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the walking

L’altro lato oscuro del QE: la concentrazione della ricchezza

Maurizio Sgroi

Ormai da un paio d’anni molti osservatori si stanno ponendo una semplice domanda: le politiche monetarie stanno concorrendo all’aumento della disuguaglianza? Poiché tale risposta non è accettabile provenga dal senso comune, che pure lascia immaginare di sì, è interessante leggere un’analisi svolta da alcuni studiosi della Bis e pubblicata nell’ultima quaterly review (“Wealth inequality and monetary policy”) che contribuisce a contornare meglio il problema, pure se con i limiti di una simulazione astratta dalla realtà che, come diceva un celebre matematico, è assai difficile possa essere contenuta nello spazio angusto di una pagina.

Il presupposto dell’osservazione è che il trend all’aumento della disuguaglianza, ossia alla concentrazione della ricchezza in un fascia ristretta della popolazione, prosegue ormai da un trentennio per ragioni che sono state ampiamente discusse e che non rileva riepilogare qui. Assai più utile osservare il grafico proposto dagli economisti della Bis che considera quattro grandi economie in un arco di tempo che parte dal 1810 e arriva al 2010, quindi due secoli. La tendenza comune a queste economie, che sono Francia, Svezia, UK e Usa, è quella di una crescita della diseguaglianza lungo tutto il XIX secolo, anche se con picchi differenti, per poi assistere a un retrocessione che comincia con la prima guerra mondiale e prosegue fino a tutto il trentennio del secondo dopoguerra, quando la diseguaglianza ha ripreso ad aumentare. Siamo alle prese, perciò con un trend di lungo periodo nel quale l’azione delle banche centrali successiva al 2008 incide relativamente poco.

E tuttavia non è ozioso chiedersi come agisca. A tal fine gli autori si sono servita delle survey svolte su sei grandi economie di recente su cinque paesi europei (Italia, Spagna, Germania, Francia e Uk) e gli Usa, che però hanno il poco confortevole requisito di essere poco confrontabili per le diverse metodologie di aggregazioni. Inevitabile perciò rivolgersi a una simulazione basata sul presupposto che il portafoglio di asset, sul quale valutare gli effetti della politica monetaria, sia indipendente dalle condizioni macroeconomiche e finanziarie.

Una volta costruito questo portafoglio-campione, si sono osservati i tassi di crescita degli asset e dei debiti calcolando il ROE (return on investment) e il costo del debito. Infine si è proceduto a calcolare una misura della diseguaglianza della ricchezza definita come il rapporto fra il quinto quintile della distribuzione della ricchezza, quindi la fascia più ricca della popolazione, e il secondo quintile. Secondo questa definizione la diseguaglianza aumenta quando il quintile più ricco accumula ricchezza più velocemente rispetto al secondo quintile.

La premessa metodologica, per quanto cervellotica, serve soltanto a ricordarci che quando ragioniamo di diseguaglianza molto dipende dai presupposti che si mettono a basa dell’analisi. E perciò è ingannevole, oltre che errato, parlare dei risultati senza conoscere le premesse sulla quali questi risultati sono costruiti.

E veniamo ai risultati. La prima considerazione è che i portafogli delle diverse fasce di reddito sono sostanzialmente diversi. Quelle più ricche esibiscono una quota rilevante di ricchezza finanziaria, oltre a quella reale. Quelle più povere hanno poca carta e molto mattone. Altrsì evidente, il peso dei debiti è relativamente più alto sulle fasce più povere anche se magari è più basso in valore assoluto. Per le fasce più povere è normale avere un mutuo sulla casa che pesa parecchio lato debito, anche se magari il mutuo è di importo modesto.

L’analisi dei dati rivela altre informazioni. La prima è che la diseguagliaza è aumentata notevolmente dopo la grande crisi finanziaria (GFC), pure se con la sottolineatura che tale risultao è da considerarsi un trend più che un ordine di grandezza. La seconda informazione è che i titoli azionari e il mattone sono stati i due canali attraverso i quali si è diffuso questo aumento di diseguaglianza. Ciò in quanto i titoli hanno avuto una notevole ripresa di valore, assai più del mattone. E ciò ha inevitabilmente favorito la parte più ricca delle popolazione, che ha questa carta nel suo portafoglio.

