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Una vittoria inutile?

Considerazioni sulla sentenza di Hillsborough

di Vincenzo Scalia

È della settimana scorsa la notizia che la giustizia inglese ha finalmente riconosciuto che nel maggio 1989, allo stadio Hillsborough di Sheffield, la morte di 96 persone nell’attesa dell’incontro di Coppa di Inghilterra tra Nottingham e Liverpool non fu causata dal teppismo dei tifosi Reds, bensì dall’operato della polizia, che, a partire dalla reputazione di hooligans che i tifosi della Merseyside avevano guadagnato nel corso della tragedia dell’Heysel, attuò una strategia di contenimento rivelatasi fatale. Furono infatti le forze dell’ordine a spingere i tifosi all’interno di un tunnel in disuso, ad impedirne l’uscita, e causare la strage. Minori responsabilità sono state attribuite nella sentenza finale anche alla società calcistica dello Sheffield Wednesday, proprietaria dell’impianto sportivo, e alla Lega Inglese, che scelse Hillsborough come luogo adatto a far disputare una manifestazione sportiva a vasto richiamo.

Dopo 27 anni, la verità è stata accertata, e si scopre, come dice Suzanne Moore sul Guardian, che Hillsborough altro non era che uno degli episodi della guerra di classe che in Inghilterra si combatteva in quegli anni e si combatte tuttora, anche se con minore intensità, dato lo sbandamento delle classi subalterne inglesi. Gli anni ottanta hanno rappresentato un decennio cruciale per la società inglese, che si è posta suo malgrado come laboratorio del neo-liberismo europeo. In quegli anni, sotto l’arroganza neo-vittoriana di Margaret Thatcher, si scelse di liquidare 200 anni di patrimonio industriale. Le filande del Lancashire, i cantieri di Newcastle e Glasgow, le acciaierie di Sheffield, le miniere delle Midlands, vennero definitivamente dismesse, a detrimento di una vasta componente operaia, che di colpo si trovò priva di occupazione e di identità sociale. La reazione si manifestò sotto varie forme, dagli squatters allo sciopero dei minatori, dai riots agli hooligans, senza sortire risultati positivi. La guerra delle Falkland, l’impopolarità guadagnata da sindacati troppo corporativisti nel decennio precedente, le lotte intestine all’interno del Labour, l’incapacità di fermenti articolati di coagularsi in un progetto politico collettivo, permisero ai conservatori di attuare con successo la loro operazione di ingegneria sociale, che più tardi si sarebbe diffusa anche oltremanica, ricorrendo allo smantellamento dello stato sociale, a privatizzazioni massicce, alla repressione poliziesca. Non a caso, in quegli anni, i poliziotti furono gli unici addetti del settore pubblico i cui stipendi registrarono un massiccio aumento. E’ paradigmatico l’episodio che si verificò ai primi del 1985, quando i minatori in sciopero si videro sventolati dai poliziotti le buste paga con gli straordinari.

La tragedia di Hillsborough si inquadra proprio in questo contesto: si legge, sin dai riots di Brixton del 1981, la questione sociale come materia di ordine pubblico, e si vedono nelle masse  radunate anche per manifestazioni sportive degli assembramenti di “classi pericolose” da governare attraverso il manganello e la galera. Nel caso delle partite di calcio la sovrapposizione tra masse e sovversione diviene più evidente, sia perché in Gran Bretagna il football si connota, sin dalle origini, come sport della classe operaia, sia perché in quegli anni erano i club delle grandi città operaie del nord, Liverpool in primis, a dominare la scena calcistica. A completare il quadro, possiamo aggiungere l’attivismo di alcuni personaggi del calcio, come Bill Shankly e Brian Clough alla testa dei loro tifosi, quando, come lavoratori, protestavano e scioperavano contro la chiusura delle miniere o contro il licenziamento dei portuali. Il calcio, come fenomeno di massa e luogo di elaborazione di significati e rappresentazioni collettive, divenne, in questo contesto, come uno degli ambiti principali all’interno del quale applicare la bonifica sociale e proporre e veicolare un nuovo modello egemonico.

La tragedia di Hillsborough fornì il pretesto per modificare radicalmente il calcio e trasformarlo in maniera definitiva in un business modellato su parametri hollywoodiani: fine dei vecchi stadi con posti in piedi e loro sostituzione con impianti che sembrano delle piccole Disneyland munite di ristoranti, centri commerciali, appartamenti; squadre costruite con l’ingaggio di vedette internazionali che percepiscono ingaggi stratosferici; ridimensionamento dei settori giovanili; merchandising modellato a misura delle tv e delle majors dell’abbigliamento sportivo; e, soprattutto, pubblico costituito da famiglie della classe media e conseguente espulsione del pubblico di origine operaia dagli stadi. Un modello che oggi si vorrebbe esportare anche in Italia, e che ha lo scopo di trasformare il pubblico calcistico in una folla inebetita, addomesticabile, focalizzata su gadget e format televisivi più che sull’evento calcistico in sé.

Per queste ragioni, forse, la vittoria di Hillsborough arriva troppo tardi. La modifica del paesaggio sociale, e delle subculture calcistiche, hanno ormai preso piede, imponendo come orizzonti unici quelli del mercato. Tuttavia, questa sentenza, può costituire un punto di partenza per ricostruire i processi di ristrutturazione sociale e per dotarsi degli anticorpi necessari a contrastare trasformazioni simili.

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