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lafionda

Lo stormo snobbato di cigni neri che popola le catene globali di approvvigionamento 

di Fabrizio Russo

containerIn retrospettiva sembra oggi impossibile che le principali autorità monetarie ed una pletora di osservatori mainstream qualificati non siano riusciti a cogliere, in un tempo peraltro ragionevole e quindi “per tempo”, la progressiva evoluzione delle condizioni di scenario delle principali economie occidentali da sostanzialmente deflattive – caratteristica propagata con forza pervasiva dal lungo processo di globalizzazione – a fortemente inflation-friendly.

Di cosa stiamo parlando? Della serie di eventi che si è stratificata nel giro di una decina di trimestri! Elenchiamoli, in modo sommario, iniziando da uno dei primi seri avvenimenti che hanno intaccato alla base il processo di globalizzazione – che forse sta declinando ma più probabilmente sta solo mutando profondamente – come oggi lo conosciamo: la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, cominciata dall’Amministrazione Trump nel tentativo di ribilanciare lo squilibrio commerciale USA verso l’ormai affermata potenza economico-produttiva asiatica.

Mi permetto di definire questo evento come “serio” perché, sebbene avessi da tempo – anche per formazione accademica – iniziato a riflettere sul tema dell’inflazione, è da quel momento che ho preso seriamente l’ipotesi di una ripartenza sostenuta, del ciclo dei prezzi al consumo, o perlomeno di una loro forte fiammata.

A partire dal luglio 2018 l’introduzione di dazi su diverse produzioni cinesi (inizialmente il 25% su 34 mld di USD in controvalore) ha infatti comportato un immediato aumento dei prezzi lordi all’importazione. L’economia USA all’epoca marciava a velocità ancora sostenuta ed una parte significativa degli aumenti si è riversata sui consumatori finali, come è possibile verificare dal seguente grafico di Goldman Sachs diffuso da CNBC:

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tempofertile

Le quattro sfide: clima, energia, pan-sindemia, politica

di Alessandro Visalli

riscaldamento climatico cambiamenti climatici pianeta terra 720x390La prima sfida: crisi climatica

Viviamo in un mondo in cui abbiamo ormai superato i 7,8 miliardi di abitanti e che cresce del 1,2 % all’anno (quindi raggiungerà gli 8 miliardi nel 2025 e i 9,1 nel 2050); in cui la Cina, con 1,43 miliardi di abitanti è il paese più affollato, seguito dall’India con 1,3 miliardi e –a grande distanza- dagli USA con 329 milioni, poi l’Indonesia. Un mondo in cui la popolazione urbana è, in termini assoluti, più numerosa della popolazione rurale (3,15 miliardi di persone vivono in città), e sarà sempre più così, dato che l’88 % della crescita della popolazione avverrà nelle città dei paesi in via di sviluppo.

Per comprendere i termini del problema che questo semplice fatto provoca si può usare il concetto di “impronta ecologica”[1], potente metafora promossa dal WWF. Si tratta di una semplice applicazione del concetto di “capacità di carico”; molto usato, e talvolta molto criticato, nella pianificazione del territorio.

Nel 2020 l’impronta ecologica mondiale era stimabile in ca 2,7 ha globali pro capite (cioè 18 miliardi di ettari), mentre la biocapacità del pianeta era stimabile in 1,5 ettari pro capite (12 miliardi di ettari). È dagli anni ottanta che l’impronta ecologica ha superato la biocapacità del pianeta ed oggi, come si vede è del 30 % eccedente.

Più in dettaglio, secondo le valutazioni fatte: la Cina e gli USA usano ciascuno il 21 % della biocapacità del pianeta (ma mentre la Cina lo fa con 1,43 miliardi di persone gli USA lo fanno con 304 milioni); l’India ha l’impronta successiva con il 7 % (su una popolazione di 1,3 miliardi).

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ilponte

Il caos e la necessità

di Lanfranco Binni

Pellizzoni Crisi climatica e nuove mobilitazioni ecologiche e1576575939784Un caos apparente (ma non è solo una questione di limitata visione antropocentrica) sta sconvolgendo il mondo. Cause, processi in corso e conseguenze di devastanti cambiamenti climatici, crisi economiche strutturali, strategie sanitarie e militari, malthusiane diseguaglianze sociali, sistemi politici corrotti a difesa di vecchie sporche società, si intrecciano e confliggono in un caleidoscopio impazzito, sbarrato il futuro, negate sorti “magnifiche” e regredite. Saltano le dimensioni temporali e le “progressive” categorie politico-economiche-culturali di “modernità”, “sviluppo”, “crescita”, “speranza” in un futuro migliore. Geopolitica e vita quotidiana dei “soggetti della Storia” (sudditi e ribelli) si intrecciano e si confondono in paesaggi drammatici e instabili, dominati dalla paura e dai condizionamenti di una lugubre sopravvivenza, in attesa di nuovi bombardamenti economici, di nuove catastrofi ambientali, di nuove pandemie. Su questi temi, oggi brutalmente centrali, intervengono numerosi autori di questo numero, tutti accomunati da una profonda e necessaria cognizione del tragico: analisi puntuali e urgenti, senza concessioni a illusori inganni, tenacemente tese a trasformare la comprensione dei dati di realtà (in orizzontale nel mondo globale e in verticale nelle dinamiche biopolitiche) nella necessità di elaborare e sviluppare strategie di radicali “rivolgimenti” e di processi teorico-pratici di liberazione. Nuovi processi in corso, per un altro mondo necessario. Come insegnò Brecht in Me-ti. Libro delle svolte, «Mi-en-leh indicava molte condizioni necessarie per il rivolgimento. Ma non conosceva momenti in cui non vi fosse da lavorare per esso». Brecht scrisse il suo «libretto in stile cinese, di regole di comportamento», durante l’esilio danese tra 1934 e 1937, negli anni di propagazione dell’infezione fascista e della peste nazista in Europa e di preparazione dei grandi massacri della Seconda guerra mondiale. «Me-ti insegnava: I rivolgimenti avvengono nei vicoli ciechi».

