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Sanders e Trump, la rivolta degli elettori contro l’establishment

di Carlo Formenti

Perché due outsider come Sanders e Trump hanno avuto successo? Su quali punti si somigliano e in cosa sono diversi? Che interessi esprimono? Due libri di recente pubblicazione – l’autobiografia politica di Sanders e il saggio su Trump di Andrew Spannaus – rappresentano un prezioso strumento di comprensione di quanto sta avvenendo negli Stati Uniti e non solo.

Poco dopo la pubblicazione dell’autobiografia di Bernie Sanders per i tipi di Jaca Book (“Un outsider alla Casa Bianca”) esce un libro del giornalista americano Andrew Spannaus sulla vittoria di Donald Trump alle Primarie del Partito Repubblicano (“Perché vince Trump. La rivolta degli elettori e il futuro dell’America”, Mimesis Edizioni).

Letti assieme, questi due lavori rappresentano un prezioso strumento di comprensione di quanto sta avvenendo nel Paese che i nostri servilissimi media continuano a chiamare “la più grande democrazia del mondo”. Aiutano infatti a capire: 1) che tanto democratico quel Paese non è; 2) che i cittadini americani lo sanno benissimo (forse ancor più di quanto gli europei dimostrano di aver capito che la Ue è un’oligarchia postdemocratica); 3) che le differenze ideologiche fra Sanders e Trump – per quanto radicali – sono meno significative di ciò che li accomuna e li contrappone (o meglio contrappone coloro che li sostengono) al sistema di potere incarnato da Hillary Clinton.

Una lezione preziosa anche per decifrare il significato politico di un evento come la Brexit che, come argomenta l’eccellente articolo di Marco D’Eramo da poco apparso su queste pagine, tanto scandalo ha suscitato nell’opinione pubblica mondiale, soprattutto “di sinistra”. Provo a sintetizzare in cinque passaggi cosa dice il libro di Spannaus.

Uno: perché il messaggio di due outsider come Sanders e Trump ha avuto successo? Perché gli effetti della svolta liberista che Democratici e Repubblicani hanno gestito in sostanziale condominio – da Reagan a Obama, passando per Clinton e Bush – sulla società e sul popolo americani sono stati devastanti: arricchimento di un’infima minoranza e vantaggi per una classe benestante non superiore al 25% a fronte di un drastico peggioramento per tutti gli altri (milioni di posti di lavoro ben pagati volati altrove e solo parzialmente compensati da nuovi lavori precari e malpagati; tagli al welfare; aumento della mortalità delle classi subalterne, ecc.). Si aggiunga la totale sfiducia nei confronti di élite politiche corrotte che, dopo la crisi, hanno salvato le banche con i soldi dei cittadini senza che nessuno dei responsabili finisse in galera.

Due: su quali punti Sanders e Trump si somigliano? In un sistema politico corrotto, dove i soldi dei finanziatori influenzano sfacciatamente i programmi dei candidati, entrambi si sono rivolti direttamente al popolo senza dipendere da lobby e apparati di partito (Sanders grazie a milioni di piccole donazioni, Trump perché è in grado di autofinanziarsi). Entrambi indicano negli accordi internazionali di libero scambio la causa prima della disoccupazione; entrambi puntano il dito contro la complicità fra Wall Street e il palazzo; entrambi si oppongono a nuove guerre e chiedono di dirottare i soldi che si spendono per finanziarle su altri obiettivi; entrambi vogliono porre fine ai tagli sui fondi per la sicurezza sociale.

Tre: in cosa sono diversi? Sanders viene da una famiglia di immigrati poveri mentre Trump è un miliardario. Entrambi hanno contribuito a spostare l’asse dell’opposizione destra/sinistra da temi come l’aborto o il matrimonio gay ai temi economici e di politica estera ma, mentre Sanders non ripudia la battaglia per i diritti civili, Trump fonda la sua campagna su una comunicazione “politicamente scorretta” con toni razzisti e sessisti e agita lo spettro di una guerra commerciale contro Cina e Messico (compresa la famosa proposta del muro da erigere al confine con il Messico).

Quattro: come si pongono rispetto alla Clinton? Sanders ha perso lo scontro con lei per due ragioni: in primo luogo, perché il sistema elettorale delle Primarie è truccato (i “superdelegati” nominati dal partito votano automaticamente per il candidato dell’establishment; in molti Stati viene impedito di votare a coloro che non sono iscritti al partito), poi perché la famiglia Clinton gode dell’appoggio (oltre che dell’apparato e della lobby finanziaria) delle minoranze nere e ispaniche (le promesse a settori specifici della popolazione sono un leitmotiv delle campagne americane) anche se i giovani militanti neri sono per Sanders (come l’80% degli elettori sotto i 25 anni, maschi e femmine: la campagna “femminista” della Clinton è clamorosamente fallita). Trump viceversa rivendica apertamente il suo stile politicamente scorretto contro la Clinton e i media che lo attaccano perché sporco, brutto e cattivo. Lo fa perché si rivolge alla classe operaia bianca, incolta e incazzata contro una “sinistra” radical chic che ne ignora gli interessi e, mentre difende quelli dei ricchi, si proclama progressista solo perché tutela i diritti individuali.

Cinque: per concludere. Sanders, dicono i sondaggi, avrebbe vinto alla grande contro Trump in quanto avrebbe saldato gli interessi della classe operaia con quelli degli strati giovanili (studenti e precari) colti ma tagliati fuori dai privilegi della classe medio-alta. Nella gara contro la Clinton, Trump sembra condannato dalla potenza di fuoco dell’establishment clintoniano, anche perché si pensa che i fan di Sanders finiranno per votare per la sua avversaria. Ma è proprio così? Sanders ha detto che voterà per la Clinton ma (almeno finora) le ha rifiutato l’edorsement. Forse perché sa che il suo popolo la odia e vorrebbe sfruttare il successo della mobilitazione per costruire un’alternativa politica ai Democratici in vista del 2020 (il tentativo di cambiare il partito dall’interno, malgrado qualche successo, come l’inserimento di alcuni punti nella piattaforma che verrà discussa alla Convention, è a mio parere fallito, così com’è ovvio che tutte le promesse della donna di Wall Street, se andrà al potere, verranno puntualmente disattese).

Infine: la sinistra deve augurarsi che vinca la Clinton per sbarrare la strada a Trump? Qui il punto è, a mio parere, esattamente lo stesso che per la Brexit. Che interessi di classe esprimono i due? La Clinton, oltre che un notorio “falco” in politica estera, è espressione delle peggiori élite finanziarie. Trump – che contrariamente a quanto molti dicono è un populista di destra e non un “fascista” (definirlo tale è un errore politico-culturale, come quello che si continua a fare per Berlusconi e Salvini, e questi sono errori si pagano perché capire qual è la natura dell’avversario è fondamentale) – incarna invece gli interessi di una classe operaia americana egemonizzata dalla destra, esattamente come quella inglese che ha votato Brexit.

Quindi? Come ho già scritto su queste pagine, se fossi americano non mi spingerei a votare Trump, ma mai e poi mai avrei lo stomaco di votare la Clinton: meglio l’astensione e lavorare politicamente per recuperare i proletari che – con ottimi motivi – voteranno Trump.

 

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