Print Friendly, PDF & Email

micromega 

Mandarini d’Oriente e Occidente

di Carlo Formenti

Conservare il potere scatenando guerre fra poveri è una strategia ampiamente collaudata da tutte le classi dirigenti del mondo. Da questo punto di vista, non esistono sostanziali differenze fra le élite statunitensi e quelle cinesi. Due articoli del “New York Times” ne offrono una chiara conferma. Il primo racconta di una pratica adottata da molte corporation: quando un quadro viene licenziato, lo inducono a firmare, in cambio di un aumento della buonuscita, l’impegno a non diffondere pubblicamente alcuna notizia sulle cause e sulle circostanze del licenziamento. A quanto pare, tuttavia, è in crescita il numero dei lavoratori che, anche a costo di rinunciare a cifre sostanziose, decidono di svuotare il sacco con i media e/o con qualche uomo politico. Così stanno partendo pressioni bipartisan da parte di senatori democratici e repubblicani per indurre le imprese hi tech a smettere di licenziare i propri quadri, allo scopo di rimpiazzarli con omologhi indiani che costano meno. Si tratta di una pratica diffusa quanto nota, ma le cui proporzioni, grazie agli accordi di cui sopra, erano finora sottostimate.

Il fenomeno è particolarmente rilevante guardando al futuro confronto elettorale fra Donald Trump e Hillary Clinton, dal momento che i due pescano i loro consensi: il primo, fra i lavoratori bianchi esposti alla concorrenza internazionale della forza lavoro a basso costo proveniente dai Paesi in via di sviluppo (fra i quali l’India che, come confermato dal caso appena citato, occupa un posto di rilievo per quanto riguarda il mercato delle mansioni a elevata specializzazione tecnica), la seconda, fra le masse dei migranti spaventati dalle dichiarazioni razziste e isolazioniste del primo. Contrariamente a Bernie Sanders, che cerca di ricomporre l’unità delle classi subordinate contro i veri responsabili della crisi, sia Trump che la Clinton scommettono sulla loro divisione, giocando gli uni contro gli altri per tutelare gli interessi dei super ricchi (anche se i due rappresentano fazioni dell’establishment in competizione reciproca).

Passiamo al secondo articolo e alla Cina. Preoccupato per le tensioni sociali che, a causa della crisi che sta colpendo ormai anche questo Paese, stanno crescendo nelle regioni meno toccate dal <<miracolo economico>> degli ultimi decenni, il governo ha deciso di riservare agli studenti di quelle aree geografiche una quota significativa degli accessi all’istruzione superiore. Com’è noto, in Cina gli esami che consentono di entrare all’università (soprattutto se si tratta di università di élite) sono una prova terribile che non solo gli studenti ma anche le famiglie preparano per anni e vivono con angoscia, visto che rappresentano la maggiore, se non l’unica, opportunità di mobilità sociale, di ottenere cioè lavori più remunerativi e prestigiosi. Ma la decisione, accolta con favore dalle famiglie che vivono nelle zone rurali o nelle aree depresse del centro del Paese, ha scatenato la protesta dei ceti medi urbani che si considerano defraudati di uno dei privilegi che si erano faticosamente conquistati negli ultimi decenni.

Nelle metropoli si snodano così cortei che inneggiano alla meritocrazia e denunciano l’<<ingiustizia>> di riservare posti a chi ottiene voti più bassi (anche se si sa che il <<merito>> rispecchia differenze di reddito e status sociale), in provincia si assembrano invece manifestazioni contro l’egoismo dei ceti urbani che pretendono di monopolizzare tutte le opportunità. Il governo cinese, come d’abitudine, reagisce distribuendo mazzate a destra e a manca, ma non può che compiacersi degli esiti di un’operazione che gli consente, da un lato, di rifarsi una verginità di paladino dei poveri (mentre l’indice di Gini s’impenna oscenamente!), dall’altro lato, di evitare che strati sociali differenti possano unirsi sul piano dello scontento e della protesta sociali. Come dire: mandarini d’Oriente e Occidente unitevi, e dividete quelli che vi stanno sotto.

Add comment

Submit