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America Latina: l'offensiva del capitalismo estrattivo e la rinascita dei movimenti

di Christian Peverieri

Soffia da tempo un vento reazionario sul continente latinoamericano. Lo si è intravisto nelle radicali opposizioni di destra e nella perdita di fiducia dei cittadini ai governi progressisti in Bolivia, in Argentina, e soprattutto in Venezuela e Brasile; in quest'ultimo caso si è manifestato apertamente con le tornate elettorali degli ultimi mesi e con l'impeachment a Dilma Rousseff. La Presidente brasiliana è stata incastrata da un "golpe suave": la pratica "democratica", sempre più in voga, con cui i poteri forti neoliberisti rovesciano governi scomodi, come era giá successo con Manuel Zelaya in Honduras nel 2009 e Fernando Lugo in Paraguay nel 2012.

In Argentina ha vinto le elezioni dello scorso dicembre Macri. Il nuovo Presidente è un neoliberista convinto, che mette in atto provvedimenti con la formula del decreto, vale a dire senza passare attraverso l'approvazione del Parlamento, dimostrando così cosa sia questa nuova destra, demagogica, populista e pronta a tutto pur di favorire i grandi capitali a scapito delle persone. Va da sè che le sue politiche producano così licenziamenti di massa, precarizzazione del lavoro e misure repressive straordinarie nei confronti di chi protesta. Macri non ha fatto mistero di voler tagliare ogni ponte con il kirchnerismo e in questo senso vanno visti gli attacchi a sempre più diffusi oppositori al governo, tra cui le Madres de Plaza de Mayo, che dalle elezioni hanno iniziato a subire minacce ed intimidazioni.

In Venezuela la situazione è ancora più tragica: il Presidente Maduro ha perso il controllo del Parlamento alle ultime elezioni e, a due anni dalla morte di Chavez, stenta a tenere in piedi un Paese sempre più in crisi economica ed energetica. La siccità causata dal fenomeno El Niño e la feroce opposizione neoliberista (foraggiata dagli Stati Uniti) stanno mettendo in difficoltà Maduro, costretto ad emanare misure radicali e a dichiarare lo stato di emergenza. Quello in corso sarà il terzo anno di crisi per il Venezuela, forse tra tutti gli stati dell'intero continente quello più rappresentativo della Revolución Bolivariana, e maggiormente considerato come reale alternativa al capitalismo.

In Bolivia il presidente Evo Morales ha perso il referendum nel quale chiedeva ai suoi concittadini di potersi ricandidare alla presidenza per la quarta volta, scavalcando la Costituzione da lui stesso riscritta nemmeno dieci anni fa. É stata una sconfitta parziale, ma pur sempre una sconfitta significativa. Morales, il primo presidente indigeno, ha perso completamente il contatto con i movimenti, artefici della sua scalata politica dopo le moltitudinarie guerre dell'acqua e del gas degli inizi del 2000. Ora deve fare i conti non solo con l'opposizione neoliberista ma anche e soprattutto con la sfiducia e la rabbia dei movimenti, un tempo suoi alleati, che lo accusano di voler vendere il Paese alle multinazionali energetiche, assetate di terre indigene da sfruttare e devastare. La distanza di Evo dalla "sua gente" si è chiarita ulteriormente di recente quando ha fatto disperdere, con l'uso di lacrimogeni e cariche della polizia, le manifestazioni dei cittadini disabili che chiedevano un aumento della pensione d’invalidità (da 11 a 70 dollari mensili).

Il quadro di crisi continentale non può essere completo senza uno sguardo al Brasile che é nel pieno di una drammatica fase istituzionale. Lo scoppio dello scandalo di corruzione "Lava jato", ha visto coinvolto prima l'ex presidente Lula da Silva ed ha poi travolto anche la presidente Dilma Rousseff, accusata di aver falsificato i conti dello Stato pur non avendo preso tangenti. La Presidente è stata costretta ad abbandonare temporaneamente il suo incarico dopo l'impeachment promosso dall'ex alleato, e ora sostituto, Michel Temer, a rischio anch'egli di un procedimento d'accusa per le indagini sulla corruzione che coinvolgono lui e il suo partito. Il nuovo Presidente, di cui Wikileaks dice sia un informatore della CIA, in questi giorni ha nominato il nuovo esecutivo composto interamente da uomini e bianchi legati alla finanza e alle multinazionali e diretta espressione delle destre più ultraliberiste, violente, razziste e reazionarie. Nonostante la nomina di questo nuovo governo, la situazione è molto fluida e passibile di cambiamenti di ora in ora poiché sono forti le proteste sociali e il PT di Dilma e Lula ha promesso un'opposizione totale all'ex alleato. É da ricordare inoltre che il parlamento brasiliano vede coinvolti oltre 300 dei 500 parlamentari in processi di corruzione. Di certo un ruolo importante giocheranno le manifestazioni pro e contro Dilma che si confronteranno nelle piazze nei prossimi mesi.

In Perù poi si sta avvicinando l'ombra di un pericoloso ritorno al passato: nel primo turno delle presidenziali a dominare la scena è stata Keiko Fujimori, figlia del dittatore Alberto, il quale si trova ancora in carcere per i crimini commessi durante il suo regime degli anni novanta. Keiko non è solo la figlia di un criminale. É l'espressione delle élites reazionarie del Paese e se si guarda oltre le dichiarazioni di facciata, in cui proclama il suo amore per la patria e per i suoi cittadini, una sua vittoria rappresenterebbe non solo un ritorno agli anni bui della dittatura, ma anche un duro colpo verso tutti quei movimenti continentali autori di lotte di liberazione contro i sanguinari tiranni del Novecento.

