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gliocchidellaguerra

La crisi europea, tra Ttip, Ue e Nato

di Pino Cabras

Non c’è stato l’oceano di persone di Berlino di qualche settimana fa, ma la voce di migliaia di persone contro il TTIP si è sentita anche a Roma, nella bella manifestazione del 7 maggio 2016. La consapevolezza del pericolo rappresentato da questo trattato è cresciuta nel corso del tempo, anche grazie ai tanti articoli che sono stati pubblicati in proposito. Raccomando ad esempio la lettura di un articolo del 2014 di Pierluigi Fagan: Geopolitica dei trattati di libero asservimento, che descriveva in modo esatto la fine della “prima globalizzazione” e l’apertura di una fase del tutto nuova, che nessuno ancora sapeva raccontare.

Ora, dopo la manifestazione, Fagan ci ricorda che il TTIP non è un trattato di libero scambio bensì “un contratto di accoppiamento strutturale per formattare un sistema che abbia gli Usa come centro di gravità: è propriamente un trattato geopolitico”.

All’Europa questo trattato semplicemente non conviene e infatti potrebbe non esser firmato prima della fine della presidenza Obama e con ciò, rimandato sine die.

Nel frattempo, certo, bisogna non abbassare la guardia, visto il livello paranoico di segreto che è stato imposto alla discussione del trattato, come è stato spiegato in dettaglio anche a La Gabbia. Mentre in altri paesi i governi stanno opponendo resistenza, in Italia la propensione di Matteo Renzi è quella di cedere su tutta la linea.

Cosa accadrà adesso? È il momento di immaginare qualche scenario, confrontandolo – come già implicava l’articolo di Fagan – con l’altro grande trattato geopolitico-economico che gli USA stanno modellando, il Partenariato Trans-Pacifico (TPP), una specie di cugino del TTIP. Cugino sì, ma non poi così somigliante.

Il TPP infatti è un trattato che lega stati “sovrani”, nella perfetta logica del cosiddetto “hub & spoke”: ove uno di questi Stati avesse la forza politica di sfilarsi dal trattato, il TPP sopravvivrebbe e potrebbe essere bilanciato dall’aggiungersi di altri Stati.

Il giornalista Simone Santini sottolinea che “la base giuridica del TTIP è diversa dal TPP, perché unirebbe USA e UE, e quest’ultima non è (ancora) uno Stato ma a sua volta un’organizzazione che si basa su un Trattato. Dunque, se il trattato UE dovesse rompersi, ecco che automaticamente anche il TTIP crollerebbe, azzerando tutto. Inoltre, dal punto di vista politico interno degli Stati aderenti alla UE, ai mal di pancia dei settori già euroscettici si assommerebbero quelli anti-TTIP, per cui prenderebbe grande slancio l’idea che UE+TTIP sono irriformabili e l’unica possibilità sarebbe la rottura”.

Chi si oppone a questo mostro transatlantico? A differenza che in passato, a muoversi non sono solo i cortei di manifestanti, ma ingenti forze economiche “nazionali”. Santini lo sottolinea: “Sembrerebbe che ai piani alti di qualche grattacielo americano si siano accorti di questo pericolo e che il TTIP ora basato sull’accordo USA-UE possa essere molto fragile. Le sollecitazioni che sta vivendo la UE (Brexit, Grexit, Schengen, ecc.) ma anche le stesse “fughe di notizie” del TTIPleaks, potrebbero, in parte, arrivare anche da quella direzione».

In effetti sull’Europa si addensa la tempesta perfetta e cresce ovunque la voglia di rompere la dittatura del regime europeo. Ogni crisi – in Gran Bretagna, in Grecia, in Spagna, più la grande crisi delle migrazioni – è la faccia di un prisma, il volume di una grande crisi europea nel suo insieme, dove nessuno osa più parlare, a parte Laura Boldrini, di “sogno europeo”.

Cosa implica, tutto questo? Per Santini c’è chi pensa ormai “che sarebbe meglio disarticolare prima la UE, e solo successivamente fare un trattato con alcuni Stati europei, quelli più affidabili, singolarmente, come nello schema del TPP”. Una sorta di versione “light” del TTIP. Alcuni rimarrebbero fuori, inizialmente, ma poi ne sarebbero fatalmente (tempo al tempo) attratti dentro. Insomma, come è accaduto con la Francia con NATO. Prima fuori, poi dentro.

In altre parole, ciò che anima il progetto contingente del TTIP è in realtà un progetto geopolitico di lungo periodo che eviterà di impiccarsi a una formula, se questa dovesse risultare impossibile, ma cercherà diverse vie per arrivare a blindare un’area geopolitica legata comunque agli USA. È un progetto che vuole formattare il sistema in tanti modi diversi tendenti allo stesso obiettivo.

Mentre si cerca la via giuridica per la “formattazione del sistema” dal lato dalla futuribile “NATO Economica”, vanno intanto avanti gli atti della NATO che c’è già, quella militare:

1) aumentano le pressioni per far aderire alla NATO anche Svezia e Finlandia, che oggi ne sono fuori;

2) aumenta la stretta militare nell’area baltica, dove si incrementano le esercitazioni militari e il tutto si salda a un incoraggiamento della “russofobia” nelle classi dirigenti, fino alla riabilitazione delle correnti naziste;

3) si utilizza la leva ucraina per alimentare la tensione e perpetuare il regime delle sanzioni europee antirusse provocando le contro-sanzioni antieuropee;

4) si fomentano nuove “rivoluzioni colorate” nell’area balcanica, per estendere i luoghi di separazione fra influenza russa e americana.

Ci limitiamo per ora a considerare la cortina di crisi sul suolo europeo e tralasciamo in questa occasione le crisi che si originano nel Medio Oriente – dove la NATO ha giocato ugualmente un ruolo perturbatore – nonostante anch’esse si proiettino sull’Europa.

Il risultato è che i focolai si ricompongono in un sistema di separazione artificiosa fra interessi europei e russi, che altrimenti sarebbero complementari e reciprocamente convenienti in termini di sicurezza militare, energetica ed economica.

Difficile che il TTIP sia firmato nel 2016, anno in cui si vota in USA. Nel 2017 si voterà in Francia, Nel 2018 in Italia e Germania. Nel 2019 si rinnoverà la Commissione europea. L’opzione di “comprare tempo” (temporeggiare, tirare a campare) a questo punto piacerà a molti. Qualcuno perciò si premunisce per il momento in cui i nodi verranno al pettine: la NATO-che-c’è-già sta creando una nuova cortina che circonda un sistema europeo in trasformazione-disgregazione. Chissà se il tempo che tutti compreranno basterà a far prevalere la trasformazione sulla disgregazione. In ogni caso, il volto dell’Europa sarà cambiato, sottoposto a una preponderanza del progetto militare. Inutile sottolineare i pericoli di guerra. Finché i popoli europei non si batteranno per la loro sovranità, questo pericolo incomberà, in aggiunta alle altre insicurezze economiche.

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