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lafionda

Paradigma Covid: collasso sistemico e fantasma pandemico

di Fabio Vighi

miwe6302jfA un anno e mezzo dall’arrivo di Virus, qualcuno forse si sarà chiesto perché la classe dominante, per sua natura senza scrupoli, abbia messo nel congelatore la macchina del profitto a fronte di un patogeno che si accanisce quasi esclusivamente contro i soggetti improduttivi – quegli ultra-ottantenni che, tra l’altro, da tempo mettono a dura prova il sistema pensionistico. Perché, improvvisamente, tutto questo zelo? Cui prodest? Solo chi non conosce le mirabolanti avventure di GloboCap (capitalismo globale) può illudersi che il sistema chiuda i battenti per spirito caritatevole. Ai grandi predatori del petrolio, delle armi, e dei vaccini, non frega proprio niente dell’umanità.

 

Quale emergenza?

Prima di entrare nel vivo della discussione facciamo un passo indietro all’estate 2019, quando l’economia mondiale, a 11 anni dal collasso del 2008, era di nuovo sull’orlo di una crisi di nervi.

Giugno 2019: La ‘Banca dei Regolamenti Internazionali’ (BRI), potentissima ‘banca centrale di tutte le banche centrali’, con sede a Basilea, lancia un grido d’allarme sulla sostenibilità del settore finanziario. Nel suo Rapporto Annuale la BRI evidenzia il forte rischio di “surriscaldamento [...] nel mercato dei prestiti a leva”, dove “gli standard del credito si sono deteriorati” e “sono aumentate le obbligazioni garantite da collaterale (CLO).” Si tratta di prestiti erogati a società iper-indebitate che vengono poi messi sul mercato come bond. In parole povere, la pancia dell’industria finanziaria è di nuovo piena di spazzatura.

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jacobin

Il prezzo della crisi

di Marco Bertorello e Danilo Corradi

Anche se gli addetti ai lavori sembrano non preoccuparsene più di tanto, dopo un lungo periodo di ristagno dei prezzi la crisi pandemica potrebbe costituire l’innesco di una impennata inflazionistica frutto della crisi del paradigma austeritario

inflazione jacobin italia 1320x481La crescita dei prezzi ad aprile negli Stati uniti ha riacceso il dibattito attorno alla possibilità di una ripartenza del fenomeno inflazionistico. Il dato registrato è stato pari a +4,2% su base annua, una percentuale superiore di quasi un punto rispetto a quella attesa. In Europa e in Cina l’inflazione al consumo è ancora sotto quota 2%, ma la tendenza è alla crescita e soprattutto appare superiore alle previsioni la risalita dei prezzi alla produzione in Cina, che sempre ad aprile ha fatto segnare un +6,8%. Questi due dati non potevano passare inosservati dopo un lungo periodo di parziale deflazione, ma complessivamente non hanno preoccupato gli addetti ai lavori. Sembra farsi strada l’idea che il fenomeno abbia natura sostanzialmente temporanea, un rimbalzo dei consumi e delle scorte nel quadro del superamento dei mesi più duri relativamente alle misure di contenimento della pandemia.

Pur non potendo vendere certezze di segno opposto, l’idea del semplice rimbalzo ci convince poco, tanto più che l’ipertrofia e le contraddizioni della finanziarizzazione, che hanno spinto David Harvey a parlare di «complessità assai contorte del sistema finanziario», inviterebbero a dismettere metodologicamente l’idea che possano esistere certezze granitiche. Il quadro dell’economia globale è incerto e assai aperto a varie possibilità, tra cui quella di una fiammata inflazionistica non va esclusa. Tale evenienza era stata da noi avanzata in tempi non sospetti proprio sulle pagine di Jacobin Italia al termine della scorsa primavera, cioè in piena pandemia e recessione. Un’ipotesi che all’epoca poteva apparire azzardata, ma che oggi deve perlomeno essere presa in considerazione seriamente.

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gliasini 

La tecnopolitica non salverà il mondo

di Marino Ruzzenenti

Monsoons bn 1 1024x1536La lettura di un testo non è mai stata per me così intrigante come Prevenire. Manifesto per una tecnopolitica, di P. Vineis, L. Carra, R. Cingolani (Einaudi 2020). Per svariate ragioni. Innanzitutto il titolo e il sottotitolo. Prevenire per chi ha una cultura ambientalista e democratica è un concetto quasi sacro, fondamentale per preservare la buona salute sia della natura che degli umani. Tecnopolitica, invece, presenta immediatamente delle ambiguità, perché da un canto evoca l’idea oligarchica del governo dei sapienti in alternativa alla democrazia implicitamente considerata governo dei mediocri, e dall’altro sembra proporre ancora una volta la tecnologia come chiave di volta per la soluzione dei problemi dell’umanità. Insomma, titolo e sottotitolo evocano risonanze di ossimoro. Gli interrogativi aumentano se poi si tiene conto che il libro è uscito l’anno scorso e che uno degli autori, Roberto Cingolani, è ora direttamente coinvolto in un ruolo preminente come tecnico nell’attuale inedito governo Draghi, il cui collante dovrebbe essere proprio una politica al di sopra e al di là delle ideologie e degli schieramenti partitici, in nome delle cose tecnicamente fondate da farsi per la salvezza del Paese. In questo senso un saggio apparentemente profetico che avrebbe anticipato (preparato?) di qualche mese gli eventi. Ma lo stupore non finisce qui. La firma di Roberto Cingolani, personaggio ormai troppo noto, è preceduta da due altre firme importanti.