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sinistra

Stato, complotto e giostra finanziaria

di Ludovico Lamar

variant med 1200x630 obj20274939La faccia sua era faccia d’uom giusto,
tanto benigna avea di fuor la pelle,
e d’un serpente tutto l’altro fusto.
(Dante, Inferno, XVI, vv. 7/12)

1. I “poteri forti” e il comitato d’affari

Essere critico verso le politiche governative oggi significa essere complottista. La parola complottista viene lanciata contro tutti coloro che pongono a critica le politiche governative “sanitarie" dell’ultimo anno e mezzo, tanto che lo facciano in modo sconclusionato, quanto che lo facciano con una critica seria e motivata sul piano della scienza, del diritto, dell’economia, ecc.

La schiera dei critici alla narrazione pandemica si può identificare in generale con coloro che ritengono che dietro le politiche dei singoli Stati vi siano dei “poteri forti”, in genere economici, mentre la schiera di coloro che appoggiano (integralmente o parzialmente) le politiche dei governi la potremmo identificare in coloro che ritengono che invece lo Stato sia un istituto al di sopra delle classi e autonomo dai poteri economici.

Marx ed Engels, nel 1848, scrissero che “il potere politico dello Stato moderno non è che un comitato, il quale amministra gli affari comuni di tutta quanta la classe borghese”.1 Ancor peggio la sparava Lenin: “La potenza del capitale è tutto, la borsa è tutto, mentre il parlamento, le elezioni, sono un giuoco di marionette, di pupazzi…”.2 Non c’è dubbio che tali tesi oggi verrebbero tacciate di complottismo proprio perché in sostanza affermano che dietro lo Stato contemporaneo vi sono proprio dei “poteri forti”.

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ginestrarossa

Crisi permanente

L’azione regressiva della tecnologia nell’era post-pandemica

di Onofrio Romano

vaccino covid 19 1020x680 604x270La tecnologia è un acceleratore. Consente di fare le cose più velocemente e più efficacemente. Dinamizza i processi sociali. La società avanza più rapidamente, passando da stadi meno evoluti a stadi più complessi. Questo effetto, che intuitivamente associamo alla tecnologia, va problematizzato. La vicenda che nel nostro tempo occupa a livello globale il centro della scena ce ne dà buon saggio. La “tecnologia vaccinale” ci sta consentendo di uscire velocemente dalla pandemia. Se nel recente passato la messa a punto dei rimedi vaccinali contro i virus più disparati ha richiesto in media dodici anni, questa volta, grazie ad uno sforzo straordinario e concentrico, abbiamo impiegato meno di un anno per produrre un esteso e variegato menù di antidoti al male. È un risultato straordinario che testimonia dell’elevato grado di avanzamento delle nostre società. Si fosse presentato solo un secolo fa, lo stesso virus avrebbe probabilmente mietuto un numero di vittime ben più alto e soprattutto sarebbe durato molti anni. Indubbiamente, siamo stati veloci. Il problema è capire: veloci rispetto a quale destinazione, a quale traguardo? Lo siamo stati sicuramente rispetto alla soluzione del problema specifico, dando ad esso una replica istantanea e diretta: l’antidoto al virus. Ma se guardiamo le cose da un’altra altezza, la scena cambia. Scopriamo che la tecnologia può anche giocare un ruolo regressivo, diventando – come, a nostro avviso, in questo caso – un fattore di rallentamento della società. Il vaccino ne ha bloccato l’evoluzione verso un assetto più avanzato.

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officinaprimomaggio

Debito, finanza, spesa pubblica: il mondo dopo la pandemia

di Lorenzo Esposito

Liberiamoci dal debito 720x465«Più hanno debiti meno i lavoratori possono scioperare» A. Greenspan

Già dalle prime settimane del 2020, è stato chiaro che la pandemia di Covid-19 avrebbe cambiato il corso della storia mondiale. Abbiamo assistito a un susseguirsi di fatti e reazioni mai sperimentati in decenni di evoluzione economica e sociale: un’incertezza macroeconomica sconosciuta nella storia contemporanea, una reazione senza precedenti da parte degli Stati, con molteplici strumenti che determineranno effetti a lungo termine sull’economia. L’emergenza ha anche provocato un rapido cambiamento delle agende politiche, con la revisione di priorità strategiche e il ripensamento di consolidate architetture istituzionali e politiche, a partire dall’Unione europea.

Fin dall’inizio l’emergenza ha imposto un nuovo modo di affrontare i problemi a livello mondiale; chi fino a ieri predicava austerity e mercato è rimasto senza punti di riferimento, ma ne mancano di nuovi. In questo articolo cercheremo di analizzare i profondi cambiamenti che la pandemia ha portato al dibattito sulla politica economica, e in particolare sul tema del debito pubblico e sul ruolo dello stato nell’economia.

 

Dal 2008 alla pandemia

La crisi finanziaria del 2007-2008 ha esposto le fragilità del modello di sviluppo basato sulla deregolamentazione dei mercati e l’iper-globalizzazione, costringendo a un precipitoso intervento delle banche centrali e dei governi per salvare il mondo dal crollo del sistema finanziario.

