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ilcuoredelmondo

Via dall’euro, con l’austerità non c’è futuro

Lo ammette anche Zingales

di Marcello Foa

E’ un’intervista destinata a far scalpore, sebbene quotidiano che la pubblica “Repubblica” abbia cercato di annacquarla. Il vero titolo era “Via dall’euro, con l’austerità non c’è futuro” hanno preferito un più neutrale “Quella contro l’austerity e’ una battaglia persa”. Resta però la sostanza.

Luigi Zingales, economista della University of Chicago, stronca i tentativi di Renzi di strappare qualche decimale di flessibilità per la semplice ragione che il vero nodo è strutturale. Le schermaglie non servono a nulla.

«Il problema non è qualche punto decimale di flessibilità, ma la vera struttura dell’ unione monetaria. Senza una politica fiscale comune l’ euro non è sostenibile: o si accetta questo principio o tanto vale sedersi intorno a un tavolo e dire: bene, cominciamo le pratiche di divorzio. Consensuale, per carità, perché unilaterale costerebbe troppo, soprattutto a noi».

Parola di Zingales, che alla domanda su cosa dovrebbe fare l’Italia per sbloccare l’austerità di marca tadesca, la risposta è netta:

«Di certo smetterla di elemosinare decimali da spendere a scopi elettorali rendendosi poco credibile. Dovrebbe invece iniziare una battaglia politica a livello europeo. Dire chiaramente che alle condizioni attuali l’ euro è insostenibile. O introduciamo una politica fiscale comune che aiuti i paesi in difficoltà o dobbiamo recuperare la nostra flessibilità di cambio. Tertium non datur.

Il rischio per gli italiani è quello di finire come la rana in pentola: se la temperatura aumenta lentamente non ha la forza per saltare fuori e finisce bollita. Il nostro Paese non cresce da vent’ anni. Quanto ancora possiamo andare avanti?

Certo, Zingales continua a credere che una politica fiscale europea potrebbe risolvere i problemi di molti Paesi europei ma realisticamente sa che la Germania non si scosterà dall’attuale linea.

Alla Germania conviene che questa situazione continui all’ infinito. È difficile che qualcuno cambi idea se non gli conviene, a meno che non sia costretto a farlo. I tedeschi temono di pagare il conto delle spese altrui e su questo non hanno tutti i torti.

Dunque nulla cambierà. E l’Italia deve scegliere: se non vuole morire dissanguata lentamente deve trovare altre soluzioni. Ne resta una sola: uscire dall’euro, come sostengono da tempo Alberto Bagnai e gli economisti che gravitano attorno ad Asimmetrie.

E se Renzi fosse davvero il premier di rottura che pretende di essere, coglierebbe l’occasione per avanzare con forza la questione, anzi per porla al primo posto nell’agenda del Paese. Altro che Olimpiadi, altro che riforma costituzionale. Tutto è inutile senza crescita economica.

Ma questo coraggio,Renzi non ce l’ha. Preferisce, al solito, la propaganda e le schermaglie verbali, come se bastasse parlare bene per salvare un Paese. 