Infine, un veloce sguardo all'Ecuador di Rafael Correa. La Revolución Ciudadana é in forte crisi di consenso e manca solo un anno alle elezioni a cui il presidente ha giá annunciato di non partecipare. Nel frattempo crescono le proteste contro la flessibilità lavorativa in un quadro di crisi petrolifera che ha acuito la precarietà e la riduzione dei salari.

Quali sono le cause di questo ritorno a forme di governo reazionarie, capitaliste, razziste? Scrive Raul Zibechi, scrittore e attivista uruguayano, "la crisi dei governi progressisti si deve alla loro incapacità di superare il modello estrattivo e nell'aver, al contrario, riproposto questo, che non è solamente un modello economico ma è un modello di società come lo è stata la società industriale: si tratta di relazioni sociali, cultura e vita; è un modello di morte che marginalizza tra il 30 e il 40% della popolazione, condannata a rimanere nelle periferie, ricevere politiche sociali e non poter nemmeno organizzarsi, che quando si muove un poco, quando esce dai propri quartieri, è criminalizzata solo per l'aspetto."

In queste poche righe c'è il riassunto di una situazione che riguarda l'intero continente e che è sfuggita di mano ai caudillos di sinistra. Questi governi progressisti, infatti, sono riusciti ad arrivare al potere alludendo - ma soprattutto illudendo - a un cambiamento radicale del sistema capitalista, ma ciò che hanno fatto nella realtà è stato cercare di governare in maniera progressista, un sistema di destra, che prevede disuguaglianze etniche e sociali, repressione, controllo e sfruttamento di risorse naturali. Sono a tutti gli effetti dei capitalisti, scendono ad accordi con i poteri forti dei rispettivi paesi e non hanno timore di investire nello sfruttamento delle risorse naturali. Hanno gestito il sistema capitalista invece di abbatterlo. I nuovi leader non hanno paura degli scandali, né personali né politici e di infrangere le regole o di modificarle per propria necessità. Non hanno paura di essere trasgressivi, tanto nella vita privata quanto in quella pubblica, non hanno paura di difendere gli interessi privati ai danni del bene comune e anzi li mascherano con la favola della pubblica utilità, dello sviluppo, del progresso.

Chi si mette di traverso è eliminato fisicamente.

È il caso di Berta Caceres in Honduras, assassinata da sicari legati a una impresa multinazionale che intende costruire una diga ad alto impatto ambientale e contro cui l'attivista hondureña lottava da anni. É il caso dei giornalisti scomodi in Messico, assassinati o fatti sparire perchè con le loro inchieste mettevano il naso nei rapporti tra narcos, istituzioni e imprese multinazionali.

Infine, sono esperti nella comunicazione, hanno la capacità di convincere anche gli strati più deboli della popolazione di agire per i loro interessi. Questo perché le politiche di diminuzione della povertà e della disuguaglianza dei governi progressisti hanno prodotto la perdita della coscienza di classe e aperto la strada alla società dei consumi.

Nonostante questo clima non certo favorevole, si intravedono degli spiragli di luce per i movimenti in divenire, che ovviamente riescono a dare suggestioni e a imporre cambiamenti con governi capitalisti piuttosto che con governi "amici". Il riassetto politico all'interno dei vari Paesi, infatti, sta favorendo la riorganizzazione dei movimenti i cui nemici principali tornano ad essere i governi capitalisti e corrotti. É il caso dell'Argentina che in questi primi mesi di governo Macri ha visto crescere il dissenso e soprattutto la riunificazione dei movimenti divisi dall'appoggio o meno al kirchnerismo.

Ma è un po' tutto il continente ad essere un focolaio di rivolte.

Un recente caso eclatante è quello della rivolta dei pescatori di Chiloé, nel sud del Chile, che per oltre due settimane hanno tenuto in scacco le forze dell'ordine mandate dal governo di Michelle Bachelet per sedare la rivolta e a difesa degli interessi dell'industria salmonera colpevole di aver inquinato pesantemente l'oceano. La Presidente è stata costretta dalla forza e dalla determinazione dei pescatori, appoggiati da tutta la popolazione e anche dai movimenti cileni, a scendere a compromessi. Il caso Chiloé è esemplificativo della direzione futura: si tratta di movimenti spontanei, molto spesso indigeni, che raggruppano intere comunità disposte a tutto per difendere la propria terra e le proprie tradizioni, dai disastri provocati dalle multinazionali. La difesa dell'ambiente, dei territori, dei beni comuni è l'elemento in comune di questi movimenti continentali perché è proprio a tutto questo che il capitalismo estrattivo ha dichiarato guerra promuovendo sfruttamento delle risorse naturali, devastazione dei territori e violenta repressione di ogni movimento che gli si oppone. Di questi segnali positivi il continente ne è pieno ed è grazie a questi esempi che possiamo guardare con fiducia all'America Latina, da sempre capace di produrre suggestioni e cambiamenti radicali attraverso la presa di coscienza politica e le lotte sociali.

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