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La crisi della destra e la riorganizzazione dello spazio politico

di Aldo Giannuli

Con la rottura fra Lega-FdI e Forza Italia a Roma e Torino, siamo entrati in una fase di entropia della destra che rischia di disintegrarsi. L’asse Salvini-Meloni punta non a vincere le elezioni (non credo che neanche loro si illudano di spuntarla in nessuna delle due città), ma ad un più modesto derby interno alla destra: battere il candidato di Forza Italia per piegare la leadership del vecchio ex Cavaliere in vista delle politiche. Ed allora valutiamo gli scenari che possono derivare da questo doppio test (e sempre che non ci sia una frettolosa ricomposizione dell’ultimo minuto).

Partiamo da una premessa: va da sé che la destra nel suo complesso, data questa divisione, non ha speranza di vincere da nessuna parte, salvo, forse, Milano dove (almeno per ora) è unita. Mentre nella maggior parte dei casi ai ballottaggi ci va il M5s. Quindi, la certificazione di essere passata nel girone cadetto e di essere uscita dalla serie A. Nell’anno e qualcosa che manca alle politiche, sarà molto dura risalire la china, salvo una crisi verticale di uno dei due competitori maggiori (Pd o M5s). E lo scontro per la leadership nella destra rischia di diventare un litigio fra ubriachi per il controllo del relitto galleggiante. Adesso veniamo al merito delle diverse possibilità che si aprono.

Prima ipotesi: Berlusconi batte i due ex alleati sia a Roma che a Torino, magari con buoni risultati sia in quelle due città che a Milano e Napoli. Sarebbe la fine dei sogni di Salvini, costretto a rientrare a testa bassa in coalizione con il vecchio pirata. Solo che difficilmente questa minestra riscaldata potrà sollecitare il palato degli elettori.

Seconda ipotesi: il duo Meloni-Salvini riesce a superare i candidati dell’ex Cavalier in tutte due le città. E’ la fine del vecchio capo, che dovrà anche affrontare la fronda interna di Toti con nuove scissioni e forse dovrà subire l’onta delle primarie dalle quali uscirebbe battuto. Questo, però, non porterà grande vantaggio ai due nuovi capitani della destra, perché quel che resta di Forza Italia si sbrindellerà per andare in parte nel partito della Nazione di Renzi. D’altro canto, una destra capeggiata da Salvini, da Roma in giù non becca neanche il 5%, per cui è comunque fuori concorso.

Terza ipotesi: la peggiore, e cioè un sostanziale pareggio fra i candidati dell’uno e degli altri, che significherebbe la prosecuzione dell’epico incontro di catch con il risultato di sbriciolare in breve quel che resta.

Insomma, salvo eventi eccezionali, qui non facilmente prevedibili (una resurrezione di Berlusconi che vince a Milano e riesce a strappare il ballottaggio in tutte le altre città o almeno a Napoli e Roma, che farebbe rientrare di prepotenza la coalizione di destra nella serie A dello scontro con il Pd alla battaglia finale), sembra che la destra non abbia molte carte da giocare. E, al di là delle sfortune personali del duce di Arcore o delle sciocchezze del ducetto della Lega, questo ha una ragione abbastanza chiara: con il Pd di Renzi, che è a tutti gli effetti la destra di questo paese, non c’è più spazio per il folklore leghista, le nostalgie meloniane o il revival berlusconiano. Ma se come tutto fa pensare, la rappresentanza parlamentare di Lega, FdI e Fi dovesse ridursi ad 80 o 90 deputati spezzettati in tre o quattro formazioni, mentre il resto confluirebbe nel partito di Renzi, quanto durerebbe il Pd così come lo conosciamo? Non so se una scissione di sinistra raccoglierebbe il 7 o il 9% (come dicono alcuni sondaggi che peraltro non disinteressati) o più, certamente sarebbe sempre più difficile la convivenza sotto lo stesso tetto di quanti ancora si illudono che il Pd sia la sinistra italiana e l’erede del Pci con quasi tutta la vecchia Forza Italia.

Ma non è detto che la ristrutturazione del sistema politico italiano debba fermarsi solo alla destra. Di mezzo ci sono diversi appuntamenti, fra cui quello tutt’altro che irrilevante del referendum istituzionale: se, come ci auguriamo, dovesse essere perso da Renzi (sia che tenga fede alla parola di ritirarsi dalla politica o no), questo provocherebbe un terremoto nel Pd dagli esiti ora non prevedibili. Anche qui potremmo assistere ad una reazione a catena che polverizzi il partito. E non sarebbe una gran perdita.

D’altro canto, l’urto della globalizzazione neo liberista mandò in frantumi il sistema politico della prima repubblica nel 1992-93, ora l’urto della sua crisi potrebbe determinare il crollo di quello della seconda.
Io sono ottimista…

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