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paginauno

Dove si pone il limite? Un sistema economico inaccettabile

di Giovanna Cracco

indexjyfg74Mettiamo insieme alcuni dati.

Il 26 gennaio il Fondo monetario internazionale aggiorna il World Economic Outlook sull’economia globale del 2020: nell’anno della pandemia da Covid-19, il Pil mondiale registra un calo del 3,5%. Un numero senza precedenti, evidenzia il documento. Con l’eccezione della Cina (e altre economie asiatiche, come il Vietnam), in territorio positivo, i dati sono negativi (vedi Grafico 1, pag. 7): si va dal -11,1% della Spagna al -7,2% dell’Eurozona al -3,4% degli Stati Uniti, e via a seguire. Per tornare ai livelli pre-pandemia, sottolinea il report, non basteranno né il 2021 né il 2022, e i numeri previsionali sono aleatori perché molto dipende dalle campagne di vaccinazione, da eventuali nuove ondate, dalle varianti del virus che si affacceranno. Una sola cosa è certa: la crisi economica lascerà povertà e diseguaglianza, e spingerà 90 milioni di persone in una indigenza estrema tra il 2020 e il 2021.

Il 25 gennaio l’Organizzazione internazionale del Lavoro (OIL) pubblica la settima edizione della “Nota OIL Covid-19 e il mondo del lavoro. Stime e analisi aggiornate sull’impatto del Covid-19 sul mondo del lavoro”. Lo studio (vedi Grafico 2, pag. 9) stima al 8,8% la perdita delle ore lavorate a livello globale nel 2020, pari a 255 milioni di posti di lavoro a tempo pieno (calcolati su una settimana lavorativa di 48 ore); è una perdita quattro volte superiore a quella registrata nella crisi del 2009.

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not

Cinismo, suicidio e la forza del caos

Ovvero: fate figli per incrementare il numero degli infelici da suicidare

di Franco «Bifo» Berardi

bombe 340x215Prologo in cielo

Maggio 2021: la ministra della Famiglia Elena Bonetti ha comunicato agli Stati Generali della Natalità che presto sarà concesso l’assegno unico e universale da 250 euro per ogni figlio. L’assegno è stato votato insieme da Enrico Letta e dal suo alleato Matteo Salvini, che insieme si sono anche recati al portico di Ottavia per esprimere solidarietà ai massacratori israeliani.

C’è qualche nesso tra il gesto infame di Enrico Letta e del suo alleato Salvini e gli Stati generali della Natalità?

Nessuno naturalmente.

Ma forse a pensarci meglio le due cose sono una sola: per evitare che la razza bianca scompaia occorre pagare le donne bianche perché producano infelici da gettare nella fornace della guerra suicidaria che si delinea come unico orizzonte di futuro. Su questo Letta e Salvini vanno d’amore e d’accordo.

Non c’è nessun Male, dal momento che non c’è nessun Bene, e che non c’è nessuna Verità. Però c’è il dolore che sento

 

Kunikos vs Cinico

Non è facile definire il cinismo perché la storia di questo concetto è ambigua.

Nell’ultimo seminario, quello che pronunciò quando si avvicinava la morte (Le courage de la vérité), Foucault parla del cinismo di Antistene e Diogene di Sinope che fiorì nel quarto secolo prima di Cristo.

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tempofertile

“Il blocco sociale post-liberale per una società materialista decente”

di Alessandro Visalli

postrazionalismoPer la collana “Visioni Eretiche”, diretta da Carlo Formenti, è uscito da qualche mese il libro “Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro[1]. Gli autori sono: lo stesso Formenti, che firma l’introduzione ed un saggio dal titolo “Dal socialismo reale al socialismo possibile. Appunto sul socialismo del XXI secolo”; Carlo Galli, “Un mondo di sovrani”; Pierluigi Fagan, “La difficile transizione adattiva al XXI secolo”; Manolo Monereo, “Plutocrazia contro democrazia”; Piero Pagliani, “La logica della crisi”; Onofrio Romano, “Decrescita verticale. Sul futuro del valore”; Raffaele Sciortino, “Tracce di futuro”; Alessandro Somma, “Per un costituzionalismo resistente alla normalità capitalistica”; Andrea Zhok, “Naturalizzazione dell’uomo e umanizzazione della natura? Prolegomeni ad una nuova alleanza”. Infine, il testo che qui si riproduce nella versione quasi finale, “Il blocco sociale post-liberale per una società materialista decente”, che è firmato da me, Alessandro Visalli.

Si è trattato di un progetto avviato prima della pandemia, al finire del 19, ma che, fatalmente, è stato profondamente coinvolto nella lettura di questa.

