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L'Europa ordoliberista del "Corriere della Sera"

di Carlo Formenti

Lunedì 11 febbraio Il Corriere della Sera ha ospitato un “Appello per il rilancio dell’integrazione europea” lanciato da trecento intellettuali e presentato nella circostanza da sei firme, fra cui spiccavano quelle di Giuliano Amato e Anthony Giddens, esponenti di punta della “Terza via” blairiana e del pensiero unico ordoliberista.

Nel testo in questione: 1) si afferma che oggi la Ue è sotto attacco “sebbene abbia garantito pace, democrazia e benessere per decenni; 2) si esalta la “economia sociale di mercato”, affermando che essa può funzionare solo grazie a una governance multilivello e al principio di sussidiarietà; 3) si rivendica il ruolo di un’Europa “cosmopolita” nella costruzione di una “governance globale democratica ed efficiente”. Il tutto condito dall’invito a legittimare la Ue attraverso elezioni in cui i cittadini del continente possano liberamente sceglierne i vertici.

Proviamo a leggere in trasparenza il senso reale di tali affermazioni, sfruttando il contributo di quegli studiosi che hanno sviscerato i dispositivi della governance ordoliberista (mi riferisco, fra gli altri, ai lavori di Dardot e Laval e al più recente saggio di Giuliana Commisso, “La genealogia della governance”, Asterios editore).

La prima considerazione da fare è che l’affermazione secondo cui l’Europa avrebbe garantito pace, democrazia e benessere è smaccatamente falsa: 1) dai Balcani all’Ucraina, passando per la Libia, l’Europa è stata un costante fattore di guerra, 2) sulla democrazia chiedete cosa ne pensa il popolo greco, 3) il benessere poi è un miraggio per quei milioni di cittadini che hanno visto peggiorare drasticamente i livelli salariali e di occupazione, oltre a perdere gran parte dei diritti conquistati prima dell’avvio del processo di unificazione.

Seconda considerazione: associare l’economia sociale di mercato all’allargamento della democrazia è una contraddizione in termini. Dietro questo slogan si nasconde infatti quel progetto neoliberista che si è costantemente impegnato a sottrarre il compito della legittimazione al quadro costituzionale-parlamentare per affidarlo a organismi non eletti che rispondono esclusivamente agli imperativi del mercato. Inoltre la sussidiarietà di cui si parla è consistita nella proliferazione di enti, agenzie e autorità deputati a gestire localmente i bisogni sociali – proliferazione che è proceduta di pari passo con lo smantellamento del welfare e con l’assunzione dell’impresa privata quale modello universale di regolazione sociale, in base al principio secondo cui non bisogna ostacolare chi potrebbe erogare un servizio migliore del servizio pubblico (ciò che Colin Crouch ha definito la spoliticizzazione del servizio pubblico attraverso la riduzione del cittadino a cliente). Infine le reti multilivello, presentate come un modello di integrazione della società civile nella governance, sono di fatto servite a indebolire quei gruppi intermedi di pressione che rappresentavano e difendevano gli interessi delle classi subordinate.

Per il dogma ordoliberista, infatti, questi gruppi sono un ostacolo alla concorrenza che impedisce la libera formazione dei prezzi (a partire da quello della forza lavoro, che va tenuto il più basso possibile per evitare tensioni inflazionistiche). Sempre secondo tale dogma, vanno contrastate tutte quelle richieste di “elargizioni clientelari” che provocano un aumento della spesa pubblica in materia di previdenza, salute, ecc. Del resto non si capisce questa logica se non si comprende che per gli ordoliberisti – al contrario dei liberisti classici – il ruolo dello stato è fondamentale: sia in quanto garante dell’ordine giuridico che deve garantire il corretto funzionamento del mercato (che non è in grado di autoregolarsi), sia in quanto garante di un ordine sociale “post ideologico” in cui tutti i cittadini devono venire convinti di essere “imprenditori di sé stessi” e di vivere nel migliore dei mondi possibili.

Il riferimento alla natura cosmopolita dell’Europa – del resto smentito dai muri e dalle altre pratiche di contrasto ai flussi migratori, come il vergognoso accordo con il regime autoritario turco – va letto infine come “internazionalismo” delle élite, da contrapporre alle resistenze locali dei vari popoli europei alla colonizzazione da parte del capitale globale. Come conciliare tutto questo con la proposta di legittimare l’oligarchia di Bruxelles sottoponendola al vaglio degli elettori? Non è difficile immaginare quali alchimie giuridico istituzionali verrebbero escogitate per garantirsi apriori il trionfo di una grande coalizione europea “anti populista”, visto che, come spiega l’articolo di Goffredo Buccini nel taglio basso sotto l’Appello, occorre guardarsi le spalle da quel popolo bue che insiste a votare movimenti come l’M5S, in barba alle prove di volgarità, ignoranza e incompetenza offerte dai suoi dirigenti.

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