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inchiesta

Le bugie dei sostenitori del si

Alfonso Gianni

Diffondiamo da L’Huffington Post del 26 luglio 2016 l’intervento di Alfonso Gianni direttore della Fondazione Cercare Ancora

Le date del Referendum costituzionale diventano ogni giorno sempre più ballerine. Qualche tempo fa pareva che il governo volesse accelerare i tempi, puntando addirittura sul 2 ottobre, per anticipare il giudizio della Corte Costituzionale – convocata per 4 ottobre – sulle eccezioni di incostituzionalità sollevate sulla nuova legge elettorale entrata in vigore lo scorso primo luglio, ovvero l’Italicum. Un parere negativo della Corte sarebbe certamente una grave sconfitta per la strategia del governo e della sua maggioranza, anche per gli evidenti legami che tengono stretti l’Italicum con la revisione costituzionale operata dalla legge Renzi-Boschi.

Ma poi tale fretta sembra essere venuta meno. Si è cominciato a fare trapelare la data dell’ultima domenica di ottobre, poi il 6 novembre. Fino a che, su consiglio dell’onnipresente Giorgio Napolitano, pare che il presidente del consiglio punti a portare a casa almeno metà del cammino della legge di stabilità – nella quale pensa evidentemente di rabbonire i malcontenti con qualche elargizione, anche se le cifre che fornisce il ministro dell’Economia indicano scarsità di risorse spendibili – e quindi a posticipare ancora la data del referendum costituzionale, forse al 20 di novembre. Tecnicamente avrebbe a disposizione anche buona parte del mese di dicembre. Ma è un periodo assai scivoloso, costellato come è di festività, per chi vuole vincere a tutti i costi un referendum, per il quale non è obbligatorio il quorum.

È probabile quindi che ci si troverà di fronte ad una campagna non breve. Del resto le forze della maggioranza l’hanno cominciata da un pezzo disponendo a proprio piacere dei mezzi di comunicazione, in particolare quelli radiotelevisivi, come dimostrano le statistiche sui minutaggi anche se bellamente ignorate.

Eppure la qualità degli argomenti proposti dai sostenitori del Sì appaiono inversamente proporzionali alla quantità di spazio occupato nei mass-media.

Tralascio qui di commentare le esternazioni ripetute della ministra Maria Elena Boschi, per la quale la revisione costituzionale sarebbe una sorta di toccasana per tutti i mali e fonte di mirabolanti risparmi economici, che naturalmente non tengono conto che in realtà il Senato non viene abolito, ma solo ridotto nei suoi membri e deprivato della possibilità di essere eletto dai cittadini, restando però in piedi strutture, personale e servizi che ne costituiscono la parte preponderante del bilancio annuale. Sono invece colpito dalle affermazioni di Luciano Violante [sostenitore del SI], che pure non è certo un new entry, vantando un lunghissimo curriculum istituzionale e quindi una presumibile profonda conoscenza dei meccanismi di funzionamento delle istituzioni rappresentative.

In un recente articolo sul Corriere della Sera l’ex presidente della Camera cerca di dimostrare che la revisione costituzionale servirebbe a “riattivare forme di partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche”. Un compito davvero improbo, soprattutto se si considera insieme la revisione costituzionale con l’Italicum che decurta i cittadini della possibilità di scelta tramite il meccanismo dei capilista bloccati e rende la Camera un docile strumento nelle mani del governo con l’assurdo premio di maggioranza dato al partito che ha ricevuto solo una minoranza di consensi da parte del corpo elettorale.

Ma atteniamoci strettamente al testo della legge Renzi-Boschi. Violante afferma che “dovrebbe essere particolarmente sottolineata quella parte della riforma che riconosce il diritto dei cittadini al referendum propositivo e a vedere prese in esame entro un determinato termine le proposte di legge di iniziativa popolare”. Peccato che tutto questo non sia vero! Infatti la legge Renzi-Boschi non istituisce affatto il referendum propositivo, ma si limita genericamente a rimandare, senza scadenze temporali di alcun genere, la questione ad un’altra futura legge costituzionale (art.11 della legge di “riforma”).

Nello stesso articolo si prevede poi l’innalzamento a 150mila, dalle 50mila attuali, della soglia delle firme necessarie per depositare una proposta di legge di iniziativa popolare. Ma soprattutto non è vero che siano previsti tempi certi per una sua discussione ed eventuale approvazione. Infatti la legge Renzi-Boschi si limita a di nuovo rimandare la questione, in questo caso a futuri regolamenti parlamentari, visto che quelli attuali non prevedono nulla al riguardo (e per farlo non avrebbero bisogno di alcuna modifica della Costituzione). In sostanza quello che c’è di sicuro nell’attuale testo su cui saremo chiamati ad esprimerci con il referendum, è solo la triplicazione del numero delle firme per proporre una legge di iniziativa popolare. Con buona pace di Luciano Violante, già questo è l’esatto contrario che stimolare la partecipazione dei cittadini alla vita democratica.

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