I temi che si intrecciano tra gli autori, che si sono scambiati per tempo i propri contributi nel tentativo di fertilizzarli reciprocamente, sono ricondotti da Formenti alla crisi della globalizzazione neoliberale, ben visibile prima della pandemia, e per ora nettamente accelerata dagli effetti di questa e certamente ampliata nei suoi effetti dagli scontri di potenza in costante e davvero preoccupante accelerazione. Gli scopi della mondializzazione sono illuminati dai diversi autori sia da un punto di vista di classe (favorire l’accentramento di potere e ricchezza nelle mani di quella frazione della classe capitalista che detiene il controllo dei fattori mobili), sia dal punto di vista della concentrazione del controllo in aree del mondo e luoghi ‘densi’.

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blackblog

Economia intossicata dagli stimoli: il sistema finanziario globale in una gigantesca bolla di liquidità

di Tomasz Konicz

KoniczI mercati azionari sono in pieno boom. Nonostante la crisi del coronavirus e l'impoverimento di centinaia di milioni di salariati. Ciò che a prima vista appare come contraddittorio, è una conseguenza della lotta contro la crisi ed è il sintomo di un sistema finanziario globale che è esso stesso in ginocchio, e lo è ancora di più proprio per il fatto che si trova in una gigantesca bolla di liquidità. A circa un anno dall'ultimo scoppio di crisi - innescato dalle conseguenze della pandemia, ha fatto sprofondare centinaia di milioni di lavoratori salariati nella miseria più nera - i mercati finanziari stanno vivendo quella che è una delle più grandi impennate di tutta la loro storia. I mercati statunitensi - quanto meno - difficilmente potrebbero stare meglio. Dopo aver subito un collasso, corrispondente a circa il 34% nel mese in cui ha avuto inizio la pandemia, nel mese di marzo del 2020; nei dodici messi successivi l'indice Standard & Poor 500 ha raggiunto i suoi nuovi massimi storici, salendo del 75%, proprio nel momento in cui la malnutrizione e la vera e propria fame sono magicamente aumentati anche negli Stati Uniti. Dalla fine della seconda guerra mondiale, per le azioni è stato l'anno migliore, hanno sottolineato i media americani in quello che è stato l'anniversario del fantasmagorico boom delle azioni, il quale si è accompagnato ad una crollo di 3,5 punti percentuali del prodotto interno lordo degli Stati Uniti.

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centrostudieiniz

Tre documenti relativi ad un momento chiave (1983) dell'instaurarsi della crisi attuale

Presentazione di Giovanni Mazzetti

Formazione on line, Quaderno n. 4/2021

Screenshot 2021 04 19 Microsoft Word 1. Ogni generazione passa alle successive una serie di conquiste materiali nelle condizioni di vita che ha realizzato durante la sua esistenza. Nel nostro caso, ad esempio, si tratta dell’acqua corrente direttamente a casa, invece che da attingere alle fontane pubbliche o addirittura alla sorgente; dell’illuminazione elettrica pubblica e privata, al posto delle torce e delle candele; della capacità di leggere e di scrivere, invece di far affidamento sulla sola trasmissione orale del sapere; dello sviluppo della medicina scientifica, al posto delle pratiche magiche preesistenti; delle forme di comunicazione istantanea a distanza, in luogo delle vecchie lettere postali; ecc. Ma quasi sempre trasmette allo stesso tempo la convinzione, delle generazioni che quelle conquiste hanno realizzato, che il modo in cui esse sono state acquisite sia qualcosa di intrinseco ad esse, e quindi insuperabile. Come sottolinea Marx, riferendosi ad un aspetto di quest’intreccio tra innovazione e conservazione, poiché i borghesi hanno introdotto il sistema industriale di produzione, si giunge maldestramente alla conclusione che gli impianti industriali non possano esistere altrimenti che come capitale.

La comprensione di ciò che è implicito in questo modo di comportarsi è complicata dal fatto che, non diversamente dagli altri animali, gli esseri umani tendono a sottrarsi ai cambiamenti quando questi sembrano non essere stati determinati dalla loro volontà. E infatti in un primo momento rifiutano ciò che contraddice le loro aspettative “spingendo per ripristinare lo stato di cose precedente”; stato di cose che, “l’influenza perturbatrice di fattori considerati esterni” tende a modificare.