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coniarerivolta

Crisi ecologica e crisi sociale: il PNRR è il problema, non la soluzione

Tavola rotonda a Napoli

di coniarerivolta

alberogreenLa lunga coda della pandemia ha portato con sé, oltre alle tragiche conseguenze sanitarie, anche una situazione di prolungata crisi economica, che parte dalle centinaia di migliaia di contratti precari non rinnovati e arriva ai licenziamenti di massa messi in atto dai padroni un secondo dopo la rimozione del blocco dei licenziamenti. A fronte delle preoccupazioni quotidiane che attanagliano la stragrande maggioranza della popolazione del nostro Paese, una narrazione entusiastica e ottimista rimbalza dai principali mezzi di comunicazione agli esponenti di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, tutte, con qualche sfumatura, strette a coorte intorno al Governo Draghi. Niente paura, è il messaggio che ci bombarda ogni giorno, l’Europa solidale è al nostro fianco e il cosiddetto Recovery Fund – ufficialmente noto come Next Generation EU – è il veicolo che ci condurrà in un futuro più giusto, più inclusivo, più verde.

Non è particolarmente difficile demistificare la natura meramente propagandistica di questa narrazione. A fronte del fiume di denaro che ogni giorno ci viene promesso, la realtà dei fatti parla di un ammontare di risorse risibile. Al netto dei contributi che l’Italia apporterà, infatti, negli anni a venire al bilancio europeo, secondo le stime più ottimistiche riceveremo circa 50 miliardi di euro da spalmare, cioè da dividere, su sei anni. Una semplice comparazione con le risorse aggiuntive messe in campo dal Governo italiano nel 2020 e quindi in un solo anno, pari a circa 108 miliardi e del tutto insufficienti a tamponare le conseguenze della crisi economica che iniziava a mordere, vale più di tante chiacchiere.

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sinistra

Arriva la Grande Depressione?

di Visconte Grisi

Great DepressionCominciamo con alcune notizie sulla pandemia riportate sulla stampa. Il 20 maggio Adnkronos riporta la proposta avanzata dal presidente e amministratore delegato Pfizer Albert Bourla, di rinnovare anno dopo anno il vaccino contro il Covid-19, come per l'influenza stagionale. Gli fa eco Ugur Sahin, co-fondatore e amministratore delegato di BioNTech: “Ci sono prove crescenti che il Covid-19 continuerà a rappresentare una sfida per la salute pubblica per anni”[1]. Al netto degli evidenti interessi economici della multinazionale del farmaco, che comunque continua a fare il bello e il cattivo tempo sulla fornitura dei vaccini, non è improbabile che la previsione suddetta possa rivelarsi realistica, vista la proliferazione delle varianti del virus, di cui quella Delta si diffonde al momento attuale con grande rapidità. Del resto anche il vaccino per l'influenza stagionale deve essere ripetuto ogni anno per il manifestarsi di varianti del virus influenzale. E poi, anche al di là delle varianti del virus, non risulta che, nell'anno trascorso, si sia fatto qualcosa per rimuovere le cause della pandemia, e non è possibile che ciò avvenga in futuro rimanendo entro i limiti del modo di produzione capitalistico teso, come si sa, alla ricerca spasmodica di profitti in ogni angolo della terra, cosa che ha portato alla attuale devastazione ambientale. Per il momento comunque si parla già di una terza dose di vaccino da praticare in autunno quando, guarda caso, si ridurrà l’azione dei raggi solari Uva e Uvb che “nel giro di poche decine di secondi uccidono completamente il Sars-Cov-2”, come ha dimostrato uno studio italiano pubblicato recentemente[2].

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sbilanciamoci

Navi, container, treni, metalli: il grande disordine

di Vincenzo Comito

Le catene di approvvigionamento merci e materiali – chip ma anche di rame, terre rare e altri minerali necessari alla transizione energetica – sono supercongestionate. Al fondo di questo caos che inciderà sui prezzi, gli obiettivi climatici della Cina, l’inadeguatezza delle reti di trasporto e la speculazione

barcellona spagna circa terminale di trasporto di carico di barcellona 86713621Prima la pandemia, poi la tendenziale e forte ripresa dell’economia, insieme ad alcuni incidenti casuali (quale il blocco del canale di Suez e il recente focolaio di pandemia che ha rallentato le operazioni del terminal container cinese di Yantan-Shenzhen), con sullo sfondo l’accelerarsi della transizione ecologica e il boom dell’elettronica, tutti questi fattori insieme hanno contribuito a portare una grande confusione in alcuni settori dell’economia a livello mondiale. Partendo da quello dei trasporti internazionali e da quello dei metalli, il marasma si è esteso alla rottura nelle catene di approvvigionamento delle merci e ad un aumento dei prezzi di alcuni prodotti a livello globale e comunque a scossoni violenti, persino stupefacenti, come ha indicato qualcuno, del sistema del commercio internazionale. Questa confusione dovrebbe durare ancora soltanto per qualche tempo su alcuni fronti, mentre su degli altri dovrebbe invece accompagnarci a lungo.

Così, per quanto riguarda il primo aspetto, quello transitorio, sembra ormai compromessa, almeno parzialmente, la consegna delle merci natalizie da parte della Cina al resto del mondo. Non solo, la carenza di rifornimenti di chip dovrebbe durare ancora un anno mentre dovremo probabilmente convivere a lungo con la carenza e con rilevanti aumenti dei prezzi di alcuni metalli.

