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Trump senza freni, la competizione globale è una realtà

di Rete dei Comunisti

Le prime dichiarazioni del ‘presidente eletto’ degli Stati Uniti lasciavano già presagire un cambiamento netto nella politica interna ed estera degli Stati Uniti che le esternazioni più recenti su diversi argomenti hanno ulteriormente confermato. 

D’altronde il tentativo di ‘avvelenare i pozzi’ del suo successore da parte di Obama, che ha firmato vari provvedimenti legislativi miranti a rendere più difficile a Trump dar seguito alle sue affermazioni, rende l’idea di quanto sia reale lo scontro tra le diverse strategie esistenti all’interno dell’establishment di Washington. 

Se Obama ha rappresentato il tentativo – oltretutto ambiguo e contraddittorio - da parte della borghesia e della classe dirigente di una superpotenza ormai in declino di perseguire i propri interessi tentando un approccio morbido ed elastico nei confronti della maggior parte dei propri competitori, Europa compresa, la presidenza Trump sembra aprirsi all’insegna di un capovolgimento di fronte su più capitoli. Il miliardario ha promesso molte cose, e non è detto che riesca – o voglia – portarle tutte a casa, ma è anche vero che se rispetterà anche solo metà del suo programma le conseguenze sullo scenario internazionale saranno consistenti. 

Trump – e i suoi sponsor – sembra fortemente intenzionato a rimettere in discussione i rapporti con l’Unione Europea, sia dal punto di vista economico sia politico-militare. Dopo che l’amministrazione Obama ha tentato di condizionare e ritardare il rafforzamento dell’Unione  Europea utilizzando la crisi ucraina per militarizzare le regioni orientali del nostro continente ed attizzando lo scontro con Mosca, ora Trump annuncia uno strappo sulla Nato con Bruxelles, accusata di aver strumentalizzato l’alleanza militare per perseguire i propri fini, oltretutto senza offrire una adeguata copertura economica, per poi accelerare la formazione di un esercito indipendente. Per Trump la ‘Nato’ è obsoleta, non potendola più piegare interamente ai propri obiettivi viste le resistenze da parte dell’Ue su molte questioni e una divaricazione sempre maggiore tra gli interessi strategici dei due poli.

I toni tra Usa e Ue si fanno sempre più tesi, con un presidente eletto che non solo definisce la Brexit “una gran cosa” ma che prevede (cioè auspica) che altri paesi europei seguiranno l’esempio di Londra sganciandosi da un polo, l’Unione Europea, che Washington considera da tempo un concorrente da indebolire e ridimensionare. 

A sostegno del proprio giudizio Trump cita le politiche di apertura da parte della Germania nei confronti dell’immigrazione, ma la realtà dei fatti è che Washington si prepara ad uno scontro duro nei confronti dell’Europa e della Cina. 

Le misure protezionistiche annunciate, oltre alla volontà di riportare in patria la produzione delocalizzata dalle imprese statunitensi in Messico ed in altri paesi dell’America Centrale nei decenni scorsi, rappresentano una oggettiva dichiarazione di guerra nei confronti dei principali competitori economici degli Stati Uniti, cioè Europa e Cina. 

Le dichiarazioni sul numero eccessivo di automobili della Mercedes che girano per le città statunitensi sono molto eloquenti, per non parlare delle, per ora, non meglio precisate ‘restrizioni ai viaggi dei cittadini europei negli Usa’. E quando Trump accusa esplicitamente l’Unione Europea di essere una costruzione al servizio degli interessi egemonici della Germania ben chiarisce qual è l’oggetto del contendere.

Le anime belle della sinistra occidentale, spesso indistinguibili dalle élite liberali statunitensi ed europee, potranno pure continuare a dare giudizi parossistici sul nuovo inquilino della Casa Bianca, ma c’è da giurare che le politiche protezionistiche e il rilancio del ruolo dello stato con vasti investimenti in economia renderanno molto popolare Donald Trump tra gli operai e i disoccupati del Michigan, dell’Ohio e degli altri stati che hanno già voltato le spalle ai Democratici e a Hillary Clinton. Il problema sul quale concentrarsi non sono tanto le sovrastrutture ideologiche e culturali che contraddistinguono il nuovo presidente degli Stati Uniti, quanto le tendenze strutturali e gli obiettivi strategici che il messaggio “poco ortodosso” di Trump sottintende.

Le misure chieste a gran voce da uno schieramento sociale trasversale e molto ampio – che va appunto dalle classi sociali meno abbienti e sempre più disperate fino a spezzoni consistenti delle classi medie e anche del grande capitale statunitense – non potranno che generare una reazione uguale e contraria da parte delle classi dirigenti dei poli competitori degli Stati Uniti, sia sul fronte militare sia economico. 
Sembra più che evidente che l’amministrazione Trump concentrerà i suoi sforzi sullo scontro con l’Unione Europea e la Cina, tentando di affievolire i motivi di contrasto con altri attori internazionali finora al centro delle “attenzioni” di Washington, a partire proprio da Mosca.

L’Unione Europea, penalizzata negli ultimi anni dallo scontro tra Washington e Mosca e convinta a varare suicide sanzioni contro la Russia, potrebbe essere di nuovo scavalcata da Trump che proclama ora l’intenzione di arrivare ad un accordo con Putin basato sull’attenuazione dello scontro economico in cambio di un patto sulla riduzione degli arsenali nucleari. L'obiettivo di Obama prima e di Trump ora in realtà è sempre lo stesso: impedire una eventuale saldatura degli interessi di Unione Europea e Russia ostile a quelli statunitensi.

In un quadro del genere è prevedibile quindi un rafforzamento della competizione internazionale, delle politiche protezionistiche, della guerra commerciale e di quella tecnologica tra potenze di varia natura e blocchi geopolitici e monetari, accentuando ovviamente la militarizzazione delle contraddizioni e un attacco senza precedenti al lavoro salariato e alla democrazia rappresentativa già in piena attuazione ormai da decenni.

Uno scenario simile pone le forze comuniste, anticapitaliste e antimperialiste di fronte ad una scelta di estrema responsabilità: sostenere le proprie borghesie, le proprie classi dirigenti, i propri stati nello scontro con i competitori internazionali, oppure lavorare alla ricomposizione di un blocco sociale in grado di rompere con l’imperialismo di marca europea e di inceppare l’infernale meccanismo della tendenza alla guerra?
La cosiddetta “globalizzazione” è finita da tempo, occorre prenderne atto e trarne le conseguenze. 

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