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lordinenuovo

Draghi e il grande reset del capitalismo

di Domenico Moro

mariodraghi 7 lapresse1280In una recente intervista Draghi si è definito un “socialista liberale”. A parte il fatto che non si capisce bene cosa sia un “socialista liberale”, che appare essere un ossimoro, Draghi non può essere definito socialista in alcun senso. Draghi è, comunque, una personalità importante nella storia degli ultimi trenta anni, durante i quali si è quasi sempre trovato in posizioni centrali nei momenti di svolta. Se volessimo definirlo potremmo dire che è “un agente strategico del capitale”, perché ha sempre operato in base alle esigenze generali dell’accumulazione capitalistica. In particolare, Draghi è interno alle logiche del capitale multinazionale atlantico e europeo. Del resto, è stato per molti anni ospite fisso delle riunioni del Gruppo Bilderberg, un think tank che riunisce annualmente alcuni tra i capitalisti e i politici più influenti delle due sponde dell’Atlantico, i Paesi dell’Europa occidentale e gli Stati Uniti. Come ha recentemente ricordato nella sua autobiografia Franco Bernabè, per anni membro del comitato direttivo del Bilderberg e già amministratore delegato di Eni e Telecom Italia, Draghi svolse negli anni ’90 un ruolo decisivo, come direttore generale del Tesoro, nella privatizzazione di una parte notevole delle imprese di Stato. Dopo la sua permanenza al Tesoro, Draghi ha ricoperto ruoli centrali nel mondo della finanza internazionale. È stato prima dirigente della sede europea e poi membro dell’esecutivo della statunitense Goldman Sachs, una delle maggiori banche d’affari del mondo, nei primi anni 2000. Successivamente ha ricoperto il ruolo di governatore della Banca d’Italia in un momento delicato, dopo le dimissioni di Fazio, favorendo i processi di concentrazione bancaria a livello nazionale.

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comuneinfo

Alternative all’abisso

di Michael Löwy

maxresdefault 2 500x615Con la crisi climatica e la pandemia appare più evidente come l’idea di progresso della civiltà capitalista sia una strada verso l’abisso. Tra i pochi pensatori marxisti, Walter Benjamin ha avuto una premonizione dei mostruosi disastri che la civiltà industriale in crisi avrebbe potuto generare. Ovviamente non si tratta per Benjamin di tornare al passato preistorico, ricorda il sociologo e filosofo francese Michael Löwy, ma di offrire prospettive nuove di armonia tra società e ambiente naturale. Di certo, tra inevitabili difficoltà e contraddizioni, e lontano dalle attenzioni di media e istituzioni, diversi movimenti di resistenza alla distruzione capitalista della natura, stanno sviluppando in tanti angoli del mondo prospettive anticapitaliste, che intrecciano solidarietà, rispetto dell’ambiente e autogestione democratica.

* * * *

C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta che spira dal paradiso si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta. (W. Benjamin, Angelus Novus)

Così Walter Benjamin interpreta la celebra tela del pittore Paul Klee. L’attesa perpetuamente insoddisfatta della salvezza… un’attesa in cui l’essere umano è trascinato dal tempo e dal progresso, lasciando alle spalle le tragedie e gli orrori di cui i dominanti sono stati capaci, seminando morte e distruzione ovunque.

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offline

The Magnificent Thirty

di Joe Galaxy

gI 136612 CR CoverNel dicembre 2020 è uscito un testo decisamente interessante per le sorti del mondo sottoposto alla pressione “Covid”. Si tratta di Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid [it: Rilanciare e ristrutturare il settore aziendale post-covid], una pubblicazione proveniente dal cosiddetto “gruppo dei 30”, che ha come significativo sottotitolo Designing Public Intervention [it: Progettare interventi di politica pubblica].

Per capire di cosa parla questo agile (ma forse non troppo) libercolo, può essere utile leggere il comunicato stampa e il relativo abstract, che funge anche da presentazione, che qui traduciamo e che sono comunque reperibili on line rispettivamente, nell’originaria lingua inglese, qui e qui.

Ma, prima ancora, è forse il caso di dire due parole su questo famoso “gruppo dei 30”. Questo gruppo raccoglie trenta fra i più eminenti economisti e politici (molti uomini e, come sempre, poche donne) del globo. Il loro scopo, considerando l’esperienza e la profonda conoscenza del mondo politico ed economico ad essi riconosciuta, consiste prevalentemente nell’analizzare a fondo lo status quo e redigere documenti attraverso i quali consigliare per il meglio i potenti di turno sul da farsi affinché il sistema possa godere di buona salute, o almeno della migliore possibile. Niente di misterioso od esoterico, dunque. Si possono raccogliere moltissime informazioni su di loro con un semplice tour sul web, e i loro documenti sono facilmente reperibili e scaricabili on line qui (tutti rigorosamente in english, naturalmente).

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finimondo

Vulnerabilità

di Avis de tempêtes

PawelKuczynski 2A livello microscopico, la distruzione di autonomia e la riduzione degli spazi che determinano la propria vita, mediante l'introduzione di protesi sempre più tecnologiche, con le logiche conseguenti, non può che dar luogo — in proporzione al grado di lobotomizzazione e di appiattimento che ognuno subisce — ad una disperazione feroce. La ruota del progresso gira sempre più rapidamente. Se un tempo erano necessarie diverse generazioni per le vaste trasformazioni della società, oggi, nello spazio di una sola generazione, sembra quasi di non far parte dello stesso mondo. Una tale impennata di velocità richiede una inaudita capacità di adattamento dell'essere umano e non manca di produrre a sua volta un’intera gamma di «difetti» funzionali al mondo nel suo complesso, ad esempio sotto forma di nevrosi o malanni fisici. E dato che l'essere umano non vive isolato sopra una cometa, abitando sul pianeta Terra, qualsiasi assetto del suo «habitat» ne influenza le possibilità e la capacità di riflettere, ma anche di sentire ed agire. Questa non è ovviamente una peculiarità della società ipertecnologica che conosciamo: si potrebbe affermare infatti che ogni civiltà operi in questo modo. La domanda da porsi allora va un po' più a fondo: una drastica pianificazione dell'habitat non provoca una perdita di autonomia e una soppressione di libertà, ed ogni adeguamento non è in sé antinomico alla libertà? Ma simili domande superano di gran lunga le modeste riflessioni di questo articolo.

