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paolo s labini

Sganciarsi dall’euro senza uscirne è possibile

di Stefano Sylos Labini

Ogni giorno nel mondo milioni e milioni di persone utilizzano monete complementari, digitali o con supporto cartaceo, per acquistare beni e servizi. Con questo sistema le aziende di una comunità che ne accetta il corso possono aumentare il proprio volume produttivo, stimolare l’acquisto di beni e sostenere l’economia locale. Ne esistono diverse forme. Quella ‘commerciale’ ha come obiettivo l’incremento del consumo di determinati beni di aziende: classico esempio sono i punti fedeltà. Esistono inoltre le ‘monete dedicate o settoriali’, come i buoni-pasto, spendibili per prodotti specifici e le ‘monete-tempo’ il cui valore viene quantificato attraverso le ore lavoro dei partecipanti al circuito.

In Sardegna nel 2009 è nato il Sardex un circuito di credito commerciale in cui le imprese che sono iscritte scambiano beni e servizi utilizzando una moneta complementare virtuale. Al Sardex aderiscono oggi oltre 3mila imprese che nel 2015 hanno generato transazioni per 50 milioni di euro. I crediti non sono convertibili in euro ma solo in prodotti per evitare speculazioni.

Le aziende sarde possono finanziarsi reciprocamente, scambiandosi debiti e crediti, attraverso un sistema digitale di conti online. Le aziende con saldo negativo si portano in pari vendendo beni e servizi ad altre imprese aderenti, quelle con saldo attivo monetizzano i crediti accumulati facendo acquisti da altri membri del circuito.

I dipendenti delle imprese iscritte al circuito, invece, possono richiedere ai propri datori di lavoro il riconoscimento di rimborsi, benefit e premi la cui erogazione si era di frequente interrotta per la carenza di liquidità.

Con la moneta fiscale si sta tentando di fare il salto sul piano nazionale emettendo titoli pubblici il cui controvalore monetario è sicuro perché questi titoli danno il diritto a pagare meno tasse.

La moneta fiscale che abbiamo immaginato consiste in titoli pubblici – Certificati di Credito Fiscale – che conferiscono al portatore un diritto a una futura riduzione fiscale, trasferibile a terzi, che non generano un debito al momento dell’emissione e che presentano un vantaggio essenziale: rispettano tutti i vincoli posti dai trattati e dai regolamenti dell’eurozona.

Il loro valore non è soggetto ad alcun rischio di svalutazione sul mercato dei titoli, sia quello borsistico che quello Otc (dove si scambiano i titoli “al banco”). Un CCF da 100 euro alla fine varrà sempre 100 euro, qualsiasi cosa accada sui mercati. Dove invece può accadere che una Cdo o un Cds che al momento dell’emissione valevano 100, tempo dopo, quando si vuole rivenderli, valgano la metà o meno.

Ultima precisazione: il denaro potenziale rappresentato dai CCF è denaro legalmente “pieno” (nel senso che si applica all’espressione “legal tender”), poiché essi vengono per definizione accettati per pagare le tasse allo Stato. Che è il maggior riconoscimento a cui qualsiasi forma di denaro possa pretendere, quale che sia la sua apparenza o denominazione come moneta circolante in una nazione.

I Ccf, quindi, hanno un controvalore monetario sicuro e interessano esclusivamente chi paga le tasse in Italia.

La manovra con i Certificati di Credito Fiscale si fonda su due pilastri fondamentali: l’assegnazione dei CCF alle fasce sociali più povere (disoccupati, lavoratori precari, pensionati con assegni bassi) che hanno le maggiori potenzialità di aumentare i consumi e il finanziamento dei lavori pubblici. L’obiettivo è quello di aumentare la domanda interna passo fondamentale per trainare la produzione, le assunzioni e gli investimenti delle imprese.

Con la carta fiscale a scadenza, cioè carte caricate con i CCF che vengono annullati se non sono spesi in un certo arco di tempo (per esempio 1 anno), ci assicuriamo che il maggiore potere d’acquisto si trasformi in domanda effettiva e quindi in maggiori vendite delle imprese.

I lavori pubblici pagati con i CCF garantiscono commesse per le imprese. In questo ambito vanno finanziati investimenti pubblici di piccola taglia rapidamente realizzabili e facilmente controllabili.

Abbiamo ipotizzato la possibilità che i CCF siano convertibili in euro, un’eventualità che potrebbe avere diverse controindicazioni. Sono convinto che sarebbe opportuno immaginare dei meccanismi che spingano ad accettare direttamente i CCF riducendo al massimo la necessità di conversione in euro, un’operazione che chiama in causa le banche, che può determinare una perdita di valore dei CCF stessi e che non assicura automaticamente che gli euro siano spesi in acquisti di beni e servizi. In particolare, una crescita eccessiva dello sconto potrebbe verificarsi se l’emissione della moneta fiscale venisse considerata dai mercati finanziari come un passo verso l’uscita dall’euro.

Con l’inconvertibilità si ridurrebbero una serie di rischi che riguardano: 1) Il fatto che la conversione in euro non assicura automaticamente una domanda equivalente di beni e servizi. 2) L’entità dello sconto, che specialmente nella prima fase potrebbe essere elevato. 3) Il coinvolgimento delle banche, che potrebbero essere attaccate dall’Europa. 4) Il deficit di bilancia commerciale, perché verrebbe attivata principalmente la produzione interna realizzata da chi paga le tasse in Italia.

Dunque, se i CCF non fossero convertibili in euro, funzionerebbero come una vera moneta complementare che si affianca all’euro. L’opzione dell’inconvertibilità se da un lato rende lo strumento meno liquido provocando problemi di accettazione, dall’altro però evita i rischi di una svalutazione eccessiva nei confronti dell’euro e garantisce che la manovra abbia un impatto sicuro all’interno del territorio nazionale poiché saranno solo le imprese che pagano le tasse nel nostro Paese ad accettare i CCF come mezzo di pagamento. In tal modo, si viene a ridurre la spinta verso le importazioni che inevitabilmente l’espansione della domanda interna porta con se. Inoltre, la possibilità di fare pagamenti in CCF permette di liberare euro che possono essere utilizzati per altri scopi (importazioni, riequilibrio di bilancio, pagamento dei debiti).

Ovviamente uno scenario del genere implica un accordo con le imprese che si impegnano ad accettare CCF come mezzo di pagamento in luogo degli euro. Ma se funziona il Sardex perché non potrebbero funzionare i CCF che hanno dietro lo Stato ?

In conclusione, questa è la strada più conveniente che può evitare di spaccare il Paese per rimettere in moto l’economia in tempi brevi senza chiedere nulla all’Europa.

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