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ilpedante

NO, grazie

di Valerio Donato

[Pubblico nel seguito una gradita riflessione inviatami dall'avv. Valerio Donato, già collaboratore di questo blog, sul referendum costituzionale del 4 dicembre.

A lungo mi ero riproposto di affrontare personalmente il tema, ma mi tratteneva da un lato il tenore tecnico del tema, dall'altro il disgusto di cimentarmi nel merito di un attentato così volgare e storicamente inaudito. Che un manipolo di mediocri, penosi, raccomandati e intellettualmente sterili posi le mani sul monumento di una guerra e sul prodotto di uno dei rari momenti storici in cui la violenza e la morte hanno costretto i superstiti a progettare una civiltà fondata sulla partecipazione e i diritti di tutti - in parte riuscendoci - è un orrore che dà il segno di una decadenza culturale nella cui contemporaneità chi scrive non si rassegna ancora a riconoscersi.

La nostra Costituzione è certamente perfettibile. Ma per perfezionarla bisognerebbe casomai andare nella stessa direzione dei suoi principi. Non indietro. Se la sovranità appartiene al popolo - perché diversamente apparterrebbe a qualcun altro, e il popolo sarebbe schiavo - limitarla introducendo oligarchie di nominati, procedure indecifrabili aperte a ogni arbitrio e clausole di sottomissione a organismi internazionali che non rispondono alla volontà dei cittadini (anzi la schifano) non è soltanto in contraddizione con la Carta stessa e con la volontà di chi l'ha scritta, ma anche demente.

Che il dissanguamento del nostro patrimonio umano e produttivo si sia accompagnato alla progressiva realizzazione di quegli stessi principi di sdemocratizzazione che ispirano la riforma proposta, è nei fatti: dalla lettera della BCE (eletta da chi?) del 2011 al successivo governo tecnico (eletto da chi?), dai moniti dei sedicenti saggi e commissari stranieri (eletti da chi?) alle minacce delle agenzie di rating (elette da chi?), fino al primo ministro oggi in carica (chiamato da chi?). E prima ancora, dall'indipendenza di una banca centrale che ha reso eterno il debito che oggi ci rimprovera. Indipendente da chi, poi? Dai rappresentanti eletti e controllati dal popolo. Cioè dal popolo.

Pensare che la perfetta coincidenza cronologica del declino e di questi attacchi alla sovranità popolare sia solo fortuita è, mi si perdoni l'insistenza, da dementi. Un popolo che rinuncia a rappresentare i propri bisogni rinuncia anche a soddisfarli. Non è difficile.

Bene fa Valerio a sottolineare anche la volgarità del quesito referendario, dove si blatera di riduzione dei costi. La nostra Costituzione parla di lavoro e di diritti, che sono ciò che dà dignità agli uomini e a una comunità. Non parla di soldi. I soldi sono lo sterco di chi ci ricatta, di chi intende fare di lavoro e diritti una merce - peraltro riuscendoci, ad oggi. Degli stessi usurai che hanno già ottenuto di infettare la Carta con l'obbligo di pareggiare il bilancio (art. 81), cioè di centellinare il loro sterco, di implorarlo in cambio di cessioni, privatizzazioni, riforme. Degli stessi che hanno ispirato, anzi preteso questo sfregio ulteriore: in alcuni casi apertamente, come JP Morgan nel 2013 (qui un commento).

Non spero si debba riscrivere un'altra Costituzione democratica sulle macerie di una guerra che - se il manuale di storia mi dice qualcosa - è inevitabile quando i popoli affidano il proprio interesse a chi li sfrutta per realizzare quello di pochi].

***

Il referendum è un passaggio esiziale per la nostra democrazia (sia in senso formale sia, soprattutto, in senso sostanziale). Si può serenamente affermare che la vittoria del no sia condizione necessaria, benché non sufficiente, per respingere l’avanzata della finanza parassita che vive di rendita a discapito dell’economia reale.

La riforma, infatti, mira a menomare la rappresentanza dei cittadini nell’espressione della sovranità popolare (principio inderogabile ex art. 1 Cost), modificando l’equilibrio dei poteri tra gli organi costituzionali.

In merito è sintomatico come la legge in discussione sia stata approvata da un Parlamento non rappresentativo degli elettori. La Sentenza della Corte Costituzionale (il Giudice delle leggi) n. 1/14, infatti, ha abrogato parti della legge elettorale, all’epoca vigente, per manifesta incostituzionalità. Tra le motivazioni si legge che i premi di maggioranza stabiliti per Camera e Senato determinano, “irragionevolmente, una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica” e che la disciplina di designazione degli eletti “priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti”.

