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Carrai: è in arrivo una guerra fra servizi?

di Aldo Giannuli

Due settimane fa sembrava arrivato il momento della tanto attesa nomina di Marco Carrai a responsabile della sicurezza cyber, nonostante le resistenze del Presidente della Repubblica e dei servizi, di cui si era fatto interprete presso il Copasir il prefetto Massolo. Poi, la nomina di Carrai venne rinviata di una settimana per imprecisati motivi tecnici, anche se non sfuggì agli osservatori il siluramento di Massolo che sembrava sicuramente destinato alla riconferma sino a poche ore prima del Consiglio dei Ministri.

Poi la settimana successiva è trascorsa inutilmente, almeno dal punto di vista della nomina, ma già nei primi giorni della successiva, il Fatto dava una notizia secca: la Cia avrebbe fatto presente ai servizi italiani l’inopportunità della nomina, in un posto tanto delicato, di Carrai indicato esplicitamente come agente di Israele. Tradotto dall’inglese: veto secco degli americani, che i servizi si sono affrettati a riportare al Palazzo Chigi. La notizia è stata ripresa dall’Hp che non è dir poco.

Se fossimo maligni ricorderemmo quella frase che, distrattamente, D’Alema disse in una cena, un paio di mesi fa, non accorgendosi che c’era una giornalista: “Renzi è un uomo di Israele. Bisogna toglierlo di lì”. Ma noi non siamo maligni e non la citiamo, così come non ci sembra significativa la ben nota vicinanza di Massolo e della direttrice del Hp (Lucia Annunziata) a baffino. Cose che non c’entrano con quel che stiamo dicendo.

Nello stesso periodo hanno ripreso a circolare voci sul passato della famiglia Carrai già comparse sull’Espresso un paio di anni fa, per le quali il nonno del nostro avrebbe fatto parte, a suo tempo, della banda Carità, una delle polizie “speciali” della Repubblica di Salò, una banda di delinquenti comuni torturatori, che arrestavano anche solo per estorcere denaro ai malcapitati (vedete wikipedia per farvi una idea sommaria), feccia della feccia.

Non so quanto ci sia di vero, ma immagino che all’Espresso abbiano fatto i loro accertamenti a suo tempo. Sta di fatto che ad un certo punto, la candidatura di Carrai sembrava finita.

A febbraio era tornato a galla l’affaire Abu Omar, per effetto della sentenza della corte di Strasburgo che ha condannato l’Italia per l’uso improprio del segreto di Stato (e c’è anche una bacchettata sulle dita degli ultimi due Presidenti della Repubblica, Napolitano e Mattarella, per la grazia concessa agli agenti Cia condannati per quel caso, precisando che nei reati di tortura la grazia va rifiutata). L’Italia ha avuto tre mesi per ricorrere contro la sentenza ma, a quanto pare non l’ha fatto. Sarà per questo o per altro, ma, proprio nelle due settimane scorse, ha preso a circolare la voce di una inchiesta interna al servizio militare di cui, ovviamente si sa pochissimo. Quel che si capisce è un certo imbarazzo dell’Aise a trattare la vicenda.

E qui, a voler fare dietrologia, dovremmo dire che è molto opportuna questa grana che crea fastidi proprio a quel servizio che più degli altri si sta dando da fare per bloccare Carrai. Ma non ci piace la dietrologia. Fatto sta che quella candidatura che sembrava affondata è tornata a galla all’improvviso.

E, nella recentissima trasmissione di Porta a Porta, il Presidente del Consiglio, ha chiarito in che termini intende modificare il decreto 24 gennaio 2013, emanato da Monti per regolamentare il settore (i particolari del decreto emanando sono stati riferiti dall’agenzia “Cyber Affairs” diretta da Michele Pierri che parla di pochi giorni o al massimo settimane, che ha anche aggiunto che nel frattempo, è stata data una scorta a Carrai per i pericoli legati al terrorismo (e chissà di quali terroristi si sta parlando….).

Il decreto – riferisce “Cyber affairs”-  “istituirà una nuova struttura di missione che assumerà le prerogative del Nucleo per la sicurezza cibernetica (Nsc), che oggi dipende dall’Ufficio del consigliere militare della Palazzo Chigi”. Va da se che la nuova struttura è ritagliata sulla figura di Marco Carrai. Fra i compiti del neo nato Nsc, ci sarebbero: il coordinamento degli  attori istituzionali che operano nel settore nel quadro delle rispettive competenze; la prevenzione e preparazione ad eventuali situazioni di crisi ed all’attivazione delle procedure di allertamento; stimolare la programmazione e la pianificazione operativa della risposta a situazioni di crisi cibernetica da parte dei soggetti pubblici e degli operatori privati interessati, e l’elaborazione delle procedure di coordinamento interministeriale per la gestione delle crisi.

Pertanto, priorità del nuovo organismo – aggiunge “Cyber Affairs” – saranno quindi il rafforzamento degli apparati informatici della Pubblica amministrazione (laddove non ci sono ancora scelte condivise), dei vari Cert e della partnership tra settore pubblico e privato”.

La nuova struttura avrà essenzialmente un ruolo di coordinamento, quindi non sottrarrà ad altri enti funzioni e competenze. E “non avrà impatti o sovrapposizioni –con le attività del Comparto intelligence, che continuerà ad essere l’unico deputato a gestire segreti di Stato anche sul versante elettronico”.

Messa così, non si capisce il perché di una specifica agenzia: se ciascuno continua nel quadro delle proprie competenze, per coordinare i diversi soggetti, sarebbe bastato il consigliere militare del Presidente del Consiglio, che ha avuto questa competenza sinora o, al massimo, la nomina di un ulteriore sottosegretario alla PdC. A meno che non di mero coordinamento si tratta ma di una sorta di supervisione.

Non si capisce bene. Noi non siamo maligni e dietrologi, ma avvertiamo un certo odore di zolfo nell’aria: non è che stia per arrivare una nuova guerra di intelligence?

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