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manifesto

Il tour mediatico dell’opposizione venezuelana

Geraldina Colotti

Porte aperte, in Italia, ai rappresentanti della Mud. Senza contraddittorio

Che la propaganda resti un forte motore della politica a ogni latitudine, è un fatto: per nobili o meno nobili cause. Stupirsene, non aiuta. Vedere la grande stampa a rimorchio di una sola campana, fino al punto di capovolgere i termini della questione, fa però ancora effetto. Possibile – ci si chiede – che a nessuno venga in mente di verificare le informazioni che si veicolano, i curriculum dei personaggi e la pertinenza delle loro affermazioni? E invece no. La visita in Italia di alcuni rappresentanti dell’opposizione venezuelana è stata sponsorizzata a scatola chiusa e senza un minimo di contraddittorio, sia a livello mediatico che politico.

Protagonisti di una kermesse che durerà alcuni giorni, Leopoldo Lopez Gill, Vanessa Ledezma e il sociologo Tomas Paez. Sostenuto da una cordata di imprenditori e da forti lobby internazionali, il gruppo ha organizzato anche un incontro in un grand hotel romano, a cui ha partecipato oltre un centinaio di persone.

In un’atmosfera “coppoliana”, tra un premio al “buon papà” e invocazioni alla Vergine di Coromoto, tra una lacrimuccia e una battuta razzista, dal tavolo una sequela di affermazioni false o strampalate, degne dei tempi in cui i comunisti “mangiavano i bambini”. Difficile sottrarsi a un effetto straniante, di fronte a un Lopez Gill trasformato in sofferente cherubino, perseguitato da una feroce dittatura.

Il pedigree del conferenziere di Voluntad Popular è quello di un esponente dell’alta borghesia venezuelana, che per vent’anni è stato nel direttivo del giornale El Nacional.

Figura tra i firmatari del Decreto Carmona, con il quale il capo della locale Confindustria, Pedro Carmona Estanga, portato al potere da un colpo di stato, sospese tutte le garanzie istituzionali e diede luogo a un’energica repressione: fu durante il golpe contro il presidente democraticamente eletto, Hugo Chavez, nell’aprile del 2002. Un golpe deciso a Washington e orchestrato dall’oligarchia locale con la complicità delle alte gerarchie della chiesa cattolica: che durò solo due giorni perché il popolo riportò in sella il suo legittimo rappresentante.

In quei giorni, Leopoldo Lopez, figlio di Gill, consegnò alla storia una serie di performance non proprio pacifiche. Tra queste, il sequestro del personale dell’ambasciata cubana, compiuto insieme al futuro candidato presidenziale, Henrique Capriles Radonski.

Imprese che, come dimostrano numerosi video, Lopez ha ripetuto durante le violenze di piazza del 2014, che hanno provocato 43 morti e oltre 850 feriti: la maggior parte delle vittime (forze dell’ordine) è stata uccisa con colpi di arma da fuoco, altri (lavoratori che tornavano a casa la sera) sono stati sgozzati dal fil di ferro teso per far cadere i motociclisti. Vittime provocate dalla campagna lanciata da Lopez figlio, Antonio Ledesma e Maria Machado («la salida») per cacciare con la forza Maduro dal governo. Tutti grandi amici di Washington e destinatari dei suoi annuali finanziamenti, diretti o larvati (come la Red Democratica Universitaria di Tomas Paez).

E infatti, nessuno ha fatto mistero che le organizzazioni di sostegno all’estero siano «nate a Miami»: dove agisce il grande perturbatore dell’economia venezuelana (il sito del cambio parallelo Dolar Today), dove finisce buona parte del fiume di denaro sottratto dalle grandi imprese al governo per investimenti che non si fanno mai, e dove sono fuggiti banchieri fraudolenti e golpisti che la coalizione di Lopez vorrebbe amnistiare.

Paez e Lopez hanno accusato Diosdado Cabello di dirigere un cartello mafioso. Eppure nei Panama Papers figurano numerosi nomi dell’opposizione (uno per tutti, il capo della coalizione parlamentare, Julio Borges), ma non quello di Cabello e compagni. E le confessioni di uno squartatore iscritto a Voluntad Popular mettono in piazza tutti i panni sporchi (e violenti) dell’opposizione.

Ma le accuse a Cabello hanno preso forma a Miami e a Madrid, dove i Lopez hanno ottenuto cittadinanza grazie anche alla consonanza di vedute sull’idea di «sovranità» con la corona spagnola. Abbattere la statua di Colombo – ha scritto Lopez Gill – è uguale alle statue abbattute dall’Isis a Palmira, perché Bolivar e Miranda erano spagnoli.

Che poi la «feroce tirannia» diretta da Maduro sia passata attraverso il consenso delle urne, tanto che l’opposizione ha vinto le parlamentari, poco importa. E i politici detenuti per fatti gravissimi, anche se come Ledezma sono già agli arresti domiciliari, sono «prigionieri politici» barbaramente torturati: anche se – come testimoniano video e documenti – godono di tutte le garanzie. Anche se «la tomba» – un sotterraneo dove torturava la polizia politica insieme a gli anticastristi di Miami – è esistita solo durante la IV Repubblica: durante il Consenso di Washington che Lopez e i suoi vorrebbero ripristinare.

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