Si desume che l’attuale Parlamento, essendo pertanto stato formato da elezioni incostituzionali, non abbia e non avesse il potere di approvare leggi costituzionali (che modificano cioè la legge suprema che tra le altre cose regola proprio i poteri dell’assemblea legislativa stessa), e men che meno una siffatta riforma che riscrive ben 47 articoli su 139 perché non rappresentativo dei cittadini elettori. Avrebbe, per contro, dovuto occuparsi solo di ordinaria amministrazione in attesa di nuove elezioni.

Entrando nel merito occorre esaminare il testo del quesito referendario:

Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?

Riproduce in maniera pedissequa il titolo della legge da approvare o respingere, che, come tutti i titoli delle leggi, spesso non riflette il reale contenuto delle disposizioni che contiene, ma esprime solo le volontà e i desiderata di chi la propone.

Nella specie emerge con prepotenza l’intento populista (l’intenzione cioè di parlare alla pancia dei cittadini elettori per dissimulare i reali contenuti) dei redattori laddove si legge "riduzione del numero dei parlamentari e contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni".

In realtà il “risparmio” (concetto di per sé populista perché la spesa dello Stato è il guadagno dei cittadini) sarebbe di appena € 0,83 all’anno per ogni singolo italiano. La riduzione dei parlamentari, cosa in sé negativa perché riduce la rappresentanza degli elettori nell’Assemblea sovrana, per contro, si tradurrebbe nella mera sostituzione degli attuali senatori, eletti direttamente dal popolo, con consiglieri regionali e sindaci, nominati direttamente dai partiti.

L’intento populista del legislatore della riforma, per fortuna, si sta tramutando in un boomerang poiché, scoperto l’inganno che il risparmio e il taglio di rappresentanza democratica non sono abbastanza, si è venuto a creare un robusto populista fronte del NO. A parere di chi scrive tale fronte non deve essere assolutamente contrastato, ma cavalcato per arrivare alla vittoria del NO, che come anticipato sopra è essenziale per la nostra democrazia.

Il resto della riforma va a complicare il procedimento di formazione delle leggi creando diversi sistemi. Vi sarebbero, infatti, leggi approvate direttamente dalla Camera, leggi riviste dal Senato e leggi approvate da entrambi. La conseguenza evidente è che vi saranno moltissimi ricorsi alla Corte Costituzionale per capire come dovranno essere interpretate le disposizioni in tema di procedimento di formazione delle leggi.

Ma l’aspetto decisamente peggiore, mortale per la nostra democrazia, è rappresentato sicuramente dall’abolizione del vincolo di rappresentanza dei membri del Parlamento nei confronti della Nazione e dalla previsione di un procedimento ad hoc per il recepimento delle normative dell’Unione Europea.

L’attuale articolo 67 infatti recita: “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”, mentre la nuova formulazione sarebbe “i membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato” (viene invero sancito che i soli membri della camera rappresenterebbero la nazione lasciando quindi il dubbio su chi dovrebbero rappresentare i nuovi senatori).

Il nuovo articolo 70, qualora la riforma venisse approvata, introdurrebbe in Costituzione “la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea”. Come evidenziato sul blog Orizzonte48 la previsione in Costituzione di una legge di attuazione comunitaria comporterebbe il prevalere della normativa comunitaria, ormai per l’appunto costituzionalizzata, finanche sui principi supremi dell’ordinamento italiano.

Giova precisare che l’Italia ha già introdotto in Costituzione pesanti vincoli europei. Con la legge costituzionale n. 3 del 2001 si è introdotto l’obbligo del rispetto dei “vicoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” per lo Stato e per gli enti locali mentre con la n. 1 del 2012 si è costituzionalizzato (caso unico al mondo) il pareggio di bilancio che impedisce all’Italia di attuare qualsiasi politica di crescita economica per il benessere dei cittadini.

È quindi evidente che il Parlamento verrebbe trasformato in un organo amministrativo non più sovrano. Impedire questa finale sottomissione all’Unione Europea rappresenta una moderna linea del Piave da difendere a tutti costi, per salvaguardare la sovranità popolare e l’indipendenza della Nazione.

È utile ricordare che la Costituzione della Germania, nazione egemone in Europa, non consente in alcun modo simili subordinazioni all’ordinamento comunitario. Lo stato tedesco, per contro, ha sempre rivendicato la supremazia delle proprie leggi su quelle europee che vengono espressamente viste (si veda l’ultimo discorso del ministro Schäuble in Parlamento) come strumento di controllo dei bilanci delle nazioni concorrenti e, pertanto, come strumento per mantenere la propria supremazia in campo economico.

Mantenere l’attuale assetto costituzionale, peraltro, non comporterà automaticamente un rinnovato benessere per il popolo italiano, ma sarà il fondamento necessario per respingere le disparità e le asimmetrie che ci impone l’ordinamento dell’Unione Europea.

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