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sinistra

Il potere economico e le sue fiction

di Davide Restano

Lo si sente dire spesso, la televisione è il principale veicolo attraverso cui nuovi modelli di comportamento hanno potuto diffondersi. Giornalisti, filosofi, sociologi lo ripetono da sempre. Eppure di rado viene specificato quale sia il contenuto dei messaggi che la televisione diffonde, poco si dice circa il fine che essi realizzano, né ci si sofferma troppo sui contenitori ove tali messaggi si annidano.

Sino a poco tempo fa andava in onda un telefilm, Sex and The City, ambientato a New York e precisamente nella opulenta Manhattan dei primi anni duemila. Qui si svolge la vicenda di quattro donne legate tra loro da una solida amicizia, e il cui sodalizio è scandito da regolari incontri presso un pub della zona. In tali occasioni le amiche si scambiano pareri sugli uomini, confessandosi vicendevolmente le rispettive ed estemporanee avventure sessuali. Carrie, voce narrante del telefilm, cura una rubrica per una rivista femminile in cui vengono affrontati temi delicati come sesso e amore; poi c’è Miranda, raziocinante avvocatessa perennemente coinvolta in un burrascoso rapporto con il proprio compagno Steve, rapporto naturalmente intervallato da numerosissimi flirt; Charlotte è invece la romanticona del gruppo, che nel disilluso clima della metropoli americana ancora sogna di sposare il principe azzurro e di metter su famiglia. Il personaggio più carismatico è però Samantha, aggressiva e sarcastica donna di mezza età, dall’appetito sessuale vorace ed insaziabile tanto da vedere nella città di New York “ un immenso buffet per single ”.

Tale personaggio merita una riflessione, poiché ben rappresenta il tipico strumento mediatico attraverso cui il potere riproduce se stesso e promuove comportamenti conformi ai suoi scopi. Samantha è mostrata come la donna emancipata per eccellenza, ha un lavoro, è ricca, ama fare shopping solitario, è sicura di sé, ha una vita sessuale decisamente intensa e variegata. Sul piano affettivo non si lega a nessuno dei partners che frequenta, ogni storia si esaurisce in maniera rapidissima. La sua è una vita relazionale “usa e getta”.

Tuttavia qualora si consultasse un qualunque dizionario di lingua italiana alla voce emancipazione si leggerebbe all’incirca questo: “ Liberazione da ogni soggezione, materiale o morale che sia”.

E qui casca l’asino, perché se quanto la nostra lingua ci insegna è vero allora attraverso le sue fiction il potere presenta come libera un tipo di donna che può essere tutto tranne che, appunto, libera. L’emancipazione è infatti un atto per sua natura oppositivo, ci si affranca da una data condizione per opposizione. Samantha di Sex and the City fa l’esatto contrario, mette in scena tutti i riti della società consumistica ricercando esclusivamente il proprio godimento personale e disinteressandosi al bene della collettività. Non ha nulla della donna emancipata, semmai è il consumismo ad emanciparsi in lei arrivando a mettere radici nella sua anima, tanto da spingerla a trattare i diversi amanti come fossero oggetti di consumo.

Ed ecco in quale modo il potere ci inganna, mostrandoci una cosa per un’ altra, facendo passare per liberazione quello che proprio non può esserlo, e che è anzi il suo contrario. E se è vero quanto diceva Pasolini, ossia che il linguaggio rappresentato, il quale comunica attraverso le immagini, è persuasivo più del linguaggio parlato, che usa la parola, si capisce come grazie alla Tv e in particolare alle fiction un certo sistema economico e le sue logiche abbiano potuto conquistare il nostro immaginario.

Sex and The City è stato molto più che un telefilm proprio come Carosello a suo tempo fu molto più di un semplice varietà. La sit-com americana ha messo su grande schermo lo spartito che le nuove generazioni dovranno seguire nei prossimi decenni, per dare esecuzione al loro auto-isolamento nella moltitudine fatto di scarpe alla moda e di sesso da urlo. Il vademecum del nuovo capitalismo sembra concretare il timore marxiano che l’uomo si senta e si creda uomo allorché si muove nel mondo per soddisfare le sue più basse esigenze.

Così la società dei consumi ci fa emozionare, costruisce in noi i suoi miti e alla fine ottiene il suo scopo. Il consenso ma forse anche di più, l’emulazione.    

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