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tempofertile

Klaus Schawb e Thierry Malleret, “Covid 19: The great reset”

di Alessandro Visalli

time great reset hero image2Il prof Schwab è un ingegnere che ha anche un dottorato in economia alla famosa Università di Friburgo, in pratica la patria dell’ordoliberalesimo, con un master in Public Administration ad Harvard, fondatore del Word Economic Forum[1] ed autore di un libro di grande successo come “The Fourth Industrial Revolution” nel 2016. Si tratta, insomma, di una persona con un curriculum accademico indiscutibile, apprezzabilmente interdisciplinare, e di certissima derivazione ideologica-culturale. Uno dei papi del capitalismo contemporaneo, insomma.

Thierri Malleret è più giovane, sulle sue spalle sarà caduta la redazione di gran parte del libro. Si occupa di analisi predittiva (una remunerante specializzazione) e di Global Risk al Forum. Educato alla Sorbona in scienze sociali e specializzato ad Oxford in storia dell’economia (master) ed economia (dottorato). Si è mosso tra banche d’affari, think thank, impegni accademici e servizio presso il primo ministro francese.

Questo libro fa parte di una proliferante letteratura. Un tipo di letteratura divulgativa ed esortativa, molto generica e contemporaneamente molto larga nella visione, fatta per tradursi in presentazioni da convegno attraenti e stimolanti, dirette ad un pubblico di manager e imprenditori che hanno bisogno di sentirsi consapevoli, aggiornati e progressisti con poco sforzo. Una lettura da weekend sul bordo della piscina.

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badialetringali

Fine partita. Ha vinto la barbarie

Lettere al futuro IV

di Marino Badiale

Schermata 2021 03 09 alle 09.22.221. Introduzione

“Socialismo o barbarie” è un notissimo slogan dovuto a Rosa Luxemburg, contenuto in un testo scritto durante la Prima Guerra Mondiale [1]. È stato usato molte volte nel Novecento, a indicare il pericolo di una degenerazione regressiva e barbarica delle società occidentali (regressione la cui analisi specifica si differenziava fra i vari autori), e la necessità di una evoluzione socialista per prevenire tale degenerazione. Un critico potrebbe obbiettare che, nel Novecento, il socialismo non ha vinto ma la barbarie tanto temuta non è in definitiva arrivata: il nazifascismo è senz’altro l’evento storico più simile alla temuta regressione, ma esso è stato sconfitto da forze interne alle stesse società capitalistiche (assieme, ovviamente, all’URSS), che hanno così dimostrato di essere capaci di esprimere efficaci controtendenze rispetto agli elementi di barbarie sorti al proprio interno. Può dunque sembrare arrischiato riproporre oggi lo slogan “socialismo o barbarie”, perché si potrebbe venire smentiti, come è successo per tutto il Novecento. Sono però convinto, e l’ho argomentato in altri interventi [2], che il capitalismo abbia ormai esaurito la sua capacità di rappresentare una potenzialità contraddittoria di progresso, e sia entrato in una fase univocamente regressiva, che porterà in tempi non troppo lunghi ad una sua crisi irreversibile. Purtroppo tale crisi non sarà quella che speravano i movimenti comunisti e socialisti degli ultimi due secoli: non si tratterà di una fase turbolenta, magari drammatica, che porterà a sostituire il capitalismo morente con un socialismo ecologico, pacifico, in grado di conservare le conquiste spirituali della modernità e metterle al servizio del libero sviluppo di ogni individuo.

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tempofertile

Emiliano Brancaccio, “Non sarà un pranzo di gala”

di Alessandro Visalli

www.mondadoristore.itLa raccolta di interviste e saggi di Emiliano Brancaccio, raccolte nel libro “Non sarà un pranzo di gala[1] spazia dal 2007 al 2020 ma ha un centro tematico abbastanza definito, si tratta di una ambiziosa interpretazione di taglio strutturale del funzionamento del modo di produzione capitalistico, delle caratteristiche della crisi in corso e delle prospettive che questa apre.

Del saggio chiave del testo avevamo già parlato[2], tra l’altro provocando una piccata reazione dell’autore via social (ed una violenta reazione dei suoi molti fan). Proprio questa mi ha indotto a riprendere in mano il testo e cercare in esso le ragioni di una confutazione della mia interpretazione del saggio per “Il ponte”, o, almeno, di un giudizio più equilibrato. Sfortunatamente la natura di scritti d’occasione e molto sintetici non consente di ‘mordere l’osso’ (come una volta mi disse un revisore editoriale in riferimento ad un mio testo). Quindi ho sostenuto la cosa con alcune altre fonti: la prefazione al libro di Hilferding[3]; la bibliografia[4] fornita dallo stesso sul suo sito al problema, centrale, della ‘legge di tendenza’ alla centralizzazione del capitale.

