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L’economia italiana in breve: semplicemente non beve

di Maurizio Sgroi

E’ uscito poco fa l’ultimo fascicoletto della Banca d’Italia che illustra l’economia italiana in breve, una lettura obbligata che ha il vantaggio di compiersi velocemente, consistendo in un elenco di grafici e tabelle che descrivono gli andamenti delle variabili macroeconomiche principali del nostro Paese. D’altronde non servono troppe parole per descrivere lo stato della nostra economia. Potremmo dire che, in breve, l’economia italiana non beve.

Se guardiamo all’andamento del Pil e alle principali componenti della domanda, si osserva che l’unica voce che è migliorata rispetto al 2007 – base dell’indice 100 – è l’export, mentre il Pil rimane sotto di quasi dieci punti, e gli investimenti per oltre 25. Non c’è da stupirsi, visto che la produzione e il clima di fiducia delle imprese rimangono traballanti e l’andamento dei giudizi sulle condizioni per investire, frutto di rilevazioni campionarie di Bankitalia, è piatto. Praticamente piatto è anche il tasso di disoccupazione, bloccato fra l’11 e il 12% dalla metà del 2015, pure a fronte di un aumento degli occupati, nello stesso periodo, di circa 400 mila unità.

Se guardiamo al nostro maggior successo, ossia il commercio estero, apprendiamo che in totale, fatto 100 l’indice al quarto trimestre 2007, il valore delle esportazioni ha superato 110, ma la parte del leone l’ha fatto l’export verso i paesi extra Ue, che sfiora 130, mentre quello intra Ue ha da poco superato 100. In sostanza le nostre fortune dipendono dal mondo fuori dall’Ue, e in questo siamo molto diversi dai nostri partner, come ad esempio la Germania.

Queste fortune commerciali hanno condotto a un surplus di conto corrente cresciuto nel corso del 2016, che ha migliorato la nostra posizione netta sull’estero, che tuttavia rimane negativa per il 20% del Pil. A ben vedere, lo stato di salute dei nostri conti esteri è l’unico miglioramento visibile dal 2011, quando il saldo delle partite correnti era negativo per 60 miliardi, mentre oggi è positivo per 40.

Piatta è pure l’inflazione, che si aggira intorno allo zero ormai dalla metà del 2014, così come piatta è la curva dei prezzi immobiliari. Quelli reali sono bloccati a quota 80, fatto 100 l’indice del 2010, da inizio 2015, con tendenza a declinare. Ciò in compenso ha favorito l’aumento delle compravendite, che si sono impennate da inizio 2015, ma sono ancora oltre 10 punti sotto il livello 100 del 2010.

La vicenda immobiliare ci conduce a quella del credito. L’unica curva in lieve crescita è quella dei prestiti alle famiglie, che hanno superato la linea dello zero proprio a inizio 2015. Al contrario quelle alle società finanziarie e al settore privato galleggiano poco sopra o poco sotto lo zero.

Il combinato disposto dell’aumento delle compravendite e dell’aumento dei prestiti alle famiglie spiega probabilmente la singolarità che i tassi di interesse sui nuovi prestiti siano tutti in calo tranne che quando si tratti di prestiti alle famiglie per acquisti di abitazioni, che il grafico elaborato da Bankitalia fotografa in crescita nell’ultima parte del 2016. Quando il mercato beve, i tassi salgono, evidentemente. Anche perché le banche devono pur vivere di qualcosa. Un andamento simile si era osservato pure in altri paesi.

L’ultima cosa interessante da osservare riguarda l’andamento dei creditori del nostro debito pubblico. Nel 2016 si è allargata la quota di debito pubblico in mano a Bankitalia mentre si è leggermente ridotta la quota estera. Il QE, in qualche modo, ha “internalizzato” un pezzetto del nostro debito pubblico. Ma l’estero ne detiene ancora una quota rilevante. Meglio non dimenticarlo.

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