Print Friendly, PDF & Email

marx xxi

La tesi 10 del documento politico dell'assemblea nazionale costituente comunista

di Giuliano Cappellini

Con la riflessione del compagno Giuliano Cappellini, continua la rassegna di contributi per un confronto aperto sulle prospettive dei comunisti in Italia

Riconosco apertamente che non mi ritrovo in nessuna delle parti del documento politico dell’Assemblea Nazionale Costituente Comunista che non è mia intenzione discutere complessivamente. Ma la  tesi 10 – Italia: il quadro politico e il compimento della mutazione genetica… – pur sembrandomi talmente banale e sciatta da essere al di sopra di qualsiasi critica, è tuttavia talmente importante come “banco di prova” di un’identità comunista che poiché mi coinvolge, mi costringe ad intervenire.

L’analisi del quadro politico della tesi 10 si misura con la rappresentazione di comodo con cui lo stesso quadro politico italiano intende essere riconosciuto, non un passo in più, non un elemento di riflessione sulle sue origini e sui suoi sviluppi. Così resta il dubbio che la stessa mutazione genetica del PCI, PDS, …, PD data per conclusa dalla tesi 10, non sia, invece, un processo in itinere, magari senza ritorno ma dagli esiti per molti versi ancora imprevedibili.

Sebbene la tesi 10 non ne faccia cenno, il centro del quadro politico nazionale dovrebbe descrivere una grave crisi politica. Siamo di fronte al più grave attacco mai portato a quella Costituzione Repubblicana che definisce l’impianto democratico del Paese non solo attraverso dichiarazioni di principi, ma attraverso l’articolazione del potere nelle istituzioni che regolano l’esercizio della sovranità popolare. Concentrando tutto il potere nell’esecutivo, anzi nelle mani del segretario del partito di maggioranza relativa, il PD renziano realizza il primo obiettivo della “seconda repubblica”. Ma il secondo e strategico, si ottiene alienando il potere al legislativo (al Parlamento e ad ogni istituzione rappresentativa pubblica) il che, non solo apre la strada ad un regime plebiscitario e autoritario, ma alla fine della  mediazione della “politica” alla quale le classi dominanti non intendono più ricorrere. Il primo indizio di una crisi politica presente orma da qualche decennio – quella che si esprime attraverso la crisi dei partiti di massa e l’emergere dei partiti di protesta, il discredito della “politica” ed il crescente astensionismo elettorale –, deriva quindi dal cedimento alla prevaricazione delle classi dominanti, al punto che le classi dirigenti politiche del paese rinunciano all’obiettivo di reggersi sulla base del consenso popolare.

A sua volta la “crisi della politica” determina l’incapacità del sistema politico di dotarsi di una classe  dirigente all’altezza delle sfide cui deve far fronte un Paese investito da enormi crisi economiche, sociali, morali e da pericolosissime crisi internazionali. Un aspetto sul quale non si riflette molto è che una classe politica etero diretta nelle decisive scelte di politica internazionale ed economica, alla fine produce solo guitti, dannunziani di ritorno (Renzi), imbonitori mediatici, referenti delle classi dominanti, conservatori di un assetto sociale che fa acqua da tutte le parti tanto pavidi da temere più “le idee” che le “obsolete” ideologie che dichiarano di contrastare come pericolose malattie.  Tanto ci si può aspettare da una classe dirigente che, ha stabilito i cardini del proprio potere 1), nella presenza sul territorio nazionale di un esercito straniero formalmente autonomo dal sistema di alleanze cui partecipa l’Italia (la Nato) – ora di 35.000 uomini (senza contare quelli impegnati nell’intelligence), con un numero impressionante di basi militari, di missili, di armi di distruzione di massa – 2), nell’adesione attiva alla Nato, ai suoi principi e vincoli, per cui, secondo le dichiarazioni del presidente del Consiglio il numero di militari italiani presenti nel mondo [in appoggio agli interessi geopolitici degli Stati Uniti] è secondo solo a quello dell’esercito americano. Altro non ci si può aspettare dalla guida, senza strumenti, di un sistema economico sottoposto ai vincoli materiali ed ideologici (liberismo sfrenato, demonizzazione dell’intervento pubblico in economia, ecc.) dell’UE e della finanza internazionale, se non, appunto, una classe dirigente politica miserabile.

La scelta strategica delle classi dirigenti italiane è quella del progressivo abbandono delle proprie responsabilità di fronte al Paese. La chiave è la perdita totale della sovranità nazionale dentro un’entità sovranazionale. L’unica preoccupazione restante e quella di aggirare ogni  pronunciamento popolare su un esito così miseramente conclusivo della vicenda nazionale. Ma alle classi dirigenti politiche nazionali, referenti a quelle dominanti della soluzione dei problemi del Paese, sorgono nuovi problemi che ne sconvolgono le scelte strategiche e, proprio perché richiedono un recupero di responsabilità troppo onerose da sostenere aggravano la crisi politica nazionale. I rapidi sviluppi della politica internazionale erodono il tanto agognato approdo. L’Unità Europea, con le sue leve di comando nelle mani delle plutocrazie internazionali e tedesche, attraversa una grande crisi e viene variamente rimessa in discussione; la politica di dominio mondiale degli Stati Uniti esige dai suoi partner la disponibilità ad un conflitto allargato contro la Russia e la Cina, ad un sacrificio, cioè, che comincia a pesare perfino a parti importanti dell’establishment non solo italiano e della Chiesa Cattolica. Ed è proprio per piegare queste resistenze latenti, che si sommano alle grandi difficoltà per piegare la resistenza sul campo che ogni paese aggredito oppone all’imperialismo, che gli Stati Uniti ricorrono alla manovalanza reazionaria di ogni tipo, dal terrorismo nel Medio e Vicino Oriente al neonazismo  in Europa, secondo un piano che cerca di suscitare uno sbandamento di massa verso ideologie marcatamente nazionaliste e belliciste.

A quale altro disegno strategico si dovranno adattare le classi dirigenti politiche nazionali ed europee? In quale contesto internazionale? Quali problemi sorgeranno con l’elezione di un presidente degli Stati Uniti, cui concorrono candidati ancor più bellicosi di quello in carica? Quali riserve di autonomia hanno le classi dirigenti politiche italiane (ed europee)? Non è certo  l’analisi di basso profilo della tesi 10, né l’agognata uscita dalla “disperante” condizione minoritaria dei comunisti nel nostro Paese con qualche presenza nelle istituzioni borghesi (ma a quale prezzo politico?), a darci le risposte necessarie per articolare una strategia di lungo respiro. Questo è ancora il tempo della preparazione che, come insegnava Mao, è più importante del tempo dell’azione che segue.. Cerchiamo di non sprecarlo.

Add comment

Submit