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comuneinfo

La lenta fucina di un nuovo ciclo di lotte

Raúl Zibechi

Non è solo a Rio e a San Paolo che si vive col fiato sospeso. Il mondo intero sta guardando con interesse al Brasile: il governo dei golpisti ce la farà? Dilma ha ancora qualche chance di ritorno dopo la sospensione? Siamo già a un rientro trionfale di Lula con le prossime presidenziali? Mentre la crisi politica divampa, Raúl Zibechi guarda molto lontano, al Brasile che ha già iniziato a scrivere il suo futuro, soprattutto quello di chi non pensa che il mondo si possa cambiare dalle poltrone di governo e ai piani alti della macchina dello stato. La trasformazione in soggetto è un processo soggettivo, potente, di innamoramento della vita collettiva. Da settembre a oggi sono state occupate 500 scuole, migliaia di giovani stanno vivendo un intenso processo di autoformazione come militanti anticapitalisti cominciato alla fine dello scorso anno con un’ondata di mobilitazioni di studenti delle scuole secondarie nei quartieri popolari. La protesta si è tradotta in centinaia di occupazioni dove giovani dai 13 ai 18 anni decidono l’autogestione. Un nuovo ciclo di lotte che affonda le radici nelle oceaniche proteste del 2013 comincia a prendere forma.

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Mentre i grandi media, i partiti e le centrali sindacali si focalizzano sulla crisi politica e la destituzione della presidente Dilma Rousseff, migliaia di giovani stanno vivendo un processo di autoformazione come militanti anticapitalisti. Dalla fine del 2015 è cominciata un’ondata di mobilitazioni di studenti secondari delle scuole situate nei quartieri popolari, che si è tradotta in centinaia di occupazioni dove giovani dai 13 ai 18 anni decidono l’autogoverno scolastico.

In queste pagine sono state analizzate le occupazioni di 200 centri secondari nello stato di San Paolo e la sconfitta che i giovani hanno rifilato al governatore conservatore Geraldo Alckmin, che ha dovuto fare marcia indietro sul suo progetto di riorganizzare il sistema educativo chiudendo scuole per risparmiare fondi pubblici. Nei mesi seguenti, il movimento si è esteso in altri stati con richieste per la merenda scolastica e la qualità delle infrastrutture, in alleanza con una parte dei docenti.

In questo mese di maggio ci sono stati 65 centri occupati a Rio de Janeiro, 110 nel Río Grande do Sul e 49 nel Ceará, ai quali bisogna aggiungere i 25 che a dicembre sono stati occupati nel Goiás. Le cifre hanno oscillazioni importanti, sia per gli sgomberi che i governi statali portano avanti o perché si aggiungono nuove occupazioni. In totale, da settembre scorso sono state occupate 500 scuole in cinque stati. Il filosofo e militante sociale Pablo Ortellado calcola una media da 30 a 50 giovani per ogni occupazione, per cui solo a San Paolo abbiamo avuto tra i 6 e i 10 mila attivisti che si sono formati in questo ciclo.

Se il calcolo è corretto, nei cinque stati coinvolti nelle occupazioni si sono esercitati tra i 15 e i 20 mila militanti. “Sono persone – precisa– che si formano politicamente con l’idea che è possibile sconfiggere il potere dello stato quando minaccia i diritti sociali, che questa lotta può essere fatta al di fuori delle istituzioni”. Questa nidiata di militanti, la maggior parte donne, va a rafforzare i movimenti popolari preparando un ciclo di lotte che non possiamo sapere quando sbocceranno.

Per giungere a queste conclusioni è necessario ampliare lo sguardo temporale e scendere nei dettagli, osservare che cosa fanno i giovani durante le occupazioni, che sono sempre state scuole di organizzazione e attivismo.

La prima questione da tenere in conto è che l’ondata di occupazioni è figlia delle mobilitazione del giugno 2013, quando circa il 10 per cento dei brasiliani scesero nelle strade, più di 20 milioni, nella loro immensa maggioranza giovani. Fu uno tsunami culturale e politico senza il quale è impossibile comprendere l’attuale crisi. Le occupazioni portano l’impronta dello stile MPL (Movimento Passe Livre) che fu protagonista del giugno 2013.

La seconda è meno visibile perché è in relazione con la vita quotidiana nelle occupazioni. Su questo punto ci sono enormi differenze, giacché alcune durano pochi giorni e altre si protraggono per mesi. Il fatto comune è l’appropriazione dello spazio mediante la cura del centro, la pulizia, la pittura delle aule e delle aree comuni, e in alcune occasioni facendo piccole riforme. Durante il periodo in cui mantengono l’occupazione, stabiliscono commissioni alle quali partecipano tutti gli occupanti: alimentazione, comunicazione, attività, struttura e sicurezza, sono le più frequenti.

Di solito si alzano molto presto, in alcune scuole verso le 6.30. Dedicano molto tempo a raccogliere alimenti e prodotti per la pulizia che portano genitori, professori, commercianti e vicini del quartiere. Chi non fa i propri compiti o non rispetta le norme di solito è castigato, come in una scuola di Rio de Janeiro, con un’ora di ritardo al momento di servirgli il pranzo.

Tutti i giorni effettuano assemblee, che possono durare per ore, nelle quali si prendono tutte le decisioni. Le relazioni con i media di solito sono problematiche. Dafine, una giovane di 15 anni di una scuola della periferia paolista, ha comunicato alla giornalista di El País la decisione dell’assemblea in questi termini: Abbiamo deciso che può entrare. Ma soltanto alle 10.45. Può rimanere solo mezz’ora e non fare foto.

La terza questione da mettere in evidenza sono le attività che organizzano durante l’occupazione: seminari, conferenze, studio di gruppo, convocazione di professionisti e artisti, con attività quasi quotidiane che si estendono ai fine settimana. Le occupazioni sono spazi di dibattiti intensi e permanenti, che fanno parte del processo di autoformazione che vivono. Verso l’esterno fanno attività nel quartiere e alle porte delle scuole, manifestazioni nelle aree centrali e blocchi del traffico nei viali più importanti. Occupare è lavorare tutto il tempo.

I giovani si appropriano delle scuole ma, soprattutto, si appropriano delle proprie vite. Nell’occupazione della scuola tecnica Paula Souza, a San Paolo, un gruppo di giovani ha riflettuto insieme al collettivo Passa Palavra: “Le persone che l’anno passato hanno partecipato al movimento hanno subito un impatto molto forte nelle proprie vite (…) quando il movimento finisce non vogliono ritornare alla medesima vita di prima, vogliono cambiare il mondo, essere militanti”.

Per cambiare il mondo è necessario trasformarsi in soggetto della propria vita: smettere di essere spettatore, anche se lo spettacolo lo danno i partiti di sinistra. La trasformazione in soggetto è un processo soggettivo, potente, di innamoramento della vita collettiva. Le letture possono aiutare, come aiuta la partecipazione ad attività e manifestazioni. Ma è, fondamentalmente, un processo intimo che si realizza in gruppi limitati, sulla base di relazioni faccia a faccia, dove fluisce la mistica di ciò che è collettivo. Le occupazioni sono spazi-tempo appropriati per l’autogestione e la creazione.

Se vogliamo intensificare la lotta anticapitalista, lavoriamo in questa fucina, rafforzando l’etica dell’impegno senza aspettare nulla. Altro è volere che il mondo sia cambiato dall’alto.

 Fonte:  La Jornada

Traduzione a cura del Comitato Carlos Fonseca 

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