 

Premessa

Conviene capirsi subito, nessuno e tanto meno io, nega che esista una tendenza alla concentrazione del capitale, né che questa sia inscritta entro alcuni meccanismi potenti che si giovano della libera circolazione dei capitali e sfruttano i differenziali di mobilità di questi. Una buona parte della letteratura che il nostro cita a piede dei suoi saggi, quella che non si riferisce al dibattito contemporaneo ma rientra nel novero del dibattito marxista, è da me adoperata centralmente nel mio testo sulla “teoria della dipendenza”[5] anche se con diverso taglio di lettura.

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perunsocialismodelXXI

Esistono scenari alternativi allo stato di cose presente?

Dieci autori cercano di rispondere

di Carlo Formenti

Qui di seguito anticipo la mia Introduzione al volume collettaneo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro", che sarà in libreria il prossimo 11 marzo per i tipi di Meltemi

visioni eretiche dopo il neoliberalismo formenti 09.58.11 Page 4ridIl progetto di questo libro è nato nell’autunno del 2019 da uno scambio di idee fra Pierluigi Fagan, Piero Pagliani e il sottoscritto. Fagan ci ha segnalato La grande regressione, un volume collettaneo del 2017 a cura di Heinrich Geiselberger (pubblicato in italiano da Feltrinelli) che raccoglieva 14 interventi di vari autori (fra cui Arjun Appadurai, Zygmunt Bauman, Nancy Fraser, Bruno Latour e Slavoj Zizek) invitati a fare il punto sullo “stato del mondo” dopo le crisi che lo hanno investito dall’inizio del nuovo millennio. Per quanto interessante, questa rassegna ha un limite: tutti i contributi analizzano da diversi punti di vista la crisi, ma senza prospettare possibili vie d’uscita, quasi gli autori si limitassero a ripetere il detto di Gramsci che recita “il vecchio muore ma il nuovo non può ancora nascere”. Perciò ci siamo chiesti perché non compiere un passo ulteriore, immaginando possibili scenari alternativi allo stato di cose presente, senza scadere in sterili esercizi di futurologia. Dopodiché abbiamo iniziato a cercare interlocutori disposti a condividere il rischio dell’impresa.

Tradurre quella suggestione nel prodotto editoriale che avete in mano non è stato compito banale. La pandemia del Covid19 ha reso più complicato trovare compagni di avventura e distribuirci gli argomenti da affrontare, ma soprattutto ha rallentato lo scambio di idee e informazioni nel corso della stesura dei contributi, obbligandoci a interagire esclusivamente attraverso i canali virtuali.

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contropiano2

Criptovalute e crisi del dollaro

di Redazione Contropiano

Di seguito l'articolo di Guido Salerno Aletta

criptomonete crisi dollaroIl mondo delle criptovalute è entrato nelle dinamiche economiche prima come una curiosità, poi come un mezzo per speculazioni (o fregature) eccezionali, fino a diventare una minaccia importante per le monete ufficiali, dietro cui c’è uno Stato o un insieme di Stati.

Nulla più della moneta, infatti, segnalava il potere pubblico, la forza dello Stato, la possibilità esclusiva di “creare denaro dal nulla”, al bisogno. Solo quella forza statuale, infatti, poteva assicurare che lo scambio tra merci e pezzi di carta fosse uno scambio sicuro per entrambi i contraenti.

Ma le criptomonete sono state create da soggetti privati (sono ormai circa 1.500). Fanno a meno anche della forma cartacea e assumono quella di righe di codice. Il loro stesso valore di scambio è altamente incerto, volatile, dipendendo da un “mercato” non regolato da nessun soggetto pubblico.

A complicare la situazione interviene la creazione di criptovalute di Stato che andranno ad affiancare-sostituire quelle ufficiali.

Questo articolo di Guido Salerno Aletta, che parte dalle considerazioni svolte nel “Discorso al mercato” del presidente della Consob, Paolo Savona, illumina sulle molte conseguenze relative alla digitalizzazione delle monete. A partire da quella geostrategicamente più rilevante: la destabilizzazione del dollaro, a questo punto della storia forse la principale arma dell’arsenale degli Stati Uniti.

Per arrivare a quella altrettanto importante della separazione netta tra sistemi di pagamento e sistema finanziario, ossia tra supporto indispensabile all’economia reale e speculazione mirante a “far denaro con il denaro”.

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sollevazione2

Peggio di un complotto

di Leonardo Mazzei

davos soll 600x391Covid e Grande Reset viaggiano in coppia, proprio come i carabinieri. Senza il virus, il violento piano di ristrutturazione (e distruzione) sociale della cupola oligarchica sarebbe evidentemente improponibile. Perlomeno oggi, quantomeno nei termini desiderati da lorsignori. Questo è un fatto.

