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Il vero principio di sovranità e la notte della politica

di Roberto Esposito

DA QUALCHE tempo torna a circolare la parola “sovranità”. Sovranisti si autodefiniscono Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ma anche Nigel Farage e Geert Wilders, per non parlare di Marine Le Pen, che per prima ha tirato la volata a tutti gli altri. Sovranisti si dichiarano partiti di estrema destra come l’Afd tedesco e lo Jobbik (significa “meglio a destra”) ungherese. E insieme a loro, sempre più scalmanati, gli ultranazionalisti rumeni, bulgari, slovacchi. Il loro motto è naturalmente “Europa dei popoli”. Il loro progetto è restituire ai popoli europei piena sovranità territoriale, politica, economica, minacciata da una finanza globale che ricorda, nei loro accenti, la plutocrazia giudaica dei tempi andati. Naturalmente la Brexit e l’elezione di Trump soffia il vento nelle loro bandiere. Se questi può annunciare “America first”, perché anche noi non dovremmo ritirare la sovranità ceduta all’Unione Europea e riprendere in mano i nostri destini? Se Trump costruisce un nuovo muro a sud, perché anche gli Stati europei non dovrebbe blindare le frontiere nazionali che Schengen aveva aperto. Naturalmente per difendere i valori dell’Occidente, minacciati dal contagio dei naufraghi della terra. In difesa dei nostri posti di lavoro, si dice, ma anche, insieme, del nostro patrimonio etnico.

Ora tutta questa paccottiglia ideologica ha davvero qualcosa a che vedere con la categoria di sovranità? Con un principio che, insieme a quelli di libertà e di eguaglianza, è stato alla base dell’Europa moderna? Certo l’idea di sovranità è nata, tra Bodin e Hobbes, all’interno dello Stato assoluto. Ma poi — rielaborata da Rousseau, Kant, Hegel fino al costituzionalismo liberale — è diventata un perno dello Stato democratico. Ha costituito il punto di mediazione tra politica e diritto, eguagliando i cittadini all’interno degli Stati nazionali. E soprattutto ha prodotto l’equilibrio politico fissato nei codici di un ius publicum europaeum durato quattro secoli. È vero che tra Otto e Novecento il principio sovrano è stato piegato prima al nazionalismo e poi all’imperialismo, pervertendosi perfino nel razzismo nazista. Ma tutto ciò non cancella il ruolo che questa grande categoria politica ha giocato nella formazione dell’Europa e del mondo moderno.

Lo sanno i nostri sovranisti di estrema destra che il principio di sovranità è stato trasportato in tutta Europa dalla rivoluzione francese? Che su di esso giurava la sinistra giacobina contro la destra monarchica? Come è possibile una tale ignoranza dei passaggi decisivi — delle svolte decisive e dei traumi profondi — della storia europea? Naturalmente la stessa cultura di sinistra è divisa sulla questione della sovranità. Per stare ai grandi filoni della filosofia europea è legittimo che si possa preferire il cosmopolitismo di Kant allo statalismo di Hegel. Ed è vero che oggi la dimensione sovrana dello Stato non è più in grado di fornire una risposta adeguata alle dinamiche globali che hanno investito il pianeta. Non a caso gli Stati egemoni — Stati Uniti, Russia, Cina — hanno una dimensione continentale che supera di gran lunga quella degli Stati nazionali europei. E proprio per questo è necessaria un’Europa politica capace di competere con essi. Ma Europa politica non può significare che Europa sovrana. Nata non dalla distruzione, ma dall’allargamento a un grande spazio continentale del principio di sovranità, integrato con la dimensione giuridica.

È l’Europa nel suo insieme, non gli Stati europei nel loro isolamento reciproco, a poter porre un limite alla globalizzazione. In questo senso la categoria di sovranità, sciolta dall’arbitrio dei sovrani, e mediata dal diritto, non può essere lasciata in mano ai sovranisti della destra antieuropea. Essi, se si guarda bene, costituiscono l’opposto speculare degli apologeti della globalizzazione sfrenata. Entrambi stringono l’Europa politica — oggi muta — in una morsa letale. Al populismo dei sovranisti risponde l’economicismo dei globalisti. Il loro comune nemico è la politica. Se i sovranisti riducono la politica alla difesa di vecchi e nuovi muri, i globalisti la dissolvono nell’anonimato dei flussi finanziari. O, nel caso migliore, nel richiamo generico a un diritto planetario privo della forza politica necessaria a farlo rispettare. Da tempo — lo osservava Ezio Mauro su queste pagine — viviamo nella notte della politica. Da tempo le classi dirigenti europee hanno perduto, prima ancora della sovranità, l’orizzonte culturale per comprendere il suo significato. Solo se riprenderemo a interrogarci sulle grandi parole della politica potremmo resistere alla tempesta che si addensa su di noi

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