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L’euro e la crisi politica

di Jacques Sapir

Un lucido Sapir collega chiaramente l’euro all’attuale crisi politica europea. La moneta unica ha privato i governi europei degli strumenti per agire in nome del benessere dei propri cittadini, violando anche il tacito patto, alla base delle democrazie, “no taxation without representation”. In questo modo, i governi appaiono deboli e incapaci di difendere i cittadini, che si rifugiano in sotto-comunità che sembrano meglio garantirli ma che finiscono per mettere tutti contro tutti. Questa strada porta dritta verso la guerra civile

La questione della compatibilità tra l’euro e la democrazia si pone oggi con una rilevanza molto particolare. Questa moneta ha imposto alla Francia di cedere la propria sovranità monetaria ad un’istituzione non eletta, la Banca Centrale Europea. Essa impone ora alla Francia di cedere alla Commissione Europea, altra istituzione non eletta, interi settori della politica fiscale e di bilancio. Cosa resta allora del patto politico fondamentale che vuole che il potere di tassare un popolo venga ceduto solo in cambio del controllo sovrano dei rappresentanti del popolo sul bilancio del paese in questione?

Questo processo era già iniziato nel periodo precedente (dal 1993 al 1999) con l’istituzione di uno status di indipendenza della Banca di Francia. Ma questo status aveva senso solo nell’ottica dell’imminente implementazione dell’euro. Constatiamo, tuttavia, che questo primo abbandono della sovranità fu decisivo.

La perdita delle caratteristiche democratiche creata dall’euro ha conseguenze drammatiche per il nostro paese. Questa perdita provoca una erosione inevitabile del patto repubblicano e rischia, a causa delle sue conseguenze, di condurci alla guerra civile.

 

L’euro prima dell’euro

L’indipendenza della Banca di Francia, introdotta dopo il trattato di Maastricht, è stato un passo decisivo per la perdita della sovranità monetaria. Tuttavia, l’indipendenza delle banche centrali è in realtà parte del processo messo in opera. Tuttavia, quello che implica il primo abbandono della sovranità è ancora più importante dell’abbandono stesso. Una volta che viene lasciata ad altri la scelta della politica monetaria, si deve ammettere che questi ‘altri’ determineranno con le loro azioni le regole di bilancio che è necessario seguire. Privato della sua libertà di variare i parametri della politica monetaria, il governo perde uno dei principali strumenti di politica economica. Ma esso perde anche, in parte, il controllo delle sue risorse fiscali, perché queste sono strettamente correlate al livello dell’attività economica, e al tasso di inflazione. Infatti, le risorse fiscali sono grandezze nominali (e non grandezze reali). Più alto è il tasso di inflazione, maggiori saranno le risorse fiscali. Si noti, infine, che parte del deficit pubblico è un “debito” simile a quello che gli agenti privati emettono per avviare un’attività produttiva. Quindi si pone la questione del suo acquisto, in tutto o in parte, da parte della Banca centrale. Ma questo è vietato dall’euro.

 

Le consequenze politiche dell’euro

Non si può più regolare la politica monetaria secondo i bisogni dell’economia, il governo deve piegarsi a norme rigorose in materia di bilancio e fiscali. Se un’entità esterna stabilisce ora la politica monetaria, alla fine questa stessa potrà impostare le regole di bilancio e fiscali. Questo è quello che il nuovo trattato, o trattato di stabilità, coordinamento e governance, adottato nel settembre 2012, ha istituzionalizzato. Se il processo di bilancio sfugge al il controllo del governo, lo stesso vale per il processo fiscale. Tuttavia, il fondamento di TUTTE le democrazie risiede nel fatto che i rappresentanti del popolo, il Parlamento, deve avere – lui solo – l’ultima parola sul bilancio e sul fisco. Siamo quindi tornati alla situazione precedente al 1789. Il collegamento tra il cittadino e il contribuente è stato interrotto.

 

L’euro e la crisi politica

Ecco la causa della crisi democratica. Si manifesta prima come una forte astensione durante varie elezioni. Poi si manifesta anche con una repulsione verso diverse comunità e l’ascesa del “comunitarismo”. Oppure questa ascesa del comunitarismo prende ormai una piega tragica con gli attacchi di “jihadisti” sul territorio nazionale. Da questo punto di vista, la situazione è stata aggravata dal lassismo e dalla complicità dello stato e di alcuni dei suoi eletti al clientelismo [1] con i rappresentanti di questa ideologia.

Si deve imperativamente porre fine a queste pratiche. La politica dell’abbandono della politica da parte dei politici non può che condurre il paese alla tirannia o alla guerra civile. Ma questo richiede di ridare ai politici le capacità di agire con tutti gli strumenti necessari.

I francesi si sentono ormai sempre meno cittadini – e soprattutto perché dovremmo smetterla di macchiare questa parola in maniera totalmente inappropriata – essi si ritirano verso quello che sembra fornire protezione: le comunità religiose, le comunità di origine… In tal modo si precipitano nella guerra civile. Questa è la critica più radicale che possiamo fare all’euro: quella di strappare in maniera decisiva il tessuto sociale e di mettere, letteralmente, i francesi, gli uni contro gli altri. Nella logica dell’euro non c’è altro che quello che descrive Hobbes: la guerra di tutti contro tutti.

