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Profughi, mostri e bufale

di Miguel Martinez

Qui abbiamo sempre più la sensazione che ci sia qualcosa che non vada nello scambio di insulti tra opposte tifoserie, ogni volta che si parla della “questione dei profughi“.

Come se metà del pubblico sugli spalti stesse gridando, “Forza Juve” e l’altra metà, “Forza Lazio”, con tutti a dire la loro su rigori, assist e calci d’angolo, mentre dentro il campo  si stesse svolgendo una corsa di cavalli.

Ed è proprio così, come ci spiega molto semplicemente Gabriele Del Grande, che probabilmente è la persona che si è più impegnata, in questi anni, proprio a fianco dei migranti.

Leggete molto attentamente, perché ci va di mezzo il nostro futuro – pensiamo all’impatto della “questione profughi” sul referendum inglese o sulle elezioni in Austria o sui rapporti tra Europa e Turchia.

Ci sarebbe da discutere sulla semplicità della soluzione che Grandi propone, ma almeno si inquadra correttamente il problema.

Ringraziamo Rossana per la segnalazione.

* * * *

“Abbiamo creato un mostro! ”

di Gabriele Del Grande

C’è gente che una volta faceva le manifestazioni antirazziste e oggi difende a spada tratta il sistema d’accoglienza (ideato da Maroni con l’emergenza Nord Africa)!

Mi riferisco al surreale dibattito tra pro-terremotati e pro-immigrati. Premesso che i terremotati vorremmo tutti vederli in una nuova casa quanto prima, il sistema di accoglienza italiano è indifendibile!

Lo dice uno che crede nella libertà di movimento.

E lo dicono tanti di quelli che ci lavorano, ma sottovoce per non essere fraintesi. Sapete cosa mi disse una volta in privato uno dei padri del Servizio Centrale a Roma? “Abbiamo creato un mostro! Un sistema di welfare parallelo. I più onesti si sono comprati le case!

Pochi mesi dopo, esplose lo scandalo di Mafia Capitale.

E guardate che non sono uno che si scandalizza per i 35 euro. Se un servizio funziona, per me può costare dieci volte tanto. Ma questo servizio non funziona! Perché è tutta la procedura che non ha senso.

Un trentenne di Lagos decide di emigrare dallo zio a Milano. L’ambasciata italiana gli nega il visto. La famiglia investe cinquemila euro per mandarlo via terra in Libia e da lì fargli attraversare il Mediterraneo sperando arrivi vivo. Ce la fa, ma in Sicilia scopre che l’unico modo per avere un permesso di soggiorno è chiedere asilo politico perché è entrato illegalmente in frontiera. Impara a memoria una storia falsa: l’infanzia da orfano, lo zio cattivo, un mandato d’arresto, il poliziotto corrotto. La Commissione che deve decidere sulla sua storia gli dà appuntamento un anno e mezzo dopo. Nell’attesa viene trasferito in una pensione in qualche paesino montano. Nel frattempo gli è vietato lavorare e gli è vietato ricongiungersi con i figli e la moglie, in compenso può fare volontariato e imparare l’italiano. Dopo un anno e mezzo la Commissione lo riceve e gli nega l’asilo politico perché non sussistono i requisiti giuridici. L’avvocato gli consiglia di fare ricorso, è gratuito, devono solo inventarsi una storia un po’ più credibile. Passa un altro anno. Il tribunale conferma il diniego. E così, due anni e mezzo dopo il suo arrivo, il trentenne di Lagos riceve l’ordine di allontanarsi dal territorio e lascia la pensione del paesino. Prende il primo treno per Milano e va a bussare alla porta dello zio, senza documenti e senza lavoro. Esattamente come se fosse sbarcato il giorno prima.

Se tre anni prima l’ambasciata italiana a Lagos gli avesse rilasciato un visto di turismo e ricerca lavoro (visto che ad oggi non esiste), quella stessa persona avrebbe investito i suoi cinquemila euro non nella mafia libica del contrabbando ma per mantenersi a Milano durante i sei mesi di durata del visto. E se avesse trovato un lavoretto magari avrebbe potuto rinnovare il visto di altri sei mesi in Questura (oggi è impossibile convertire un visto) e infine avere un permesso di lavoro l’anno dopo (altra procedura oggi impossibile).

L’italiano l’avrebbe imparato presso le scuole serali che nel frattempo il governo avrebbe dotato di nuovi finanziamenti (magari!). E se invece non avesse trovato il lavoro che cercava, anziché fare ricorso se ne sarebbe ritornato a Lagos o sarebbe andato a Berlino, sapendo che a Milano sarebbe potuto tornare in ogni momento.

Tre quarti delle centomila persone oggi in accoglienza non avranno nessun permesso di soggiorno come rifugiati politici. Tenteranno il ricorso per guadagnare tempo, ma sarà inutile. Servirà solo ai tanti avvocati che si sono precipitati sull’affare. Col gratuito patrocinio un ricorso vale sui cinquecento euro. Cosa mi dicono gli avvocati che ne fanno cento o duecento l’anno? Mettici pure una conferenza sul diritto d’asilo e sei a posto. Non è per i soldi. Per me se fai bene il tuo lavoro puoi guadagnare anche un milione. Ma se porti a casa cinquantamila euro di ricorsi farsa pagati dai contribuenti pubblici io la chiamo per quello che è: una truffa. In questo momento ci sono almeno 15mila ricorsi pendenti.

Nessuno ha il coraggio di dire che sono per tre quarti dei casi delle farse, ricorsi fotocopia, storie imparate a memoria prima di partire e ripassate nei centri di accoglienza. Perché? Perché è l’unico modo per avere una carta per lavorare nell’Europa razzista di oggi.

Non ce l’ho con chi mente. Io farei lo stesso al loro posto. Ce l’ho con una procedura insensata, che costa alla collettività miliardi di euro e che potrebbe essere cambiata in tre passaggi, salvando vite umane e risparmiando soldi.

Perché non si potenziano le Commissioni per l’Asilo in modo da dare risposte certe nel giro di una o due settimane? E soprattutto perché non si danno alle Ambasciate strumenti per rilasciare visti per ricerca lavoro e alle Questure strumenti per convertire i visti in permessi?

Liberate le frontiere e chiudete gli alberghi. Date alla gente la possibilità di spostarsi e di farlo in modo dignitoso, come abbiamo fatto noi cinque milioni di italiani che viviamo all’estero e come hanno fatto il 99% dei cinque milioni di emigrati che vivono in Italia.

L’accoglienza lasciamola ai terremotati veri, quelli che hanno perso tutto. Siano quelli di Amatrice o quelli di Aleppo, di Raqqa, di Mosul, di Kandahar, di Kabul, di Sanaa, di Mogadiscio. Perché l’asilo politico è una cosa molto seria ed è la misura di una civiltà giuridica.

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