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Comments

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Claudio
Sunday, 02 October 2016 15:59
Mi par ovvio ed evidente a tutti, che «Il problema non è qualche punto decimale di flessibilità» in più, e che «Senza una politica fiscale comune l’euro non è (a lungo) sostenibile», ma non si creda che il divorzio da esso, risolva le numerosissime problematiche italiane, come sembrano voler sostenere i vari «Alberto Bagnai e gli economisti che gravitano attorno ad Asimmetrie», e non solo essi. Gran parte di coloro che sostengono la tesi dell’uscita dall’euro, infatti, agitano tale problema come se fosse la panacea che risolve tutti i mali economici, politici e sociali italiani. Lo fanno richiamandosi a teorizzazioni opinabili, proprie di una scienza che si presta alle più disparate interpretazioni, siano esse a favore di una tesi, che di quella avversa. Costoro, essendo specialisti in materia, lo fanno sostenendo posizioni preconcette, che non saprei se dettate da sincere convinzioni e come tali rispettabilissime, oppure dettate da ben altri interessi di bottega, il che lo sarebbe un po’ meno.
Quel che a me preme sostenere, non è la tesi pro euro, ma evidenziare le problematiche che un’eventuale e sconsiderata uscita porrebbe, e soprattutto cercar di dimostrare che costoro lo fanno per non affrontare la quintessenza della sostanza politica e sociale di classe, che è il sistema capitalistico di produzione arrivato da decenni al capolinea, che sta combinando sempre più irreparabili guai. Basta vedere le numerosissime e sanguinosissime guerre in corso, causa delle attuali migrazioni di massa, l’immenso degrado ambientale che minaccia la sopravvivenza della specie, e così via. Infatti, la crisi e la stagnazione sono, e continuano ad essere mondiali, in quanto c’è sovrapproduzione in tutti i grandi settori produttivi e gli avanzatissimi nuovi sistemi produttivi, cosiddette 4.0, sui quali i paesi capitalistici più avanzati stanno puntando, non fanno altro che aggravare. Il fatto poi che l’uscita dall’euro sia sostenuta con altrettanta enfasi dalla destra populista di tutti i paesi europei, dovrebbe quantomeno far sorgere qualche dubbio sulla sua effettiva portata politica a questi pretesi sinistri, ma a quanto pare non è così, in quanto essi debbono, o vogliono, sostenere la missione di ottenebrare i cervelli degli oppressi, e da bravi e convinti rappresentanti di una componente del sistema intendono portarla a compimento.
I diseredati, i componenti delle classi più umili, tartassati da destra e da manca, dovrebbero sforzarsi di cercar di capire da che parte stanno i loro interessi, ed essere pertanto fieri nemici di questi signori, dal momento che sarebbero loro a dover pagare i costi d’un eventuale uscita dall’euro, sia in termini di minor potere d’acquisto di salari e pensioni, che d’aumento dei prezzi, sia delle merci importate, in primis di quelle energetiche che avrebbero pesanti ricadute sui prezzi dell’intera produzione, e quindi su tutti i consumi che ancora possono permettersi i poveracci. Se gli strenui sostenitori dell’uscita dall’euro fossero degli intellettuali onesti, il che, viste le parzialità con le quali trattano l’intera vicenda, mi rendono quantomeno dubbioso, dovrebbero quantomeno esaminare le argomentazioni contrarie a tale uscita, che sono molte, a cominciare dai tassi d’interesse sul mastodontico debito pubblico italiano, che farebbe quantomeno triplicare, o giù di lì, gli interessi da pagare, i quali pertanto balzerebbero a 200 e passa miliardi l’anno. Per non parlare della speculazione -che tornando alla moneta nazionale, la quale, considerata la situazione complessiva italiana, sarebbe per ovvie ragioni assai debole, e che persistendo l’attuale enorme montagna di debito pubblico, che costoro tra l’altro vorrebbero addirittura poter aumentare- avrebbe buon gioco ad accanirsi sui più disparati obiettivi economici e finanziari nostrani, da portarci in brevissimo volgere di tempo a sicuro default. Ma lasciamo pure che costoro continuino a menarla con le loro fasulle problematiche, tanto sono i loro padroni, che avendo anche loro ben più da perdere che da guadagnare, l’euro non intendono proprio mollarlo. Pertanto andiamo oltre.
Zingales, che come intellettuale assai brillante stimo, dice che «le pratiche di divorzio (dovrebbero essere) consensuali, per carità, perché unilaterale costerebbe troppo, soprattutto a noi». Mi trovo perfettamente d’accordo con queste sue affermazioni obiettivamente scontate, ma gli vorrei porre una domanda: pensa forse che l’accordo consensuale sarebbe meno oneroso e meno doloroso per noi? Dal momento che in ogni contrattazione tra stati, ogni paese pensa ai propri esclusivi interessi, credo che il risultato non sarebbe molto diverso e, quindi, parimente molto oneroso.
L’autore del presente scritto sostiene che «Alla Germania conviene che questa situazione continui all’infinito». Considerando la crisi bancaria che la coinvolge, personalmente comincio a credere che potrebbe non essere così. Ma completiamo il suo apprezzabile s’eppur banale concetto. «È difficile che qualcuno cambi idea se non gli conviene, a meno che non sia costretto a farlo. I tedeschi temono di pagare il conto delle spese altrui e su questo non hanno tutti i torti». Su questa affermazione sono ovviamente totalmente d’accordo, ma inviterei l’autore a voler elencare i motivi per i quali i tedeschi «non hanno tutti i torti», e conoscendo a grandi linee la putrescente politica complessiva italiana, penso proprio che non siano pochi. Sono convinto altresì che se lo facesse (personalmente ho cercato di farlo, come ne sono capace, in vari commenti ad articoli anti-euro precedenti, apparsi su questa rivista), probabilmente non sosterrebbe che di soluzioni « Ne resta una sola: uscire dall’euro», dal momento che essa non risolverebbe un bel niente e creerebbe, come ho cercato di far capire, non pochi ed assai ardui problemi.
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