La terza informazione è che bond e depositi hanno giocato un ruolo marginale, tranne che in Germania dove i tassi declinanti sui depositi, che rappresentano più della metò degli asset delle famiglie della fawscia di reddito più basso, hanno aggravanto la diseguaglianza di partenza. I tassi bassi, insomma, fanno male a chi ha poco e giovano a chi ha tanto. Infine, è emerso che un più alto indice di leverage, quindi famiglie che hanno più debiti a fronte di maggiori asset,  è stato un altro fattore che ha amplificato gli effetti distributivi. Pensate ad esempio a una famiglia della fascia ricca, che ha giocato spregiudicatamente in borsa in questi anni: la sua ricchezza è sicuramente aumentata mentre quella dei più poveri, che tengono i risparmi sul conto corrente, è diminuita.

Questa situazione ci riporta al quesito iniziale: le banche centrali hanno favorito queste sperequazioni? “Le politiche monetarie agiscono sulle famiglie in tanti modi – osservano gli autori – i cambiamenti del tasso di interesse impattano sulla valutazione degli asset sia reali che finanziari e le politiche convenzionali di ribasso dei tassi a breve termine tendono a far salire i prezzi degli asset, ma la teoria tradizionale dice che questi effetti, a livello redistributivo, sono trascurabili.

L’arrivo delle politiche non convenzionali, tuttavia, ha messo in discussione questa conclusione per una serie di ragioni: le banche centrlai hanno provato a ricalibrare i portafogli degli operatori, spingendoli verso prodotti più rischiosi, hanno tenuto i tassi a livelli bassi per lunghissimo tempo e inoltre sono cambiate le componenti della ricchezza. Dal 1980, quindi più o meno da quando si è invertito il trend secolare della diseguaglianza, la quota di ricchezza da capitale sul reddito è cresciuta significativamente ed ora pesa circa il 30% sui redditi delle famiglie dei paesi considerati. Evidentemente favorire i boost abbassando i tassi incide parecchio su questa quota di reddito, favorendo chi ha più capitale rispetto a chi ne ha meno.

La conclusione è sibillina: “La simulazione non stabilisce un link diretto fra diseguaglianza e politica monetaria ma fa luce su alcuni canali attraverso i quali la politica monetaria possa averla favorita”.

Non si può provare che l’azione delle BC abbia favorito la diseguaglianza. Insomma: vengono assolte per insufficienza di prove. Non per non aver commesso il fatto.

