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operaviva

Dallo sfruttamento all’autosfruttamento

Simona De Simoni, Davide Gallo Lassere

L’intento del prezioso volumetto scritto da F. Chicchi, E. Leonardi e S. Lucarelli, Logiche dello sfruttamento (ombre corte, 2016) – che qui abbiamo anticipato –  consiste nel restituire centralità analitica e politica alle relazioni di sfruttamento. L’attenzione posta sulla molteplicità delle forme contemporanee di sfruttamento e sull’articolazione attraverso cui si manifestano nei rapporti sociali e nelle figure soggettive si dipana attorno a tre fuochi: la discussione della categoria marxiana di sussunzione, esaminata alla luce delle attuali trasformazioni dei processi di accumulazione; la rielaborazione di una fenomenologia del lavoro nel capitalismo avanzato, in grado di rappresentare la proliferazione delle esperienze di assoggettamento; il confronto con il dibattito teorico sviluppatosi nel cosiddetto neo-operaismo a partire da una felice intuizione già formulata durante gli anni Settanta, secondo cui il passaggio al post-fordismo comporta una mutazione qualitativa della composizione di classe.

Nell’affrontare tale spettro di tematiche, gli autori elaborano una teoria sensibile alle singolarità storiche e alle specificità socio-geografiche dei capitalismi realmente esistenti. A partire da questo approccio, Chicchi, Leonardi e Lucarelli mettono in luce la plasticità, il rinnovamento costante e le capacità di assimilazione delle istanze sociali da parte delle società capitalistiche, mostrando al contempo ciò che le accomuna e ciò che le differenzia le une dalle altre: da un lato, l’inerzia della riproduzione sistemica operante a livello globale, fatta di logiche concorrenziali, pressioni di mercato, ingiunzioni al profitto e necessità di valorizzazione; dall’altro, le particolarità contestuali nelle quali tali invarianti si incarnano di volta in volta all’altezza di precise coordinate spazio-temporali.

Se l’armamentario categoriale di chiara derivazione deleuziana permette di mettere a fuoco la varietà capitalistica (assiomatica della trasformazione (ri)territorializzazione/deterritorializzazione (ri)codificazione/decodificazione), il concetto marxiano di sfruttamento è ciò che consente di rintracciare l’unità nella pluralità. Da cui l’importanza teorica e politica del testo, che tenta di predisporre degli strumenti utili a pensare e agire nella contingenza, senza tralasciare la cornice strutturale.

A tal proposito, la linearità storicistica con la quale troppo spesso è stata presentata la presunta successione di sussunzione formale (un’epoca – manifatturiera – in cui i processi produttivi sono inclusi ex post nella valorizzazione capitalista) e sussunzione reale (un’epoca – della grande industria – in cui i processi produttivi sono informati apriori dalle esigenze di valorizzare il capitale) cede il posto a un approccio in grado di restituire la materialità della compresenza delle logiche dello sfruttamento e la loro integrazione reciproca, tanto su scala regionale che globale.

È per rendere debitamente conto di quella vasta zona grigia emersa negli ultimi decenni in cui il rapporto di sfruttamento si configura come alieno, esterno o eterogeneo rispetto alla mediazione salariale tra capitale e lavoro, che il testo introduce la categoria di imprinting. Le lotte operaie e i movimenti sociali degli anni Sessanta e Settanta hanno infatti costretto lo sviluppo capitalistico a rispondere sul piano dell’innovazione tecnologica e organizzativa, inglobando la sfera della riproduzione nella cosiddetta fabbrica sociale fino a dissolvere ampi pezzi del rapporto salariale. Se i concetti neo-operaisti di estrattivismo e di sussunzione vitale aiutano a spiegare 1. l’esteriorità del comando finanziario rispetto alla concretezza dei processi produttivi e 2. la compenetrazione profonda tra tempi, luoghi e attività di lavoro e tempi, luoghi e attività di vita, né l’uno né l’altro riescono a delucidare fino in fondo l’implicazione attiva e l’investimento personale dei soggetti nelle nuove pratiche di sfruttamento.