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la citta futura

Aspetti economici della crisi attuale del capitalismo, II

di Alessandro Bartoloni

Seconda parte della relazione sugli aspetti economici dell’attuale crisi del capitalismo presentata alla Conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti del 19 giugno scorso. In questa parte si spiegano i motivi teorici e pratici dell’abbandono delle politiche keynesiane da parte degli agenti del capitale e si indicano politiche alternative

c8f24334c9abeded4fd7b76527e411bb XLLa panoramica dei dati illustrati ci aiuta a capire la natura della crisi e le possibili rivendicazioni di politica economica.

Gli economisti keynesiani affermano che le crisi della fine del XX secolo furono il risultato della decisione delle autorità pubbliche di tutto il mondo di abbandonare le politiche di sostegno della domanda, e di regolamentazione del credito e della mobilità dei capitali avvenute durante i primi anni ’70. Ma perché gli strateghi del capitale hanno abbandonato la gestione e il controllo in stile keynesiano e hanno optato per l’esatto opposto se tutto funzionava così bene negli anni 50 e 60?

Si tratta dell’ennesima prova di miopia delle classi dominanti oppure, al contrario, le politiche keynesiane sono effettivamente inutili, da un punto di vista capitalistico, in un momento di crisi?

La ragione per cui i governi capitalisti si sono rivolti al monetarismo e alle politiche neoliberiste è che il keynesismo aveva fallito, e aveva fallito nell’elemento più importante per il capitalismo: quello di sostegno alla redditività del capitale.

In altre parole, è stato il crollo del tasso di accumulazione nelle principali economie (che portò a una serie di recessioni nel 1970, 1974 e poi nel 1980-2 ma, soprattutto, a una crescita media annua molto più bassa del ventennio precedente) a spingere gli economisti embedded e i responsabili politici a rompere con Keynes.

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contropiano2

Lo spauracchio dell’inflazione sulla “prossima crisi globale”

di Michael Roberts*

wall street121L’inflazione dei prezzi di beni e servizi è una buona o cattiva notizia a seconda del vostro rapporto con i mezzi di produzione. Per il lavoro, che non possiede i mezzi di produzione e si guadagna da vivere solo vendendo la sua forza lavoro, l’inflazione non è una buona notizia, perché divora i redditi reali aumentando i prezzi dei beni di prima necessità.

Attualmente, mentre le maggiori economie si affacciano fuori dal crollo pandemico, i datori di lavoro sempre più si lamentano di non riuscire a far tornare i lavoratori ai loro posti mal pagati, soprattutto nei servizi. Sono costretti ad alzare i salari per attirare persone in posti di lavoro poco soddisfacenti, senza sindacati, senza indennità di malattia, o ferie, etc.

La prospettiva di salari più alti suona come una buona notizia per le fasce di lavoratori che in precedenza godevano un salario minimo, o addirittura inferiore. Ma i salari più alti sono un’illusione monetaria se allo stesso tempo i prezzi del cibo e di altri beni di prima necessità cominciano a salire bruscamente.

E questo sta succedendo. Il tasso ufficiale d’inflazione degli Stati Uniti ha raggiunto il 5% anno su anno a maggio. Questa è il dato più alto dall’agosto del 2008. Stessa storia nel Regno Unito e in Europa. Anche se il livello di inflazione è solo del 2% circa all’anno, lì questo tasso è comunque il più alto da oltre sette anni.

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la citta futura

Crisi organica e sua narrazione

di Alessandra Ciattini

Relazione alla Conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici comuniste tenutasi il 19 giugno 2021. Come viene narrata questa crisi sociale ed economica dalla classe dominante? Naturalmente si fa di tutto per sopire ogni forma di dissenso

4d7472c90eaf5c45d2964c8bb195b162 books 474x330Prima di toccare il tema vorrei fare una breve premessa teorica, mettendo insieme alcune riflessioni di Lenin e di Gramsci [1], che sono in sintonia con i vari dati statistici disponibili [2]. Direi che ci troviamo di fronte a una crisi organica o crisi di autorità, i cui caratteri sono sommariamente:

1. impossibilità per le classi dominanti di conservare il dominio senza modificarne la forma, necessità di riavviare una ristrutturazione, tenendo presente che il capitalismo è un sistema a equilibrio instabile caratterizzato da dinamismi e capacità di rinnovarsi;

2. aggravamento dell’angustia e della miseria delle classi oppresse, che possono incunearsi in questa crisi delle classi dominanti a loro vantaggio;

3. crisi di egemonia delle classi dominanti dimostrata statisticamente dalla sfiducia delle classi oppresse nei confronti delle istituzioni (in America latina è bassissima, il Italia complessivamente il 14,6% mostra fiducia nelle istituzioni, tuttavia Mattarella sembra essere amato almeno dal 55% con un leggero calo). Altro elemento importante è la separazione delle masse dai propri partiti, nel caso dell’Italia inesistenza di questi partiti. La crisi pandemica non ha fatto altro che squadernare dinanzi agli occhi di tutti i privilegi di alcuni, le disuguaglianze, le ingiustizie inerenti al sistema capitalistico, di qui l’idea che essa potrebbe avere esiti rivoluzionari, idea tutta da discutere.

