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carmilla

Cesare e i Britanni

di Alessandra Daniele

“Un politico che non conosce il suo paese non merita di governarlo” ha sentenziato Ivan Scalfarotto a Omnibus. Si riferiva a David Cameron e alla Brexit, ma in realtà questo epitaffio s’adatta perfettamente anche a Matteo Renzi.

Come Cameron, Renzi s’è giocato la carriera su un referendum, e come Cameron merita di essere sconfitto.

I rintocchi del Big Ben scuotono tutta un’oligarchia politico finanziaria che lo merita ampiamente. Il De-Cameron, le dimissioni annunciate del porcofilo premier sono però finora l’unico concreto effetto positivo della Brexit per i britanni che, ansiosi di liberarsi di Cesare (ma anche delle presunte “invasioni barbariche”) alla fine della procedura guidata di cancellazione del loro account UE rischiano di ritrovarsi ad avere soltanto scambiato una serie di accordi commerciali antipopolari fra partners UE con un’altra serie di accordi commerciali antipopolari fra UE e GB, e come il Numero 6 nel finale di The Prisoner accorgersi che la fuga è illusoria finché il potere politico-economico resta nelle solite mani.

I democratici che in questi giorni invocano l’abolizione del suffragio universale, e il nostrano finanziamento ai partiti trasformato in “rimborso elettorale” dimostrano quanto poco Cesare sia incline a rispettare nei fatti il risultato di un referendum popolare.

Probabilmente si sta già elaborando un nuovo status ad hoc per la Gran Bretagna: “Concorso Esterno in Unione Europea”.

Intanto però mentre a Bruxelles si discute, Roma viene espugnata.

Tre mesi fa sembrava ancora che nessuna delle opposizioni volesse vincere queste comunali, per paura di dover poi rimpiazzare il Cazzaro al governo troppo presto, prima d’avere una leadership convincente, una solida maggioranza, la possibilità di durare e non essere bruciati subito nel microonde dell’emergenza facendo la fine di Letta, e dello stesso Renzi.

Poi Renzi ha designato il referendum istituzionale come suo Armageddon, la Valle dell’Ultima Battaglia, suggerendo così che il suo governo sarebbe comunque sopravvissuto a una sconfitta alle comunali, o meglio sarebbe rimasto in carica anche da zombie (almeno finché i transfughi berlusconiani non avranno interesse a scatenare il loro Alfageddon).

Questo ha liberato le mani al Movimento 5 Stelle, ma non a Berlusconi, rimasto legato al governo Renzi dal destino delle sue aziende.

Così, mentre Berlusconi sabotava la destra silurando Mamma Roma Meloni e schierando a Milano un sosia di Ratman, il M5S ha giocato per vincere e ha vinto, approfittando delle comunali per collaudare la sua Next Generation appena sbucata dall’incubatrice, e riuscendo in tutto quello che il Cazzaro aveva tentato e fallito sul piano dell’immagine per accreditarsi come l’unica speranza di rinnovamento possibile.

Il governo di Roma e Torino però potrebbe essere altrettanto logorante per il M5S quanto quello nazionale.

La Città Eterna in particolare ha da sempre l’oscuro potere di convertire alla romanità anche i barbari più agguerriti.

Per anni il Movimento 5 Stelle non ha fatto che rastrellare consenso e metterlo in frigorifero, come se questo fosse il suo unico vero compito. Adesso gli toccherà buttarlo nella fornace capitolina, rischiando di bruciarselo tutto in una sola fiammata.

Alea iacta est.

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