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L’egemonia digitale, a cura di Renato Curcio

Consigli (o sconsigli) per gli acquisti

di Militant

L’ultimo lavoro di Renato Curcio, pubblicato nel 2016 per Sensibili alle foglie, è la seconda tappa di un percorso di analisi sulle trasformazioni che le nuove tecnologie inducono all’interno della società a partire dal mondo del lavoro, e segue di un anno la pubblicazione de L’impero virtuale. Il libro è stato costruito a partire da due “cantieri socioanalitici” tenuti a Roma e Milano, e ruota in modo decisivo attorno alla narrazione in prima persona delle esperienze dei lavoratori coinvolti negli incontri. Crediamo che alcuni dei pregi decisivi del lavoro siano già nelle premesse stesse con cui è stato pensato. Se infatti è indubbio che le nuove tecnologie digitali abbiano negli ultimi decenni modificato in modo profondo il modo di vivere, di produrre, di socializzare, andando a intaccare quelle che nel libro vengono chiamate le nostre “mappe concettuali”, ci sembra chiaro che d’altra parte la capacità di criticizzare questo cambiamento da parte della sinistra sia stata debole o del tutto assente.

Solo pochi intellettuali comunisti (pensiamo ai lavori di Carlo Formenti) hanno saputo analizzare e studiare questi processi situandoli dentro la fase storica (e produttiva) attuale: la maggior parte delle volte si è ceduto ad un ottimismo tecnologico mosso più da idealismi e narrazioni vincenti (ma subite) che dall’ analisi concreta della realtà. Discorsi sulla “maturità del comunismo” si sono mossi di pari passo con un’esaltazione delle potenzialità che le nuove tecnologie offrivano, ma le suggestioni prodotte da questi cambiamenti epocali hanno finito spesso per coprire il loro configurarsi prima di tutto come nuovi mezzi al servizio dello sfruttamento. Riposizionare il discorso sulla tecnologia all’interno dei rapporti di forza esistenti diviene quindi centrale e ci sembra che Curcio lo faccia benissimo a partire dalla breve introduzione che apre il libro: la rivoluzione digitale, oggi, si presenta soprattutto come colonizzazione dell’immaginario da parte del capitalismo. Questo tipo di approccio non ha solo il pregio di immunizzare dall’infatuazione tecnologica di molta sinistra, ma chiude anche decisamente il campo all’estremo opposto: la critica alla tecnologia non all’interno delle contraddizioni capitalistiche, ma in quanto tale. Questo neo-luddismo che predica una sorta di astensione ascetica dalla tecnologia è più diffuso di quanto si pensi e ha il difetto soprattutto di affrontare in modo errato i termini del discorso: da un punto di vista complessivo sarà sempre facile dimostrare che la tecnologia ha portato miglioramenti sostanziali nelle condizioni di vita delle persone (d’altronde anche il capitalismo lo ha fatto rispetto al feudalesimo) ma, come si nota giustamente nel libro, il punto non si riduce nel fare una media fra “pregi” e “difetti” dell’innovazione digitale, quanto capire l’origine di questi difetti all’interno della dinamica storica.

Altro elemento di spicco per quanto ci riguarda è la scelta di mettere al centro dell’analisi i mutamenti prodotti dalla tecnologia in ambito produttivo. Troppo spesso, infatti, ci sembra che l’attenzione della sinistra si sia focalizzata semplicemente sulla funzione repressiva dei dispositivi digitali. Se è indubbio che queste tecnologie offrono nuovi mezzi per controllare e reprimere movimenti e organizzazioni, è altrettanto evidente che il centro della questione, per le élite capitalistiche, non è questo: le nuove possibilità di controllo vengono utilizzate prima di tutto all’interno dei rapporti di lavoro, per aumentare la produttività, per estrarre un profitto maggiore. Allora anche qui ci pare che la scelta sia costruire un percorso analitico parta dal punto centrale, dalla contraddizione principale, dalla quotidianità di chi lavora. Non la tecnologia in astratto, ma la tecnologia nei rapporti produttivi: questo il problema da affrontare, per sottrarsi all’idealismo di fondo che ne informa il dibattito oggi.

Il libro, dopo alcune considerazioni introduttive, si addentra in modo specifico in una serie di contesti produttivi e non, andando a raccontare direttamente varie condizioni lavorative messe in discussione dalla rivoluzione digitale. Sarebbe difficile sintetizzare in una recensione tutti gli spunti offerti dalle parole dei lavoratori, capaci di dare una visione in prima persona dell’impatto che questi nuovi mezzi hanno sulla loro vita. Ci limitiamo a dire che nel corso dell’opera si toccano vari aspetti andando anche a svelare e mettere in discussione ambiti che tradizionalmente non penseremmo intaccati dalla valanga tecnologica, come la sanità o la scuola. Le conclusioni offrono una rapida visione di alcune delle caratteristiche principali incorporate nelle tecnologie moderne e quindi proprie dell’idea di mondo che queste suggeriscono e diffondono: l’aumento dei ritmi di lavoro, l’ubiquità spazio-temporale del controllo sulla produzione, l’attenzione ossessiva alla quantità rispetto alla qualità nei processi valutativi, sono solo alcune delle linee guida che oggi di fatto il capitalismo impone, facendosi forza dell’innovazione digitale, al mondo del lavoro. Allora crediamo che sia importante partire proprio da lavori come questo per costruire un’analisi teorica sulle nuove tecnologie e una capacità pratica di incidere all’interno delle contraddizioni che queste creano, con il fine immaginare un modo dove l’innovazione sia veramente al servizio del progresso e del miglioramento delle condizioni di vita generali.

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