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L’antropologica differenza tra Roma e Milano?

di Militant

Che Roma sia una città disastrata è ormai luogo comune. Dopo aver celato mediaticamente il progressivo disfacimento cittadino culminato nel piano regolatore del 2008, tutto l’apparato politico-culturale centrosinistro ha virato rocambolescamente narrazione: dal “modello Roma” veltroniano alla città fallita di Alemanno e Marino. Roma è stata in questi anni elevata ad epicentro dei mali nazionali, simbolo di corruzione e di malgoverno, annichilita da una narrazione mediatica che dieci anni prima la descriveva come modello metropolitano. Ovviamente, com’era politicamente orientata quell’esaltazione che celava il sacco speculativo che stava subendo la città nel suo complesso e in particolare la sua sterminata periferia, è oggi artificiosamente orchestrata questa narrazione opposta, che trasforma la Capitale nel peggiore dei mondi possibili. Il “diverso” (si fa per dire) modo in cui vengono raccontate le vicende romane e milanesi di questi ultimi due anni rappresenta un caso di studio. In questi giorni si è scoperto l’ennesimo incredibile caso di corruzione milanese, alla faccia dell’antropologica differenza tra le due “capitali” del paese, delle “qualità morali” con cui ce la mena da anni la borghesia lombarda sopravvissuta a Tangentopoli.

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In buona sostanza, la Mafia (quella vera, siciliana), ha gestito per anni (almeno, secondo l’inchiesta, gli ultimi tre anni) numerosi appalti legati alla costruzione dell’Expo e dei suoi padiglioni interni, nonché tutta un’altra serie di lavori inerenti all’area della Fiera di Milano.

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Ricordiamo che la gestione patrimoniale e finanziaria dell’Expo, di fatto l’intera gestione finanziaria del Comune di Milano, è stata dal 2013 affidata, direttamente tramite nomina governativa, ad un Commissario unico che, sempre di fatto, gestiva la spesa pubblica milanese sottratta a qualsiasi vincolo politico (in realtà il Commissario generale che gestiva direttamente i fondi già era stato nominato anni prima, ed era Roberto Formigoni, “troppo politico” forse per proseguire l’opera di erosione democratica del bilancio milanese). Il Commissario, come sappiamo, è stato Giuseppe Sala, oggi (guarda caso) sindaco centrosinistro della città. Il Commissario unico ha gestito in questi anni (almeno) quattordici (14) miliardi di euro destinati alla città, l’1% circa del Pil italiano.

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Per rendere l’idea, la previsione di bilancio del Comune per il 2015 è stata di tre miliardi 119 milioni di spesa corrente.

Bene, il fatto che parte importante degli appalti fosse controllata dalla Mafia, che l’Expo sia stato una Waterloo finanziaria, che per proseguire i lavori sia stata di fatto commissariata la città, non ha scalfito il racconto fantasioso per cui “Milano” sarebbe dotata di quegli anticorpi che invece mancherebbero a Roma, “capitale della corruzione”. Eppure siamo in presenza, anche simbolicamente, di un perfetto parallelo economico. La Corte dei Conti del Lazio ha chiesto il risarcimento, nei confronti dei protagonisti di Mafia Capitale, di 21 milioni di euro di complessivo danno erariale. Secondo la recente inchieste milanese, il danno erariale dovuto solo a questi ultimi appalti (e si, è solo l’ultima tornata) truccati su Fiera ed Expo è, come abbiamo visto, di 20 milioni di euro. Lo stesso danno, la stessa cifra. Avete letto per caso su qualche prima pagina dei giornali strillare alla “mafia meneghina”? La notizia è di tre giorni fa, ieri veniva riportata sul Corriere della Sera a pagina 21. Nessuna richiesta di commissariamento, nessuna grida indignata, nessuna tensione giustizialista, nessun tintinnare di manette, nessuna analisi sociologica del declino milanese, nessuna interpretazione filosofica sulla corruzione della borghesia lombarda, niente di niente. Un mero fatto di cronaca, come tale relegato tra le curiosità e lo sport. La plateale diversità di trattamento tra le due città allora non può che far sorgere qualche sospetto politico.

Se Roma è descritta (ed è realmente così) come simbolo del “fallimento della politica”, Milano è invece elevata a simbolo della gestione tecnica della cosa pubblica. L’immagine che va salvaguardata non è quella di “Milano città” (di cui non frega un cazzo a nessuno di questi cialtroni mediatici proni ai voleri della politica e dei relativi committenti economici), ma quella del commissariamento della politica come gestione virtuosa e progressiva del territorio. Giuseppe Sala è stato nominato da Mario Monti, ed è stato scelto, candidato e poi eletto per conto del Pd renziano. E’ un filo rosso che non può essere tranciato da qualche inchiesta giudiziaria. Colmo dei colmi, Sala ha impostato la sua campagna elettorale sulla gestione virtuosa dell’Expo. Il diverso trattamento politico e mediatico di Roma e Milano cela allora un obiettivo politico generale, quello di affondare qualsiasi tipo di “amministrazione politica” purchessia, elevando invece a modello di riferimento l’amministrazione tecnica. Milano è la capitale oggi del modello renziano, del governo tecnico “né di destra né di sinistra”, emblema del Partito della nazione che è oggi il Pd. Potrebbero anche arrestare tutti i consiglieri comunali milanesi, scoppiare una seconda Tangentopoli, e verrebbe comunque relegata nelle pagine di cronaca, celata dalla narrazione del “governo tecnico contro la politica corrotta”. E’ un’operazione politica giocata *sopra* le sorti delle due città e, ça va sans dire, sopra le sorti dei cittadini delle due metropoli. E’ fuffa ideologica, politicamente funzionale al puntellamento del regime renziano, e come tale va smascherata.

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