La riflessione degli autori si focalizza così sui luoghi e sulle forme del lavoro gratuito, sottopagato o pagato con temporalità iper-dilatate che da anni si moltiplicano dentro il paradigma della precarietà – quelle tipologie di lavoro inquadrate giuridicamente dal lungo ciclo di contro-riforme che caratterizza la destrutturazione neoliberale del salariato. Trasformazioni sistemiche, dunque, rispetto alle quali la posizione soggettiva costituisce il fattore maggiormente problematico. Come decifrare le diverse forme di adesione motivata alle modalità del proprio sfruttamento? Dove cercare le ragioni delle infinite modulazioni emotive e personali che generano forme più o meno autentiche di entusiasmo e partecipazione ai processi di messa a valore delle vite e delle esperienze?

Per rispondere a tali domande, da tempo indagate dalla sociologia neo-weberiana o dalla filosofia morale che alimentano i dibattiti sul nuovo spirito del capitalismo o sulla servitù volontaria, gli autori elaborano la categoria analitica di imprinting. Presentata in tensione critica con la sussunzione marxiana, essa consente di focalizzare l’attenzione su alcune caratteristiche specifiche delle dinamiche attuali di sfruttamento, dalla progressiva finanziarizzazione dell’economia capitalista, alla centralità della sfera della riproduzione sociale, passando per la differenziazione potenzialmente infinita (in quanto fondata su processi di individuazione) delle declinazioni del rapporto capitale-lavoro. La logica (formale e reale) dell’imprinting contribuisce a comprendere e criticare i comportamenti di invischiamento delle soggettività negli effetti ricchezza creati dai mercati finanziari (azionarizzazione di fette del salario, investimenti in fondi pensione, stipulazione di assicurazioni, ecc.) o in forme surrogate e compensatorie di remunerazione non-monetaria (riconoscimento simbolico, gratificazione personale, inserimento sociale, promesse future, ecc.).

L’operazione teorica proposta dagli autori manifesta indubbiamente il grande merito di confrontarsi con un terreno politicamente scabroso – quello della com-partecipazione al proprio sfruttamento – senza prendere scorciatoie. La fenomenologia che viene presentata appare convincente, in particolare per alcune forme situate di auto-sfruttamento. Tuttavia, il modello proposto può risultare a tratti eccessivamente semplificato. Ci limitiamo pertanto a porre rapidamente in risalto alcuni elementi problematici al fine di prolungare il dibattito già avviato su Effimera1e su Il Manifesto2.

In certi passaggi del libro, si ha come l’impressione che il rapporto capitale-lavoro venga assunto in modo orizzontale, producendo l’illusione ottica di un continuum sociale in cui i processi di sfruttamento sono modulati in una contrattazione lineare. In questo panorama, le dinamiche sistemiche giocano certo il loro ruolo, ma, tutto sommato, le pratiche individuali (e individualizzate) sembrano prevalere su realtà sociali più ampie e stratificate.

La categoria di imprinting andrebbe dunque messa alla prova di descrizioni più complesse, anche riportando sulla scena macro-problemi di teoria politica. Quale ruolo attribuire, per esempio, ai soggetti tradizionali – in primis lo Stato – nell’inflessione dello sfruttamento contemporaneo? Alle nostre latitudini, infatti, la generazione dell’imprinting non è forse in gran parte passata attraverso le mobilitazioni dell’Onda? Quale la sua portata all’epoca del JobsAct, dopo il mandato Monti e l’indurimento ulteriore della crisi? Che dire, poi, delle giovani generazioni greche, spagnole, turche, nord-africane o brasiliane? E quanto sta avvenendo ora oltralpe? Di fronte a dinamiche sociali di forte scontro, in cui il volto duro dell’assoggettamento e della violenza extra-economica si mostra in tutta la sua concretezza nei processi di rifunzionalizzazione repressiva di istituzioni tradizionali e non, la categoria di imprinting rischia di divenire meno operativa.

Tenuto conto del carattere poliedrico della crisi e della variabilità storica e geografica delle sue traiettorie che rimescola e riarticola incessantemente tendenze e contro-tendenze, sarebbe infine interessante indagare sul piano della individuazione dei processi di sfruttamento (senza dubbio il più interessante del testo) i dispositivi di sincronizzazione della molteplicità dei momenti e delle logiche dello sfruttamento. Ogni rapporto singolare di sfruttamento, infatti, non conta in sé, ma soltanto all’interno del processo d’insieme di inter-relazione con gli altri e diversi – per quanto affini dal punto di vista della dinamica capitalistica – rapporti di sfruttamento.


Note
1. http://effimera.org/le-pillole-azzurre-del-capitale-cristina-morini/
2. http://ilmanifesto.info/alla-ricerca-di-riconversioni-soggettive/

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