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la citta futura

Aspetti economici della crisi attuale del capitalismo

di Ascanio Bernardeschi

Prima parte della relazione sugli aspetti economici dell’attuale crisi del capitalismo presentata alla Conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti del 19 giugno scorso. In questa parte si analizzano di dati statistici per ricavarne l’indicazione che la crisi non è prodotta dalla pandemia ma dalle tendenze dell’accumulazione capitalistica

66e356113e5c1129f26a7eaa3ebbd45c XLPer avere un’idea dell’attuale crisi del capitalismo e del suo carattere sistemico è necessario guardare ai dati di lungo periodo. La sola informazione statistica sui cambiamenti di breve o brevissimo periodo può infatti distogliere l’attenzione dalle radici di una crisi che non nasce durante l’attuale pandemia e nemmeno nel 2007-2008, in occasione della crisi dei subprime scoppiata alla negli Stati Uniti e che ha investito tutto il mondo occidentale, ma compare molti anni prima e ha a che vedere con le tendenze dell’accumulazione capitalistica.

Con ciò non si nega che il Covid-19 abbia inferto un eccezionale accelerata alla crisi, ma occorre tenere presente che il corpo in cui si è abbattuta la la pandemia era già malato. E occorre avere chiaro quale fosse questa malattia.

Fra il 1950 e il 1973 le economie sviluppate crebbero, tra gli alti e bassi tipici del ciclo economico, a un ritmo medio del 5% annuo, cioè il doppio del periodo che andava dal 1870 all’inizio del primo conflitto mondiale. Tale crescita era stata trainata principalmente dagli investimenti in capitale fisso (+5,5% annuo). Ciò stava a significare che il rapporto fra il capitale fisso e il lavoro andava crescendo fino ad approssimare la marxiana composizione organica del capitale.

Per spiegare questa poderosa crescita non va sottovalutato il suo carattere imperialistico in quanto si concentrò in un’area ristretta del globo terrestre a scapito dei paesi del terzo mondo.

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lafionda

Paradigma Covid: collasso sistemico e fantasma pandemico

di Fabio Vighi

miwe6302jfA un anno e mezzo dall’arrivo di Virus, qualcuno forse si sarà chiesto perché la classe dominante, per sua natura senza scrupoli, abbia messo nel congelatore la macchina del profitto a fronte di un patogeno che si accanisce quasi esclusivamente contro i soggetti improduttivi – quegli ultra-ottantenni che, tra l’altro, da tempo mettono a dura prova il sistema pensionistico. Perché, improvvisamente, tutto questo zelo? Cui prodest? Solo chi non conosce le mirabolanti avventure di GloboCap (capitalismo globale) può illudersi che il sistema chiuda i battenti per spirito caritatevole. Ai grandi predatori del petrolio, delle armi, e dei vaccini, non frega proprio niente dell’umanità.

 

Quale emergenza?

Prima di entrare nel vivo della discussione facciamo un passo indietro all’estate 2019, quando l’economia mondiale, a 11 anni dal collasso del 2008, era di nuovo sull’orlo di una crisi di nervi.

Giugno 2019: La ‘Banca dei Regolamenti Internazionali’ (BRI), potentissima ‘banca centrale di tutte le banche centrali’, con sede a Basilea, lancia un grido d’allarme sulla sostenibilità del settore finanziario. Nel suo Rapporto Annuale la BRI evidenzia il forte rischio di “surriscaldamento [...] nel mercato dei prestiti a leva”, dove “gli standard del credito si sono deteriorati” e “sono aumentate le obbligazioni garantite da collaterale (CLO).” Si tratta di prestiti erogati a società iper-indebitate che vengono poi messi sul mercato come bond. In parole povere, la pancia dell’industria finanziaria è di nuovo piena di spazzatura.

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jacobin

Il prezzo della crisi

di Marco Bertorello e Danilo Corradi

Anche se gli addetti ai lavori sembrano non preoccuparsene più di tanto, dopo un lungo periodo di ristagno dei prezzi la crisi pandemica potrebbe costituire l’innesco di una impennata inflazionistica frutto della crisi del paradigma austeritario

inflazione jacobin italia 1320x481La crescita dei prezzi ad aprile negli Stati uniti ha riacceso il dibattito attorno alla possibilità di una ripartenza del fenomeno inflazionistico. Il dato registrato è stato pari a +4,2% su base annua, una percentuale superiore di quasi un punto rispetto a quella attesa. In Europa e in Cina l’inflazione al consumo è ancora sotto quota 2%, ma la tendenza è alla crescita e soprattutto appare superiore alle previsioni la risalita dei prezzi alla produzione in Cina, che sempre ad aprile ha fatto segnare un +6,8%. Questi due dati non potevano passare inosservati dopo un lungo periodo di parziale deflazione, ma complessivamente non hanno preoccupato gli addetti ai lavori. Sembra farsi strada l’idea che il fenomeno abbia natura sostanzialmente temporanea, un rimbalzo dei consumi e delle scorte nel quadro del superamento dei mesi più duri relativamente alle misure di contenimento della pandemia.

Pur non potendo vendere certezze di segno opposto, l’idea del semplice rimbalzo ci convince poco, tanto più che l’ipertrofia e le contraddizioni della finanziarizzazione, che hanno spinto David Harvey a parlare di «complessità assai contorte del sistema finanziario», inviterebbero a dismettere metodologicamente l’idea che possano esistere certezze granitiche. Il quadro dell’economia globale è incerto e assai aperto a varie possibilità, tra cui quella di una fiammata inflazionistica non va esclusa. Tale evenienza era stata da noi avanzata in tempi non sospetti proprio sulle pagine di Jacobin Italia al termine della scorsa primavera, cioè in piena pandemia e recessione. Un’ipotesi che all’epoca poteva apparire azzardata, ma che oggi deve perlomeno essere presa in considerazione seriamente.

