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controlacrisi

Il terrorismo diffuso e l'orizzonte alternativo di liberazione

di Domenico Moro*

Ormai è uno stillicidio di attacchi. Se non emergono altri dettagli, sembrerebbe che a Rouen si sia verificato un ulteriore episodio di quello che ormai potremmo definire “terrorismo diffuso”. Un terrorismo non organizzato o poco organizzato, spontaneo (nel senso di basarsi sull'iniziativa di uno o pochi soggetti), condotto con armi povere. Nel caso di Rouen anche la matrice religiosa sembrerebbe netta, perché l'attacco è stato rivolto contro una chiesa e contro un prete.

I media non mancano mai di sottolineare che gli attentatori hanno o hanno avuto disturbi mentali, nel goffo tentativo di relegare tali eventi nella sfera della pazzia. Nonostante le enormi differenze con gli Usa, è un po' la stessa pazzia che è stata attribuita all’attentatore di Dallas, che ha sparato su cinque agenti per vendicare i neri caduti sotto il fuoco della polizia bianca. In questo modo, si viene a negare qualunque interpretazione sociale, economica, politica. Del resto, è pazzo ciò che ci sembra senza logica, sono pazzi i comportamenti che non spieghiamo. E invece, volendo rimanere nel campo della psicologia, anche il disturbo mentale ha una sua logica interna per quanto sia “assurda”, e le sue cause possono essere individuate.

La verità è che nel ventre malato dell’Occidente cova il germe della guerra civile, di cui questi attacchi sono un indicatore. Una guerra condotta in modo spontaneo che ricorda in qualche modo quanto accadeva tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 in Europa e Usa. All’epoca c’era il terrorismo anarchico della “propaganda attraverso i fatti”. Ma gli anarchici non colpivano a casaccio, come l’attentatore di Nizza, avevano come obiettivi figure simboliche del potere borghese, come Gaetano Bresci che uccise Umberto I per vendicare il massacro di 80 operai perpetrato a Milano da parte dell’esercito italiano. L’analogia sta nei modi, nello spontaneismo armato, e nel fatto che, allora come oggi, c’è un popolo dell’abisso, come lo chiamava London, che vive nei piani bassi e privi di luce dell’immenso edificio sociale della società capitalistica, da cui i terroristi provengono o di cui si sentono espressione. Un popolo dell’abisso che in Europa è costituito dai working poors bianchi e dagli immigrati, negli Usa dai neri, le cui condizioni sono peggiorate, nonostante otto anni alla Casa Bianca del primo presidente nero.

Perché il terrorismo? O meglio: perché proprio ora il terrorismo? Certo, si dirà, c’è l’Isis. Ma l'affermazione dell’Isis è stata un detonatore, un catalizzatore, che a volte organizza e a volte mette il suo marchio come se fosse un franchising. Invece, il combustile che alimenta l’incendio è autoctono. Del resto i terroristi sono persone che spesso sono nate in Occidente o vi sono giunte da bambini.

Due sono i fenomeni, che, a mio parere, stanno dietro queste esplosioni di violenza. Il primo è la crisi del capitale peggiore dal ’29 e le successive politiche deflattive e di austerity della Ue e della Uem, che hanno aggravato le condizioni sociali degli europei, nativi, immigrati o discendenti di immigrati. E che soprattutto hanno reso più drammatico il processo di inserimento sociale per chi è in between cioè a mezzo tra Occidente e Oriente, provocandone in molti casi la frantumazione dell’identità. Il secondo, sempre collegato alla crisi del capitale, è la tendenza alla guerra che è stata alimentata dall’Occidente imperialista e dai suoi alleati, come l’Arabia Saudita, o ex alleati, come la Turchia (dove la guerra civile ha fatto apparizione di recente anche più nettamente che da noi). Questa tendenza negli ultimi quindici anni ha subito un salto di qualità in Afghanistan, Iraq, Libia e Siria, provocando la destabilizzazione che ha permesso all’Isis e al jihadismo di diventare un punto di riferimento e realizzando le distruzioni che hanno ispirato sentimenti di vendetta fin dentro il cuore dell’Europa. L’altro giorno ci sono stati 80 morti per un attentato suicida in Afghanistan che hanno avuto poca o nulla menzione sui nostri media. Del resto, che importanza ha quanto accade in una periferia lontana? Ma ora non si può volgere la testa dall’altra parte: quella tendenza alla guerra si traduce in tendenza alla guerra civile ed è arrivata al centro del sistema-mondo, da noi, sulle nostre strade.

Il terrorismo diffuso è espressione di una guerra civile latente, che pare essere ormai endemica e che a sua volta è manifestazione di contraddizioni sociali e di classe. Certo, si tratta di una manifestazione mascherata, nella forma di guerra di religione o di razza, distorta e controproducente, perché per l’appunto è disperata e, nel caso del terrorismo islamico, alimenta la guerra tra poveri e non tra poveri e ricchi, tra oppressi e oppressori. Manlio Graziano, parafrasando la nota espressione di Carl von Clausewitz, definisce il terrorismo nel modo seguente: “Il terrorismo è la continuazione della disperazione politica in altre forme.” Vale a dire è il sintomo di una mancanza di vere prospettive, di un percorso politico definito. Infatti, l’espansione del radicalismo islamico, jihadista o meno, tra gli immigrati e le seconde generazioni è, come l’espansione dell’astensionismo e dei partiti xenofobi tra i bianchi, il riflesso della crisi della politica. Più precisamente, è, in parte non piccolissima, anche il riflesso dei limiti e del fallimento della sinistra, cioè della incapacità di praticare una politica che esprima radicalità e conflitto contro la sempre più oppressiva configurazione classista della società del capitale.

Dunque, esiste una sola risposta, per quanto sia difficilissima e lunga da portare avanti: rimettere al centro del discorso degli oppressi la politica, o, più precisamente, una politica di classe che sappia offrire insieme una pratica e un orizzonte alternativo di liberazione sociale. Oggi, ovviamente le condizioni sono diverse e bisogna tenerne conto, cercando di essere innovativi. Ma, forse, può essere utile riflettere sul fatto che cento anni fa l’anarchismo e il metodo terroristico furono superati dal movimento operaio e socialista europeo attraverso un salto di qualità che condusse alla realizzazione di una soggettività organizzata e di una pratica politica che, pur con tutte le sue contraddizioni e le gravi battute d’arresto, ha saputo cogliere importanti successi nel corso del 900.

*Autore di La terza guerra mondiale e il fondamentalismo islamico

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