del voto popolare con la nascita del governo Letta ed alla lenta fuoriuscita dal centro-sinistra con una nuova maggioranza spostata a destra, le larghe intese.

Con l’avvento di Renzi, e la nascita del Nuovo Centro Destra di Alfano, si passo’, sempre con l’avallo del Presidente Napolitano, ad un governo organico PD-NCD e di cio’ che restava di Scelta Civica di Monti. I milioni di cittadini che avevano votato per il centro-sinistra, per l’alleanza Bersani-Vendola, si trovavano ad avere una maggioranza di governo grazie ai voti di ex berlusconiani pomposamente autodefinitosi Nuovo Centro Destra. Contemporaneamente si accentuavano i contrasti con l’ala sinistra del PD e con tutto un arco di forze intermedie (sindacati, scuola, magistratura etc).

Con l’approvazione in terza lettura in Senato, di pochi giorni fa, della ‘riforma’ costituzionale, i voti del gruppo ALA di Denis Verdini, nuova formazione di altri transfughi berlusconiani, sono stati determinanti per far passare la suddetta legge. Il giorno dopo Verdini, che si vanta apertamente di essere stato tra gli estensori della legge di riforma costituzionale insieme alla Ministra Boschi, è stato ricompensato con la vicepresidenza di tre commissioni parlamentari.

Ovviamente la minoranza di sinistra (sic) del PD si è ribellata alla possibilità di avere Verdini come alleato organico ma subito sono partiti i distinguo e le precisazioni (checché ne dica il vice segretario PD Guerini, il Guerin Meschin, secondo cui “l’iscrizione di Verdini al PD non esiste in natura”. Quale natura? Conosce Guerini il dibattito filosofico sul concetto di natura?

Appena due anni dopo il voto popolare il centro-sinistra è nei fatti definitivamente e spudoratamente archiviato. A parole, e per motivi elettorali, ancora lo si invoca di tanto in tanto e si lasciano in vita esangui simboli di un passato di sinistra come l’Unità, ma la realtà è che la nuova maggioranza è formata dal PD renziano e da una buona metà di ex PDL o Forza Italia. Senza ombra di dubbio ormai siamo governati da una maggioranza di centro(?)-destra tout court.
Ovviamente il sistema dei media è già partito alla difesa di questa ultima oscenità politica e di Renzi, novello re Mida, che trasforma tutto cio’ che tocca in cibo politicamente commestibile.

Il complesso di questa vicenda ci porta di nuovo ad interrogarci sulla natura del PD e sulla sua storia, a chiederci come si sia arrivati a questo punto, quali errori siano stati commessi e quali passaggi abbiano modificato le originarie aspirazioni di questo Partito. Non è questa la sede per tracciare una storia della formazione del PD ma basti ricordare che gli antecedenti dell’attuale confusione di linee del Partito renziano si possono rintracciare già a partire almeno dal 2003.

Alla vigilia delle Elezioni Europee del giugno 2004, un aspro dibattito si era sviluppato tra i fautori della lista unica dell’Ulivo ed i suoi avversari. Non vi era condivisione sull’adesione o meno al Partito del Socialismo europeo, sulla genericità della proposta di unire i ‘riformismi’, sul rischio che occultare le differenze tra laici e cattolici non fosse sinonimo di ricchezza ideale e così via.

La maggioranza dei DS, Fassino, D’Alema, Veltroni spingevano per la lista unica, la minoranza di Salvi, Mussi, Giovanni Berlinguer, ed intellettuali come Rossanda ed Asor Rosa, contrari. Singolare e tagliente il giudizio del vecchio democristiano Ciriaco De Mita: l’ipotesi di un partito dei riformisti è una follia; io non mi metto a fare pasticci (Corriere del Mezzogiorno 2.9.2003).
Il confronto ando’ avanti, dal settembre 2003, per alcuni mesi ma prevalse, alla fine, l’ipotesi unificazionista ed alle Europee 2004 si ando’ con la lista Uniti nell’Ulivo, embrione del PD attuale. Processo che si compì pienamente nel 2007, con la fusione tra i DS, Democratici di Sinistra, già PDS e La Margherita centrista, dando vita al nuovo Partito, figlio diretto dell’Ulivo prodiano. Anche questo passaggio non fu indolore e senza forti riserve soprattutto tra i DS che vinsero il congresso di scioglimento a maggioranza e con l’opposizione della sinistra.
La lunga marcia che prese l’avvio nel 1989 con l’inizio dello scioglimento del PCI e la dissoluzione della DC è giunta alla fine.

Oggi il PD renziano è sempre più un partito post-moderno, ‘liquido’, grande presenza sui media, pubblicitario, linguaggio ‘pop’, classe dirigente senza selezione ma scelta direttamente dal capo, contrapposizione alla destra abolita, partito come macchina del consenso. Il Segretario del PD non darà al partito una linea ma essa sarà di volta in volta adeguata alle circostanze, essa sarà una ‘non linea’, camaleontica, da nuovo Zelig o, per rimanere in Italia, dal trasformista Arturo Brachetti, nuovi attori per vecchie repliche del teatro politico.

Un arguto e spiritoso democristiano di lungo corso, Paolo Cirino Pomicino, nel suo ultimo libro “La Repubblica delle giovani marmotte” (UTET 2015) ci fornisce un’analisi e delle interpretazioni largamente condivisibili. L’ex ministro andreottiano rileva come negli ultimi venti anni si sia determinata una divisione profonda nella società italiana senza precedenti nella storia unitaria del Paese. La causa prima di questo colossale smarrimento è la crisi del pensiero politico. “Pallidi spettri di un mondo sfarinato confondono il tramonto delle ideologie con la rinuncia alle culture politiche”.
O con la rinuncia alla cultura semplicemente.

Add comment

Submit