Comments

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Claudio
Tuesday, 05 April 2016 17:49
Leggendo questo articolo di commento, mi da l’impressione che questi signori, cioè sia gli studiosi della Bis che il sig. Sgroi, abbiamo operato come quel tipo che, dovendo arare un campo, invece di procedere con aratro o vanga, si è messo a farlo col cacciavite. Infatti, costoro, nel considerare l’andamento della concentrazione della ricchezza anziché prendere in considerazione la dinamica della lotta di classe e le leggi economico/sociali, messe in atto dagli stati, che la determinano per oltre il 90%, questi signori considerano, a quanto sembra, unicamente, la politica monetaria attuata dalle banche centrali coi Quantitative easig (QE), che se va bene può influirvi per non più di una unità percentuale o giù di lì. Pertanto, se proprio vogliono vedere l’effetto che ha avuta la politica delle banche centrali, su tale processo, dovrebbero prima detrarre la parte preponderante, dovuta, come detto, alla dinamica della lotta tra le classi e alle politiche governative, e soltanto sulla parte marginale restante, calcolarne gli effetti.
Per poter dire qualcosa in materia, mi concentro pertanto sulla parte di gran lunga preponderante. Osservando i grafici sull’andamento della diseguaglianza, dal XIX al XXI secolo, che questi soloni ci offrono, si vede chiaramente che nel tempo essa ha una tendenza prevalentemente crescente, salvo a calare rapidamente ed in modo deciso, durante un intero settantennio del secolo scorso. Per la precisione ha iniziato a restringersi nel 1910, cioè con la crescita delle lotte politiche e sociali, mentre ha nuovamente iniziato a ricrescere nel 1980, per impennarsi negli ultimissimi anni, cioè con lo scemare di tali lotte e quindi con la crisi in atto. Ma come ricordavo più sopra, ha influito su tale dinamica anche la politica economico/sociale messa in atto dagli stati. Dagli anni ottanta del secolo scorso, infatti, mentre scemavano le lotte, si sono susseguite varie crisi, nelle quali gli stati sono sempre intervenuti a sostegno di aziende e banche in difficoltà, trasferendo ricchezza al profitto e addossandone gli oneri alla fiscalità generale, che com’è noto è sostenuta per circa l’80% dalla tassazione di lavoratori dipendenti e pensionati. Anche tale dinamica è stata favorita dal venir meno della lotta sociale. Quindi, se le classi più povere vogliono cercare di ridurre la concentrazione della ricchezza e diminuire la forbice tra ricchezza e povertà devono riorganizzarsi e riprendere con slancio e decisione la lotta, che dal momento che viviamo in un sistema globalizzato, non può limitarsi alla singola azienda, settore, o nazione, ma deve tendere ad essere il più possibile globale.
Le cause che hanno portato alla concentrazione della ricchezza, non sono ovviamente soltanto quelle accennate, centra, in primo luogo, la filosofia a cui s’ispira il sistema. Si sa che dagli anni ottanta del secolo scorso, il sistema capitalistico internazionale si è ispirato al neoliberismo, con la sua liberalizzazione dei capitali e dei commerci, e quindi la globalizzazione di economia e finanza, col conseguente sviluppo delle multinazionali e il decentramento produttivo verso i paesi a più bassi salari, in cui non era presente alcuna forma di lotta economico/sociale organizzata. Si è cioè affermato il cosiddetto pensiero unico, cha ha esaltato l’individualismo, ovvero la tendenza a far prevalere in modo eccessivo gli interessi individuali della classe dominante su quelli collettivi, che in altre parole significa far prevalere la legge del più forte, la quale è stata addirittura elevata a sistema. Negli ultimi anni poi, nella concentrazione della ricchezza, ha giocato un ruolo preponderante la crisi, o meglio la politica dell’austerità che è stata applicata per cercare di superarla. Il che non ha fatto altro che esasperare i tratti della politica neoliberista di sostegno al profitto e di addossamento dei sacrifici alle classi deboli. Da qui l’aumento vorticoso delle disuguaglianze di questi ultimissimi anni.
La seconda parte dello scritto, in cui il nostro pretende di fare una erudita critica agli studiosi della Bis, è un vero guazzabuglio di concetti che fanno a pugni tra loro, ed è pieno di termini finanziari in inglese, tanto per darsi un po’ d’importanza, di cui solo il sig. Sgroi, forse, saprà quello che voluto dire, dal momento che considera, a quanto pare, i salari e le pensioni come degli “asset” , il cui termine letteralmente significa: ”Qualsiasi bene di proprietà di un'azienda (macchinari, merci, ecc.), che possa essere monetizzato e quindi usato per il pagamento di debiti”. Più sotto, egli eruditamente spiega che: “i portafogli delle diverse fasce di reddito sono sostanzialmente diversi”. Meno male che lo riconosce, dal momento che i primi hanno tanti soldini mentre i secondi hanno soprattutto debitucci crescenti. Ma il nostro intende tutt’altra cosa. Infatti disquisendo sulle diverse fasce di reddito sentenzia “Quelle più ricche esibiscono una quota rilevante di ricchezza finanziaria, oltre a quella reale. Quelle più povere hanno poca carta e molto mattone”. Ma forse questo erudito signore non sa, dal momento che parla di mutui, che fino a quando la casa non viene pagata interamente, in quanto ipotecata, resta di proprietà della banca. Infatti, essendo essa ipotecata, significa che la stessa ipoteca “attribuisce al creditore la facoltà di produrre l'espropriazione del bene e la sua vendita forzata” Ma nonostante la sfilza di strafalcioni, il nostro eruditissimo scrittore riesce a concludere dicendo: “Non si può provare che l’azione delle BC (Banche centrali) abbia favorito la diseguaglianza. Insomma: vengono assolte per insufficienza di prove. Non per non aver commesso il fatto”.
Bravissimo, complimenti, continua così!
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