Con il virus ciò che era improponibile diventa all’improvviso altamente probabile, per molti addirittura inevitabile, per i non pochi ultras del “nulla sarà come prima” addirittura auspicabile. E questo è un altro fatto.

Che ad oggi i più vedano solo il virus e non ancora l’orribile disegno sociale che gli si staglia dietro è un terzo fatto, che certo non possiamo negare. Questo è anzi lo snodo decisivo, perché l’epidemia svolge la duplice funzione di cortina fumogena e di nave rompighiaccio, quella che deve aprirsi la strada verso il “nuovo mondo” distopico del Grande Reset.

Secondo alcuni questi tre fatti sarebbero la prova di un vero e proprio complotto. Una cospirazione che avrebbe avuto come prima mossa la deliberata diffusione del virus stesso. Possiamo escludere a priori una tale ipotesi? Assolutamente no. Chi scrive è lontano mille miglia dalla forma mentis del complottista, tuttavia anche i complotti esistono e – pur non spiegandola nei suoi flussi profondi – possono talvolta contribuire a fare la storia.

Ma qui avanziamo un’altra ipotesi, per molti aspetti peggiore, di sicuro più inquietante di quella del “semplice” complotto. Un’ipotesi che il complotto non lo esclude del tutto, ma che da esso è comunque indipendente.

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sbilanciamoci

Se il capitale si concentra

di Claudio Gnesutta

Tra crisi della pandemia e nuove politiche keynesiane, le trasformazioni del capitalismo prendono la strada di un maggior potere della finanza, una crescente centralizzazione del capitale, nuovi rischi per la democrazia nel libro di Emiliano Brancaccio ‘Non sarà un pranzo di gala’

getImageI pesanti riflessi della crisi sanitaria provocata dal Covid-19 sull’economia sono stati affrontati in un’ottica “keynesiana” sostenendo dei redditi e prevedendo investimenti pubblici (Next Generation EU). Si tratta di interventi che, per noi europei, innovano la politica di austerità prevalsa negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2007-08, ma non è dato sapere se sono espressione dell’eccezionalità del momento o indicano un nuovo orientamento della politica economica europea. In quest’ultimo caso si tratta di capire se politiche “keynesiane”, per quanto serie possano essere le loro attuazioni, siano sufficienti a mettere ordine nel nostro mondo, e quale ordine. 

È una questione che va oltre il contingente; la cui risposta può essere formulata solo con una visione generale del processo sociale. Prova a offrirla Emiliano Brancaccio nel suo recente libro (Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione, Meltemi Editore, 2020) nel quale raccoglie le interviste e gli interventi in dibattiti ai quali ha partecipato negli ultimi cinque anni. Il messaggio dell’autore – come riprende Russo Spena nell’introduzione – è che “le politiche economiche ordinarie non solo pregiudicano lo sviluppo e il benessere sociale ma rischiano anche di preparare il terreno per una violenta revanche oscurantista”; una tesi che, disseminata in tutti i saggi, trova un’esposizione sistematica nell’ultimo, quello che si presta come sottotitolo del libro.

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cumpanis

Crisi dell’organizzazione capitalistica, della produzione, della circolazione delle merci, della distribuzione e dei modi di vita. E coronavirus

di Vittorio Gioiello

gioiello foto mondo dopo coviddownloadPremessa

L’attuale pandemia da Covid-19 ha aggravato la crisi capitalistica a livello internazionale.

L’ONU informa che il costo globale della pandemia da Covid-19 sarà intorno ai 220 miliardi di dollari.

L’aspetto economico principale di questa crisi consiste nel fatto che è la prima vota che il sistema si blocca sia dal lato della produzione, cioè dell’offerta, che dal lato della domanda.

Il blocco della produzione ha a sua volta prodotto il blocco degli investimenti che, sommato ai licenziamenti di massa, ha fatto precipitare le economie occidentali in una recessione molto simile ad una grande depressione. Questo è successo nei paesi sviluppati. Le ripercussioni su quelli molto più poveri sono state, ovviamente, più disastrose.

Questa crisi, quindi, è legata a doppio filo all’organizzazione capitalistica della produzione, della circolazione delle merci, della distribuzione e dei modi di vita.

Non è vero che questa crisi da pandemia giunga inaspettata. Fu prevista, per esempio, nel 2005, sulla rivista Foreign Affairs, in un articolo preveggente sulla prossima pandemia.

La crisi mette in evidenza il rapporto perverso tra società e natura.

Il primato di una produzione tesa all’estremo al fine di una estrazione di profitto si è andato ad accompagnare ad un approfondimento della devastazione ambientale e della diseguaglianza globale.

Il carattere della crisi è, inoltre, strettamente connesso con il processo di globalizzazione.

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micromega

Capitalismo e democrazia, catastrofe o rivoluzione

di Paolo Ortelli

  • Wolfgang Streeck, Jürgen Habermas, Oltre l’austerità. Disputa sull’Europa, a cura di Giorgio Fazio, Castelvecchi, Roma 2020.
  • Emiliano Brancaccio, Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione, a cura di Giacomo Russo Spena, Meltemi, Milano 2020.

