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Il referendum, l'Europa e la paura

di Leonardo Mazzei

La data, le incognite, le carte decisive di una partita che determinerà il futuro del paese

Passato il 15 luglio, data entro la quale dovevano pervenire alla Cassazione le richieste di referendum, è ora il momento di fare il punto su questa decisiva battaglia. Dato che in questi mesi abbiamo sviscerato la questione nei suoi molteplici aspetti, mi limito ad alcuni sintetici aggiornamenti.

1. Lo spacchettamento non ci sarà - Il piano di cui ci siamo occupati qualche giorno fa è clamorosamente fallito. Quel piano prevedeva il rinvio del referendum, il suo depotenziamento attraverso una modifica dell'Italicum che aprisse la strada alle larghe intese, una lenta cottura di un Renzi ormai considerato troppo a rischio nel voto d'autunno. Si trattava, in pratica, di anticipare il piano B già predisposto dal blocco dominante nel caso di una vittoria del no. Il piano, concepito dai centristi, dalla componente franceschiniana del Pd, con Mattarella ed Amato nel ruolo di ispiratori, necessitava del 20% delle firme dei membri di almeno un ramo del parlamento. Queste firme non ci sono state. All'atto pratico i centristi sono rimasti soli. Di fronte al netto no di Renzi allo spacchettamento, Franceschini non se l'è sentita di scoprirsi troppo, idem la "sinistra" piddina.

2. Lo sbandamento delle forze sistemiche - I fatti di cui al punto 1 confermano l'attuale stato confusionale delle forze sistemiche. Una confusione che non è solo italiana, bensì europea, specie dopo la Brexit.   Come sempre avviene nei passaggi cruciali, ha vinto chi una strategia ce l'ha (per quanto rischiosa) rispetto a chi deve ancora darsela. Tuttavia questo è solo il primo round. Renzi è riuscito a rimettere al centro il suo progetto, e fino al referendum sarà lui a dare le carte. Dopo, tutto dipenderà dal risultato. E, come abbiamo sempre detto, mentre un Renzi vincente non farà alcuna concessione sostanziale ai sui "critici interni", un Renzi perdente non avrebbe più alcun futuro politico.

3. La data del voto - Di questo si è parlato fin troppo. Prima si era ipotizzata una domenica di metà ottobre. Poi, per anticipare la sentenza della Corte Costituzionale sull'ammissibilità del ricorso sull'Italicum, sembrava che la data prescelta fosse quella del 2 ottobre. Adesso Renzi parla esplicitamente del 6 novembre. Altri del 20. Insomma, una gran confusione. In realtà, vista la tempistica prevista dalla legge, il referendum potrebbe in teoria slittare fino a fine anno. Ma la follia di un voto nel periodo natalizio sembra da scartare, ed il mese di novembre sembra in effetti quello più probabile, soprattutto per il motivo politico di cui parleremo al punto 5.

4. La nuova strategia comunicativa di Renzi (che poco cambia) - Visti i risultati dell'approccio fin qui scelto - il famoso «se perdo me ne vado» - il capo del governo sembra ora acconciarsi ad un tipo di comunicazione più soft. Sentiremo perciò sempre di più frasi del tipo: «stiamo alla sostanza del quesito», «non è in gioco il governo, ma il futuro del paese», insieme ai classici «noi vogliamo le riforme, gli altri sono conservatori», «noi riduciamo i costi della politica», eccetera. Si tratta di una scelta mimetica, dettata dalle indicazioni degli ultimi sondaggi, che poco cambia la sostanza delle cose. Alla fine il voto sarà inevitabilmente un pronunciamento pro o contro il segretario del Pd ed il suo governo.

5. L'intreccio tra referendum e Legge di Stabilità - E' questo un punto decisivo, altro che discussione tutta nel merito della (contro)riforma! Proprio perché Renzi sa benissimo che il voto sarà sulla sua persona e sulla politica del governo, decisive saranno due cose: 1. come si sbroglierà la matassa della crisi bancaria, 2. quali saranno i contenuti della Legge di Stabilità. Tralasciamo qui per brevità il primo punto. Renzi pensa di superarlo, almeno temporaneamente, senza troppi danni, per poi dedicarsi ad una finanziaria da spacciare come "anti-austeritaria" e "per la crescita". I pezzi forti di questa operazione potranno essere gli 80 euro ai pensionati al minimo, una minuscola riduzione dell'Irpef, o qualche altra trovata utile allo scopo. Si tratta di possibilità da non prendere alla leggera. Per quanto il loro scopo propagandistico ed elettorale sia piuttosto evidente, sono queste le carte che il presidente del consiglio cercherà di giocare a tutti i costi. Una mossa disperata? Forse, ma pur sempre una mossa di una certa efficacia, da contrastare con argomenti adeguati, non con atteggiamento snob. Tornando ora alla questione della data è chiaro che se il disegno è questo, e considerato che la Legge di Stabilità ha da essere presentata entro il 15 ottobre, la scelta di andare alle urne il 6 novembre (o subito dopo) appare la più indicata per sfruttare al massimo l'effetto propagandistico cercato.

6. La carta europea - Le trovate renziane in finanziaria sono in realtà possibili solo ad una condizione: che l'UE conceda all'Italia un'ulteriore flessibilità sulle regole di bilancio. Vedremo quanto questa ipotesi possa essere realistica. Di certo a Bruxelles vedono l'ipotesi della sconfitta di Renzi come un secondo colpo mortale dopo la Brexit. Al tempo stesso, però - e la vicenda bancaria lo dimostra -, non sembra che questa consapevolezza porti ad un qualche cambiamento di rilievo delle tradizionali politiche europee. Ma se su questo aspetto l'incertezza regna sovrana, possiamo invece stare certi sul sostegno di Bruxelles, Berlino e Parigi in quella che si annuncia come l'ennesima compagna terroristica. Renzi cioè - e questa è la sua vera carta europea - non verrà lasciato solo nella sua battaglia referendaria. E siccome - Brexit insegna - l'unica arma di persuasione che è rimasta al blocco dominante è la paura, è lì che batteranno all'unisono tutti i media mainstream. In altre parole, il referendum costituzionale diventerà "europeo" e non solo italiano, e Renzi avrà con sé tutto il pattume che alberga nelle cancellerie dell'Unione. Che poi gli giovi è tutto da vedere, ma questa sarà la partita.

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