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lantidiplomatico

Sapete chi sono davvero i liberatori di Sirte?

Francesco Santoianni

Se non fosse una tragedia, ci sarebbe da sghignazzare (o sbadigliare) davanti agli articoli (lo stesso canovaccio, dai tempi del Kossovo) che oggi pretendono di giustificare la nuova guerra alla Libia con le motivazioni di sempre: “non si tratta di una guerra ma una operazione umanitaria per aiutare le popolazioni a disfarsi del mostro di turno”.

Ha già aperto le danze SKY con il documentario “Sirte, dove Daesh perde la guerra” dove quattro comparse in ciabatte (ma si è mai visto qualcuno combattere in ciabatte?) fanno finta (soltanto una comparsa è armata) di guerreggiare contro l’ISIS. Il tutto condito dall’appello ai governi europei per sostenere questa “lotta di liberazione”. Ma per conto di chi questa “lotta di liberazione”? Una foto (tra le tante che infestano i media questi giorni) è particolarmente significativa: mostra il patibolo (“sul quale l’ISIS ha ucciso 49 persone solo nell’ultimo anno”) che viene buttato giù dalle “milizie di Misurata” (i “liberatori di Sirte”, secondo i media). Ebbene, tranne due miliziani, nessuno assiste a questa che avrebbe dovuto essere il momento clou della “liberazione di Sirte”. Almeno la cerimonia dell’abbattimento della statua di Saddam, a Baghdad nel 2003, era stata organizzata meglio.

Ma, poi, perché mai la popolazione di Sirte avrebbe dovuto riconoscersi nelle gesta delle “milizie di Misurata”? Oggi, questa banda - inquadrata nella coalizione “Alba Libica”, vicina ai Fratelli musulmani di Omar al Hassi- cerca di darsi una rispettabilità, ma, nel 2012, fu responsabile di spaventosi massacri come quello contro i Tawergha, nel 2011, o i Warfallah, nel 2012: tribù “colpevoli” di avere sostenuto i 42 anni della «Jamaharia» di Gheddafi. Una carneficine condotta, ovviamente, nel silenzio dell’Occidente e con la complicità della NATO.

Ma l’apologia per le “milizie di Misurata” comincia, in Italia ad investire anche la “sinistra”. Certo, non siamo ancora all’assalto all’ambasciata libica a Roma, condotto, nel 2011, con sventolanti bandiere di Rifondazione e del PCL, ma articoli come questo, di Radio Popolare, (scritto da un personaggio come Farid Adly, già apologeta dei “ribelli libici”) lasciano presagire il peggio.

Intanto i mass media italiani – gli stessi che accusavano di atrocità le truppe di Damasco “colpevoli” di liberare città quali Homs o Aleppo dai tagliagole dell’ISIS – fiutano l’aria in attesa di capire cosa deciderà il governo Renzi che, come in passato, si barcamena tra l’esigenza di fedeltà agli USA (brillantemente personificata dal ministro Gentiloni) e la paura di imbarcarsi in una guerra che potrebbe costargli davvero cara. Tra le poche eccezioni, Repubblica che auspica una nostra guerra alla Libia come “monito alla Francia”. Francia colpevole di prosciugare quelli che erano i “nostri” pozzi di petrolio. Che altro?

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