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kelebek3

“Come facciamo a risaltargli in groppa?”

di Miguel Martinez

Stamattina, un’interessante intervista con Walter Veltroni su Repubblica.

A differenza di altri, Veltroni coglie lucidamente che “ci sono dei momenti della storia in cui, per slittamenti progressivi, improvvisamente diventa plausibile l’implausibile.”

Veltroni non dedica un secondo a chiedersi perché.

Sono duecento anni che si progredisce, che ci si illumina, che i politici risolvono, le scuole educano, gli scienziati scoprono, gli esploratori civilizzano, gli economisti predicono, i giornalisti informano, gli imprenditori aprono nuovi orizzonti, le telecamere sorvegliano, i geometri urbanizzano  e gli urbanisti progettano – tutti assistiti da milioni e milioni di esperti, tecnici, chimici, funzionari, manager, informatici, vigili urbani, bidelli, facchini, consulenti…

… e dopo qualche trilione di tonnellate di carbone e di petrolio usati per fare tutto ciò, siamo sull’orlo del collasso planetario (proprio letteralmente, mica solo come metafora).

Il risultato logico è che la gente tende a scrollarsi di dosso tutta la banda.

In genere usando il semplice metodo di accendere la televisione, vedere chi ti dicono di non votare, e andarlo a votare. Non sarà una tecnica perfetta, ma non te ne lasciano nessun’altra, per toglierteli di dosso.

Per Veltroni, il fatto che la gente – ovunque sia – decida qualcosa diventa la fine della… democrazia. E ce lo spiega – “democrazia” vuol dire che si vota per Veltroni e Veltroni fa i progetti:

“Perché non è detto che la democrazia, che è necessariamente processualità e delega, in una società così frenetica, presentista ed emotiva sia la forma di governo considerata naturale. Nascerà alla fine un pericoloso desiderio di semplificazione dei processi di decisione”.

A questo punto, Veltroni tira fuori la carta che gli dovrebbe permettere di salire di nuovo in groppa alla gente, anzi agli elettori, e la sua carta si chiama “Guerra”:

” C’è una parola che non possiamo e non vogliamo pronunciare, ma l’ha pronunciata Papa Francesco quando ha parlato di una Terza Guerra Mondiale. L’Europa è stato il grande antidoto alla guerra: popoli che si erano fatti la guerra scoprivano la bellezza della pace, gli ex nemici si stringevano la mano. Ma oggi, purtroppo, le cose stanno cambiando. E quello che più mi spaventa è la totale assenza di quella che il cardinal Martini chiamava “l’intelligenza complessiva delle cose”. È come se ci fossero davanti a noi dieci indizi di un assassinio, e la politica fosse come l’ispettore Clouseau, che non riesce a metterli insieme”

Ora, che i tempi siano pericolosi, è vero.

Ma Veltroni non dice che la guerra c’è già.

Anzi, c’è quantomeno dal 1980, quando certe illuminatissime ditte torinesi che finanziano il suo partito hanno cominciato a gonfiarsi di soldi, grazie al massacro imposto tra iraniani e iracheni; ed è continuata con le più costose guerre di tutti i tempi, le invasioni statunitensi di Iraq e Afghanistan.

I populisti attuali, con tutti i loro palesi difetti, almeno non sembrano interessati a fare la guerra che politici e imprenditori responsabili ogni tanto minacciano alla Russia, o a nuove imprese coloniali in giro per il pianeta.

Veltroni si pone ovviamente una sola vera domanda: come possano, lui e tutti quelli che fanno il suo mestiere, tornare in tempi breve in groppa al cavallo che non li vuole più. La gente è un “voto” (“manodopera”, “cliente”, “utente”: spezzare le persone vere, nella loro infinita complessità, in funzioni…) di cui riprendere il controllo:

È un voto perduto, per la sinistra?
“No, non lo è. È un voto che racconta di uno smarrimento, di una protesta, di una rabbia. Ma non è perduto. A condizione che la sinistra sappia cambiare”.

Il cavaliere deve cambiare la tecnica con cui cavalca, ma a scendere di cavallo, non ci pensa nemmeno.

Comments

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ndr60
Thursday, 07 July 2016 13:21
Veltroni dimentica anche di dire che nella UE le classi subalterne sono in guerra già da anni; In Grecia, ad esempio, gli effetti della depressione economica sono del tutto paragonabili a quelle di una guerra persa con la Germania.
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