Print Friendly, PDF & Email

micromega

L’Iraq e la fabbrica del caos

Fulvio Scaglione

I tanti che, soprattutto nell’apparato politico-culturale anglosassone, fanno propaganda per la balcanizzazione del Medio Oriente e per la nascita di nuove entità statuali a base etnico-religiosa, dovrebbero dare un’occhiata a quanto sta accadendo a Fallujah, in Iraq. La città è storicamente un caposaldo del mondo sunnita, titolo che si è guadagnata con le 200 moschee che punteggiano il centro storico e il territorio circostante, ma anche con la dedizione totale alla causa sunnita. Nel 2004 resistette agli americani che, per “liberarla” dai miliziani di Al Qaeda, dovettero usare persino le bombe al fosforo.

Ora la storia di ripete. Dal gennaio 2014, cioè prima della conquista di Mosul e dell’avanzata nella Piana di Niniveh, Fallujah è un feudo dell’Isis, altro movimento terroristico sunnita, finanziato come già al Qaeda dalle monarchie sunnite del Golfo Persico. Non si può certo dire che gli abitanti di Fallujah siano fiancheggiatori dei miliziani Isis. Ma è chiaro la comune attitudine religiosa qualcosa ha contato, se nel “triangolo sunnita” dell’Iraq l’Isis ha potuto insediarsi e radicarsi senza trovare opposizione. Ha contato la superiore abilità politica degli uomini di Al Baghdadi, che hanno rispettato le comunità locali e i loro rappresentanti, mentre l’esercito e la burocrazia sciita, dominanti a Baghdad dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003, li hanno trattati da nemici, al meglio da sudditi.

Da circa due mesi il Governo centrale iracheno ha lanciato una campagna per “liberare” Fallujah. All’inizio ha impiegato anche le cosiddette Unità di mobilitazione popolare, ovvero una quarantina di milizie (ma loro non amano esser chiamate così) in gran parte formate da sciiti e quasi sempre addestrate da istruttori iraniani. Poi le ha fermate, per non mortificare i sunniti e non compromettere i rapporti con le comunità locali. Ora che la battaglia per Fallujah entra nelle fasi decisive, le ha ritirate fuori.

Il che è un grosso problema. Furono infatti queste milizie, nel 2014, a chiudere ai plotoni dell’Isis la strada per Baghdad, dopo che l’esercito regolare si era sbandato. Ma sono state queste stesse milizie a macchiarsi di soprusi e violenze nei confronti della popolazione civile sunnita, denunciate sia dagli iracheni (Suahib al-Rawi, governatore della provincia di Anbar, ha chiesto al Governo di investigare su 648 casi di civili desaparecidos e su 43 uccisioni) sia dalle organizzazioni umanitarie occidentali. Cosa che si è ripetuta, sia pure in minor misura, nelle settimane dell’offensiva contro l’Isis annidato a Fallujah.

Nel frattempo, anche l’Isis ha esercitato la propria violenza contro la popolazione civile, costringendola a restare nella città assediata, usandola come “scudo”, colpendola con sanguinose rappresaglie quando mostrava poca dedizione alla causa. In sostanza, mostrando che il rispetto per le comunità locali era tutto strumentale, pur trattandosi di rapporti tra sunniti.

Queste dinamiche non si sono sviluppate con l’Isis. Al contrario, sono semmai queste dinamiche ad aver fatto nascere l’Isis. Prima del 2003 e dell’arrivo degli americani, Baghdad era una città mista di sunniti e sciiti. Con l’instaurazione di un regime sciita, la capitale dell’Iraq ha subito una vera pulizia etnica e ora è quasi compattamente sciita. Sull’altro lato della barricata, gli attentati sunniti martellano senza sosta i quartieri sciiti da almeno dieci anni. Cosa cui gli sciiti al potere hanno risposto lasciando nel totale abbandono le province sunnite del Paese.

Ecco. Proviamo a immaginare dinamiche come queste all’opera mentre qualcuno (chi, peraltro?) mette mano a nuovi confini (e toccare i confini ha sempre voluto dire scontri e sangue), a trasferimenti di popolazione (perché certo gli sciiti non vorrebbero vivere in uno Stato sunnita e viceversa, mentre i curdi vorrebbero vivere solo in Kurdistan), all’insediamento di nuovi Governi… Non ci vuol molto a capire che se il Medio Oriente è un disastro oggi, domani sarebbe un disastro anche peggiore. Così come non è difficile notare che non è un caso se dal “divide et impera” siamo passati al “divide” e basta. Perché creare il caos e poi tentare di controllarlo e sfruttarlo, quando è più che sufficiente creare il caos?

Add comment

Submit