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ilsimplicissimus

Verrà il robot e avrà i tuoi occhi

di ilsimplicissimus

Da qualche anno prima gli economisti alla Krugman e poi i media hanno cominciato a lanciare l’allarme sulla robotizzazione sempre più avanzata che sottrae lavoro agli uomini, non soltanto nelle fabbriche, ma anche nelle attività terziarie più automatizzate e prossimamente persino nella guida dell’auto. Adesso tocca all’Onu lanciare l’allarme con un documento nel quale si prevede che in un futuro molto prossimo, questione di anni più che di decenni, i robot sostituiranno il 66% del lavoro umano. Le macchine si sa sono più precise e veloci dell’uomo quando si tratta di standard, non si stancano, non sono aggredite dall’alienazione, non accampano diritti, si può produrre giorno e notte senza nemmeno uno scioperino bianco e oltretutto in termini marxiani eliminano la differenza fra capitale fisso e capitale variabile.

In realtà la situazione è meno inedita di quanto non sembri e ha accompagnato tutte le rivoluzioni tecnologiche sia pure in contesti fra loro diversissimi, ma è interessante vedere come la questione viene affrontata oggi. Il documento delle Nazioni Unite, ripreso dal Sole 24 Ore, si limita a proporre un problema secondario, nascondendo ipocritamento quello principale, ossia la possibilità che l’era robotica colpisca a morte i Paesi in via di sviluppo che basano la loro economia sul lavoro a basso costo. Ma non è proprio così: poiché anche i robot vanno costruiti e a prezzi concorrenziali essi sono realizzati in gran parte negli stessi Paesi in via di sviluppo e dal momento che tutta l’elettronica viene comunque realizzata in Asia, la situazione è molto più fluida di quanto non si pensi. Tanto che la Cina, non solo  è il maggior acquirente mondiale di sistemi robotici,  ne è anche il secondo produttore asiatico dopo il Giappone e recentemente ha acquisito anche Kuka l’azienda tedesca che letteralmente ha inventato il robot industriale ed è uno dei leader del settore.

Però non si fa affatto caso al vero problema che coinvolge invece in pieno l’Occidente, le sue strutture sociali, le sue ideologie e la sua bisecolare rapina: con i robot si produce di più e a costi inferiori, ma chi comprerà quei prodotti visto che i potenziali acquirenti rimarranno senza lavoro? Un qualche assaggio di questo futuro viene dalla Volkswagen che si appresta a licenziare 32 mila operai per rimpiazzarli con 9 mila (ma la cifra va presa con molto beneficio di inventario) tecnici del software che in realtà sono piuttosto manutentori del sistema: è una cifra molto vicina a quel terzo di lavoro umano rimanente pronosticato per il prossimo futuro. Il modo più razionale di affrontare questo progresso poiché si stratta sempre di affrancare gli esseri umani dai lavori ripetitivi e alienanti,  sarebbe quello ovvio di ridurre drasticamente gli orari di lavoro e migliorare i salari, di estendere le tutele, di puntare sull’estensione della qualità di vita attraverso il miglioramento dei servizi universali, istruzione, sanità, trasporti laddove essi non sono robotizzabili. Invece si sta facendo esattamente il contrario perché questo significa non solo ridurre drasticamente i profitti che nell’era liberista sono arrivati a cifre inimmaginabili per il consumatore finale, mai meno di dieci volte i costi di produzione, più spesso di 20, 30, fino a qualche centinaia di volte in settori come l’alta moda, ma anche togliere alle elites attuali in via di realizzare la sperata oligarchia multinazionale, buona parte della capacità di comando e di influenza che hanno acquisito. La robotizzazione è dunque da una parte rincorsa follemente, dall’altra diventa insensata e in ogni caso è molto distante dal creare il ciclo di crescita che solitamente è legato a qualche mutazione tecnologica: questo può avvenire solo se si gioca su domanda e offerta, ma in questo caso si aumenta l’offerta a scapito della domanda.

Così all’aumento della capacità produttiva corrisponderà un drastico calo della capacità di assorbimento dei prodotti stessi, cosa che del resto si sta già evidenziando. Disgraziatamente se le contraddizioni del sistema si accrescono e arrivano all’estremo, questo non produce un aumento del dibattito né culturale, né civile, né politico, tutte cose che il mercato come ente supremo ha fatto marcire sostituendole con un immenso campionario di varianti effimere, di creatività futili, di talentuosità conformiste. Di chicchere e chiacchiere ripetitive che sono agli antipodi della capacita di pensiero, dell’onestà etica e della consapevolezza.  Tutto questo quando invece, per uscire fuori dalle logiche della palude occorrerebbe un radicale cambiamento culturale che viene invece esorcizzato dal pensiero unico.  Sta diventando sempre più chiaro che non è la tecnologia a sommergere l’uomo come vorrebbe una nutrita schiera di illustri misoneisti novecenteschi e cattolicheggianti a loro insaputa, ma è la tecnologia ad essere utilizzata da uomini cui è stata amputata l’anima e trasformati essi stessi in automi del consumo. Se la robotizzazione ci spingerà verso le guerre le globali, la rischiavizzazione e un ritorno al primitivo oppure a una crescita di civiltà lo si dovrà soltanto  alla capacità di rovesciare il contesto ripugnante in cui essa sta maturando.

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