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gliasini 

La tecnopolitica non salverà il mondo

di Marino Ruzzenenti

Monsoons bn 1 1024x1536La lettura di un testo non è mai stata per me così intrigante come Prevenire. Manifesto per una tecnopolitica, di P. Vineis, L. Carra, R. Cingolani (Einaudi 2020). Per svariate ragioni. Innanzitutto il titolo e il sottotitolo. Prevenire per chi ha una cultura ambientalista e democratica è un concetto quasi sacro, fondamentale per preservare la buona salute sia della natura che degli umani. Tecnopolitica, invece, presenta immediatamente delle ambiguità, perché da un canto evoca l’idea oligarchica del governo dei sapienti in alternativa alla democrazia implicitamente considerata governo dei mediocri, e dall’altro sembra proporre ancora una volta la tecnologia come chiave di volta per la soluzione dei problemi dell’umanità. Insomma, titolo e sottotitolo evocano risonanze di ossimoro. Gli interrogativi aumentano se poi si tiene conto che il libro è uscito l’anno scorso e che uno degli autori, Roberto Cingolani, è ora direttamente coinvolto in un ruolo preminente come tecnico nell’attuale inedito governo Draghi, il cui collante dovrebbe essere proprio una politica al di sopra e al di là delle ideologie e degli schieramenti partitici, in nome delle cose tecnicamente fondate da farsi per la salvezza del Paese. In questo senso un saggio apparentemente profetico che avrebbe anticipato (preparato?) di qualche mese gli eventi. Ma lo stupore non finisce qui. La firma di Roberto Cingolani, personaggio ormai troppo noto, è preceduta da due altre firme importanti.

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paginauno

Dove si pone il limite? Un sistema economico inaccettabile

di Giovanna Cracco

indexjyfg74Mettiamo insieme alcuni dati.

Il 26 gennaio il Fondo monetario internazionale aggiorna il World Economic Outlook sull’economia globale del 2020: nell’anno della pandemia da Covid-19, il Pil mondiale registra un calo del 3,5%. Un numero senza precedenti, evidenzia il documento. Con l’eccezione della Cina (e altre economie asiatiche, come il Vietnam), in territorio positivo, i dati sono negativi (vedi Grafico 1, pag. 7): si va dal -11,1% della Spagna al -7,2% dell’Eurozona al -3,4% degli Stati Uniti, e via a seguire. Per tornare ai livelli pre-pandemia, sottolinea il report, non basteranno né il 2021 né il 2022, e i numeri previsionali sono aleatori perché molto dipende dalle campagne di vaccinazione, da eventuali nuove ondate, dalle varianti del virus che si affacceranno. Una sola cosa è certa: la crisi economica lascerà povertà e diseguaglianza, e spingerà 90 milioni di persone in una indigenza estrema tra il 2020 e il 2021.

Il 25 gennaio l’Organizzazione internazionale del Lavoro (OIL) pubblica la settima edizione della “Nota OIL Covid-19 e il mondo del lavoro. Stime e analisi aggiornate sull’impatto del Covid-19 sul mondo del lavoro”. Lo studio (vedi Grafico 2, pag. 9) stima al 8,8% la perdita delle ore lavorate a livello globale nel 2020, pari a 255 milioni di posti di lavoro a tempo pieno (calcolati su una settimana lavorativa di 48 ore); è una perdita quattro volte superiore a quella registrata nella crisi del 2009.

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not

Cinismo, suicidio e la forza del caos

Ovvero: fate figli per incrementare il numero degli infelici da suicidare

di Franco «Bifo» Berardi

bombe 340x215Prologo in cielo

Maggio 2021: la ministra della Famiglia Elena Bonetti ha comunicato agli Stati Generali della Natalità che presto sarà concesso l’assegno unico e universale da 250 euro per ogni figlio. L’assegno è stato votato insieme da Enrico Letta e dal suo alleato Matteo Salvini, che insieme si sono anche recati al portico di Ottavia per esprimere solidarietà ai massacratori israeliani.

C’è qualche nesso tra il gesto infame di Enrico Letta e del suo alleato Salvini e gli Stati generali della Natalità?

Nessuno naturalmente.

Ma forse a pensarci meglio le due cose sono una sola: per evitare che la razza bianca scompaia occorre pagare le donne bianche perché producano infelici da gettare nella fornace della guerra suicidaria che si delinea come unico orizzonte di futuro. Su questo Letta e Salvini vanno d’amore e d’accordo.

Non c’è nessun Male, dal momento che non c’è nessun Bene, e che non c’è nessuna Verità. Però c’è il dolore che sento

 

Kunikos vs Cinico

Non è facile definire il cinismo perché la storia di questo concetto è ambigua.

Nell’ultimo seminario, quello che pronunciò quando si avvicinava la morte (Le courage de la vérité), Foucault parla del cinismo di Antistene e Diogene di Sinope che fiorì nel quarto secolo prima di Cristo.

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tempofertile

“Il blocco sociale post-liberale per una società materialista decente”

di Alessandro Visalli

postrazionalismoPer la collana “Visioni Eretiche”, diretta da Carlo Formenti, è uscito da qualche mese il libro “Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro[1]. Gli autori sono: lo stesso Formenti, che firma l’introduzione ed un saggio dal titolo “Dal socialismo reale al socialismo possibile. Appunto sul socialismo del XXI secolo”; Carlo Galli, “Un mondo di sovrani”; Pierluigi Fagan, “La difficile transizione adattiva al XXI secolo”; Manolo Monereo, “Plutocrazia contro democrazia”; Piero Pagliani, “La logica della crisi”; Onofrio Romano, “Decrescita verticale. Sul futuro del valore”; Raffaele Sciortino, “Tracce di futuro”; Alessandro Somma, “Per un costituzionalismo resistente alla normalità capitalistica”; Andrea Zhok, “Naturalizzazione dell’uomo e umanizzazione della natura? Prolegomeni ad una nuova alleanza”. Infine, il testo che qui si riproduce nella versione quasi finale, “Il blocco sociale post-liberale per una società materialista decente”, che è firmato da me, Alessandro Visalli.