Se consideriamo tutti gli aspetti, economici, sociali, fiscali, ma anche politici, l’euro ha avuto, per quasi 17 anni ormai, un ruolo estremamente negativo. Privando i governi dei mezzi per agire, esso accredita l’idea della loro impotenza. Non abbiamo finito di pagarne il prezzo.


Note
[1] Vedere Pina C., Silence Coupable, Paris, Kero, 2016.

Comments

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Vincesko
Tuesday, 16 August 2016 11:36
@Claudio
Allora, se permetti, tu fai l'errore speculare di assolvere l'Euro, anzi la struttura e le regole che lo gestiscono, e talora, più che le regole scritte, la loro interpretazione ed applicazione, condizionate dalla Germania. E, più che dalla Germania, dal duo Merkel-Schaeuble che la amministra dal 2005, privilegiando gli interessi della Germania e in particolare del potente e coeso apparato economico-commerciale-finanziario, a scapito di fasce di popolazione interne e di interi popoli degli altri Paesi.
Per le prove documentali e per non dilungarmi troppo, v.:

Unione Europea: rischio di disintegrazione, ma va salvata su nuove basi
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2849471.html oppure (se in avaria )
http://vincesko.blogspot.com/2016/08/unione-europea-rischio-di.html
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Claudio
Monday, 15 August 2016 10:30
Trovo strano che questo illustre economista “eclettico” parli di pericolo di guerra civile, che a suo dire sarebbe causata dalle conseguenze dell’euro, e non fa alcun cenno alla politica neoliberista della grande finanza globale, che ha impoverito i proletari e ampi strati delle classi medie di mezzo mondo. Altrettanto poco chiaro il fatto che si lamenti della cessione di sovranità monetaria della Francia alla Bce e alla Commissione Europea, quando tale cessione di sovranità è comune a tutti i paesi che hanno adottato la moneta unica europea, poi mi sembra contraddittorio affermare che ciò “aveva senso (solo) nell’ottica dell’imminente implementazione dell’euro”, condizione questa in cui tale cessione sarebbe stata molto probabilmente maggiore, mentre non avrebbe più senso ora, per il fatto che tale processo non ha proceduto come avrebbe dovuto. Se l’euro ha causato perdita di sovranità monetaria ai singoli paesi, essa è però stata acquisita dalle istituzioni europee che li rappresentano formalmente tutti e quindi non è andata perduta, anzi, l’euro, in quanto moneta comune ad un gruppo di diciannove stati, ha attenuato la supremazia internazionale del dollaro, come moneta di tesaurizzazione e di scambio, e quindi della superpotenza yankee. Di questo almeno glie ne dovrebbe dare atto e dal punto di vista di paesi capitalistici esserne grato. Insieme ad una politica monetaria unica, ci sarebbe voluto anche un’unica politica di bilancio e fiscale, che fino ad ora non c’è stata, ma da qui al dire che siamo “tornati alla situazione precedente al 1789”, mi sembra veramente esagerato.
Verso la fine del breve ma abbastanza confuso scritto, l’illustre economista con idee a quanto sembra piuttosto reazionarie, fa un minestrone di varie questioni, come la crisi politica, la supposta ascesa del comunitarismo, che non capisco proprio dove la vede, dal momento che l’Unione europea e la società tendono piuttosto a disgregarsi, del jihadismo, il lassismo, il problema della cittadinanza e così via. Quindi conclude col dire che dato che i francesi, sempre e solo i francesi, che sono stati tra l’altro tra i principali fautori delle politiche europee, si sentono sempre meno “cittadini”: ”si ritirano verso quello che sembra fornire protezione: le comunità religiose, le comunità di origine… In tal modo si precipitano nella guerra civile, Questa è la critica più radicale che possiamo fare all’euro: quella di strappare in maniera decisiva il tessuto sociale e di mettere, letteralmente, i francesi, gli uni contro gli altri. Nella logica dell’euro non c’è altro che quello che descrive Hobbes: la guerra di tutti contro tutti”. Proprio non lo riesco a capire, i cosiddetti padri fondatori della Ue hanno optato per la creazione dell’unione degli stati europei per evitare che essi potessero tornare l’un l’altro a combattersi e ad ammazzarsi, come hanno fatto nelle due guerre mondiali che hanno fatto decine e decine di milioni di morti, e nonostante i ritardi nel processo di unificazione politica, fin’ora l’esperimento ha in gran parte tenuto, ma il nostro economista eclettico insiste nel dire che l’euro porta alla guerra civile. Questa è la sua sintetica conclusione: “Se consideriamo tutti gli aspetti, economici, sociali, fiscali, ma anche politici, l’euro ha avuto, per quasi 17 anni ormai, un ruolo estremamente negativo. Privando i governi dei mezzi per agire, esso accredita l’idea della loro impotenza. Non abbiamo finito di pagarne il prezzo”. Anche questo discorso non mi convince affatto, in quanto credo che alla base dei molti problemi avuti in questi 17 anni dai paesi europei ci siano le conseguenze della crisi della new ecnomy del 2001 e di quella finanziaria del 2008, due crisi di origine americana. E' quindi da provare che se avessimo avuto le monete nazionali le cose sarebbero andate meglio, anzi, dal punto di vista dei tassi di sconto e dei prezzi delle materie prime ed energetiche, per molti paesi del Sud Europa, Francia compresa, sarebbe andata sicuramente peggio.
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