Si è trattato di un progetto avviato prima della pandemia, al finire del 19, ma che, fatalmente, è stato profondamente coinvolto nella lettura di questa.

I temi che si intrecciano tra gli autori, che si sono scambiati per tempo i propri contributi nel tentativo di fertilizzarli reciprocamente, sono ricondotti da Formenti alla crisi della globalizzazione neoliberale, ben visibile prima della pandemia, e per ora nettamente accelerata dagli effetti di questa e certamente ampliata nei suoi effetti dagli scontri di potenza in costante e davvero preoccupante accelerazione. Gli scopi della mondializzazione sono illuminati dai diversi autori sia da un punto di vista di classe (favorire l’accentramento di potere e ricchezza nelle mani di quella frazione della classe capitalista che detiene il controllo dei fattori mobili), sia dal punto di vista della concentrazione del controllo in aree del mondo e luoghi ‘densi’.

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blackblog

Economia intossicata dagli stimoli: il sistema finanziario globale in una gigantesca bolla di liquidità

di Tomasz Konicz

KoniczI mercati azionari sono in pieno boom. Nonostante la crisi del coronavirus e l'impoverimento di centinaia di milioni di salariati. Ciò che a prima vista appare come contraddittorio, è una conseguenza della lotta contro la crisi ed è il sintomo di un sistema finanziario globale che è esso stesso in ginocchio, e lo è ancora di più proprio per il fatto che si trova in una gigantesca bolla di liquidità. A circa un anno dall'ultimo scoppio di crisi - innescato dalle conseguenze della pandemia, ha fatto sprofondare centinaia di milioni di lavoratori salariati nella miseria più nera - i mercati finanziari stanno vivendo quella che è una delle più grandi impennate di tutta la loro storia. I mercati statunitensi - quanto meno - difficilmente potrebbero stare meglio. Dopo aver subito un collasso, corrispondente a circa il 34% nel mese in cui ha avuto inizio la pandemia, nel mese di marzo del 2020; nei dodici messi successivi l'indice Standard & Poor 500 ha raggiunto i suoi nuovi massimi storici, salendo del 75%, proprio nel momento in cui la malnutrizione e la vera e propria fame sono magicamente aumentati anche negli Stati Uniti. Dalla fine della seconda guerra mondiale, per le azioni è stato l'anno migliore, hanno sottolineato i media americani in quello che è stato l'anniversario del fantasmagorico boom delle azioni, il quale si è accompagnato ad una crollo di 3,5 punti percentuali del prodotto interno lordo degli Stati Uniti.

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centrostudieiniz

Tre documenti relativi ad un momento chiave (1983) dell'instaurarsi della crisi attuale

Presentazione di Giovanni Mazzetti

Formazione on line, Quaderno n. 4/2021

Screenshot 2021 04 19 Microsoft Word 1. Ogni generazione passa alle successive una serie di conquiste materiali nelle condizioni di vita che ha realizzato durante la sua esistenza. Nel nostro caso, ad esempio, si tratta dell’acqua corrente direttamente a casa, invece che da attingere alle fontane pubbliche o addirittura alla sorgente; dell’illuminazione elettrica pubblica e privata, al posto delle torce e delle candele; della capacità di leggere e di scrivere, invece di far affidamento sulla sola trasmissione orale del sapere; dello sviluppo della medicina scientifica, al posto delle pratiche magiche preesistenti; delle forme di comunicazione istantanea a distanza, in luogo delle vecchie lettere postali; ecc. Ma quasi sempre trasmette allo stesso tempo la convinzione, delle generazioni che quelle conquiste hanno realizzato, che il modo in cui esse sono state acquisite sia qualcosa di intrinseco ad esse, e quindi insuperabile. Come sottolinea Marx, riferendosi ad un aspetto di quest’intreccio tra innovazione e conservazione, poiché i borghesi hanno introdotto il sistema industriale di produzione, si giunge maldestramente alla conclusione che gli impianti industriali non possano esistere altrimenti che come capitale.

La comprensione di ciò che è implicito in questo modo di comportarsi è complicata dal fatto che, non diversamente dagli altri animali, gli esseri umani tendono a sottrarsi ai cambiamenti quando questi sembrano non essere stati determinati dalla loro volontà. E infatti in un primo momento rifiutano ciò che contraddice le loro aspettative “spingendo per ripristinare lo stato di cose precedente”; stato di cose che, “l’influenza perturbatrice di fattori considerati esterni” tende a modificare.

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lordinenuovo

Draghi e il grande reset del capitalismo

di Domenico Moro

mariodraghi 7 lapresse1280In una recente intervista Draghi si è definito un “socialista liberale”. A parte il fatto che non si capisce bene cosa sia un “socialista liberale”, che appare essere un ossimoro, Draghi non può essere definito socialista in alcun senso. Draghi è, comunque, una personalità importante nella storia degli ultimi trenta anni, durante i quali si è quasi sempre trovato in posizioni centrali nei momenti di svolta. Se volessimo definirlo potremmo dire che è “un agente strategico del capitale”, perché ha sempre operato in base alle esigenze generali dell’accumulazione capitalistica. In particolare, Draghi è interno alle logiche del capitale multinazionale atlantico e europeo. Del resto, è stato per molti anni ospite fisso delle riunioni del Gruppo Bilderberg, un think tank che riunisce annualmente alcuni tra i capitalisti e i politici più influenti delle due sponde dell’Atlantico, i Paesi dell’Europa occidentale e gli Stati Uniti. Come ha recentemente ricordato nella sua autobiografia Franco Bernabè, per anni membro del comitato direttivo del Bilderberg e già amministratore delegato di Eni e Telecom Italia, Draghi svolse negli anni ’90 un ruolo decisivo, come direttore generale del Tesoro, nella privatizzazione di una parte notevole delle imprese di Stato. Dopo la sua permanenza al Tesoro, Draghi ha ricoperto ruoli centrali nel mondo della finanza internazionale. È stato prima dirigente della sede europea e poi membro dell’esecutivo della statunitense Goldman Sachs, una delle maggiori banche d’affari del mondo, nei primi anni 2000. Successivamente ha ricoperto il ruolo di governatore della Banca d’Italia in un momento delicato, dopo le dimissioni di Fazio, favorendo i processi di concentrazione bancaria a livello nazionale.

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comuneinfo

Alternative all’abisso

di Michael Löwy

maxresdefault 2 500x615Con la crisi climatica e la pandemia appare più evidente come l’idea di progresso della civiltà capitalista sia una strada verso l’abisso. Tra i pochi pensatori marxisti, Walter Benjamin ha avuto una premonizione dei mostruosi disastri che la civiltà industriale in crisi avrebbe potuto generare. Ovviamente non si tratta per Benjamin di tornare al passato preistorico, ricorda il sociologo e filosofo francese Michael Löwy, ma di offrire prospettive nuove di armonia tra società e ambiente naturale. Di certo, tra inevitabili difficoltà e contraddizioni, e lontano dalle attenzioni di media e istituzioni, diversi movimenti di resistenza alla distruzione capitalista della natura, stanno sviluppando in tanti angoli del mondo prospettive anticapitaliste, che intrecciano solidarietà, rispetto dell’ambiente e autogestione democratica.

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C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta che spira dal paradiso si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta. (W. Benjamin, Angelus Novus)

Così Walter Benjamin interpreta la celebra tela del pittore Paul Klee. L’attesa perpetuamente insoddisfatta della salvezza… un’attesa in cui l’essere umano è trascinato dal tempo e dal progresso, lasciando alle spalle le tragedie e gli orrori di cui i dominanti sono stati capaci, seminando morte e distruzione ovunque.

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offline

The Magnificent Thirty

di Joe Galaxy

gI 136612 CR CoverNel dicembre 2020 è uscito un testo decisamente interessante per le sorti del mondo sottoposto alla pressione “Covid”. Si tratta di Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid [it: Rilanciare e ristrutturare il settore aziendale post-covid], una pubblicazione proveniente dal cosiddetto “gruppo dei 30”, che ha come significativo sottotitolo Designing Public Intervention [it: Progettare interventi di politica pubblica].

Per capire di cosa parla questo agile (ma forse non troppo) libercolo, può essere utile leggere il comunicato stampa e il relativo abstract, che funge anche da presentazione, che qui traduciamo e che sono comunque reperibili on line rispettivamente, nell’originaria lingua inglese, qui e qui.

Ma, prima ancora, è forse il caso di dire due parole su questo famoso “gruppo dei 30”. Questo gruppo raccoglie trenta fra i più eminenti economisti e politici (molti uomini e, come sempre, poche donne) del globo. Il loro scopo, considerando l’esperienza e la profonda conoscenza del mondo politico ed economico ad essi riconosciuta, consiste prevalentemente nell’analizzare a fondo lo status quo e redigere documenti attraverso i quali consigliare per il meglio i potenti di turno sul da farsi affinché il sistema possa godere di buona salute, o almeno della migliore possibile. Niente di misterioso od esoterico, dunque. Si possono raccogliere moltissime informazioni su di loro con un semplice tour sul web, e i loro documenti sono facilmente reperibili e scaricabili on line qui (tutti rigorosamente in english, naturalmente).

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finimondo

Vulnerabilità

di Avis de tempêtes

PawelKuczynski 2A livello microscopico, la distruzione di autonomia e la riduzione degli spazi che determinano la propria vita, mediante l'introduzione di protesi sempre più tecnologiche, con le logiche conseguenti, non può che dar luogo — in proporzione al grado di lobotomizzazione e di appiattimento che ognuno subisce — ad una disperazione feroce. La ruota del progresso gira sempre più rapidamente. Se un tempo erano necessarie diverse generazioni per le vaste trasformazioni della società, oggi, nello spazio di una sola generazione, sembra quasi di non far parte dello stesso mondo. Una tale impennata di velocità richiede una inaudita capacità di adattamento dell'essere umano e non manca di produrre a sua volta un’intera gamma di «difetti» funzionali al mondo nel suo complesso, ad esempio sotto forma di nevrosi o malanni fisici. E dato che l'essere umano non vive isolato sopra una cometa, abitando sul pianeta Terra, qualsiasi assetto del suo «habitat» ne influenza le possibilità e la capacità di riflettere, ma anche di sentire ed agire. Questa non è ovviamente una peculiarità della società ipertecnologica che conosciamo: si potrebbe affermare infatti che ogni civiltà operi in questo modo. La domanda da porsi allora va un po' più a fondo: una drastica pianificazione dell'habitat non provoca una perdita di autonomia e una soppressione di libertà, ed ogni adeguamento non è in sé antinomico alla libertà? Ma simili domande superano di gran lunga le modeste riflessioni di questo articolo.