Katastrophe 640x420«Se, in nome della giustizia e della libertà di restituire significato e unità alla vita, fossimo mai chiamati a sacrificare una quota di efficienza nella produzione, di economia nel consumo, o di razionalità nell’amministrazione, ebbene una civiltà industriale potrebbe permetterselo.»

Karl Polanyi[1]

È da almeno dieci anni che una minoranza di studiosi sociali invoca la necessità di un cambio di paradigma economico, una minoranza che si è rinfoltita con qualche ritardo rispetto allo sgretolamento del sistema sociale che ha governato i destini del mondo negli ultimi quarant’anni. Ci è voluto un decennio di stagnazione perché tornassimo «tutti (nuovamente) keynesiani», realizzando però che ormai abbiamo perso il controllo sulle leve necessarie per applicare politiche keynesiane.

Oggi che la pandemia di Covid-19 sta facendo sentire le sue incommensurabili conseguenze economiche, anche nell’establishment istituzionale e accademico si parla finalmente di cambiare paradigma. Ma forse è a quei pochi capaci di uscire dal coro già in tempi non sospetti che dovremmo rivolgerci per trovare la bussola in questa crisi, la quale rischia di rivelarsi tanto più disastrosa quanto più, dopo lo shock pandemico, ci si illuderà di poter “tornare alla normalità”. Attenzione però, potremmo scoprire che capitalismo e democrazia sono ormai irreversibilmente incompatibili.

Wolfgang Streeck ed Emiliano Brancaccio sono tra gli studiosi sociali che hanno offerto gli strumenti analitici più preziosi in quest’epoca incerta e minacciosa.

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sinistra

2001-2016: Centralizzazione del capitale e crisi finanziaria, oppure Crisi, da cui centralizzazione del capitale?

di Gianni De Bellis e Mario Fragnito

Osservazioni e critiche sull’omonimo lavoro di Emiliano Brancaccio, docente dell’Università del Sannio, ed altri (Centralization of capital and financial crisis: a global network analysisof corporate control).

imageNella letteratura non solo marxista, a partire almeno da mezzo secolo fa, non sono rare affermazioni come: “quasi 3 miliardi di persone .. quasi metà della popolazione terrestre vive con meno di 2 dollari al giorno” .. “il 20% delle persone più ricche detiene l’80% della ricchezza mondiale”; e, successivamente: “il 15% delle persone più ricche detiene l’85% della ricchezza mondiale”. E, più recentemente, a gennaio 2016, un rapporto di Oxfam diffuso in occasione del Forum economico mondiale di Davos: “Nel mondo 62 persone detengono la ricchezza di metà della popolazione più povera, mentre solo 6 anni fa erano 388 .. l’1% della popolazione mondiale possiede più del restante 99% .. l’1% più ricco degli italiani .. in possesso del 23,4% della ricchezza nazionale” ..

Certo, ricchezza e capitale non si identificano perfettamente; capitale è quella “ricchezza” che è in grado di produrne altra: una villa o uno yacht di lusso sono ricchezza ma non capitale. Però la ricchezza è sempre legata al capitale. Quindi l’idea che il capitale vada sempre concentrandosi nelle mani di chi è già ricco, mentre la maggior parte della popolazione del mondo impoverisce (al di la delle illusioni dei ludopatici e di quanti vengono influenzati fortemente dalle illusioni che il capitalismo potentemente semina ad ogni piè sospinto) soprattutto dopo la crisi di un decennio e mezzo fa, ormai appartiene non solo agli ambienti marxisti, ma va abbastanza oltre. E ciò anche nelle ricche nazioni imperialiste, dove ormai la povertà colpisce strati sempre più ampi della popolazione. Il fenomeno sembra così evidente che sembrano strane le prime parole con cui Emiliano Brancaccio e gli altri ricercatori aprono il loro scritto:

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resistenzealnanomondo

Pandemizzare il mondo per vaccinare tutti

ID 2020: una nuova operazione AktionT4 si appresta all’orizzonte

di Costantino Ragusa

tracciatiÈ inutile girarci tanto intorno, quello che si va non tanto preparando, ma piuttosto predisponendo, la fase preparatoria è già avvenuta da tempo, è un progetto di manipolazione del vivente quando non direttamente di annientamento dello stesso che non ha precedenti per ampiezza e portata. ID2020 Digital Identity Alliance è di un portato tale da far passare come piani di poco conto quelli effettuati dai nazisti con l’operazione T4 destinati all'”eutanasia” nella Germania nazista. I piani Aktion T4 e dell’ Agenda ID20201 hannonon poche similitudini, prima fra tutte è sicuramente la non segretezza. Assenza di segretezza non significa che vi fosse chiarezza su quello che erano gli obiettivi ultimi dei progetti nazisti, anche se questi si svolgevano in rispettabili ospedali con complicità o indifferenza molto allargate. La scelta del momento, la preparazione dei malati o presunti tali, la corrispondenza con i familiari, il disbrigo di richieste importune, tutti questi problemi venivano risolti autonomamente dalle amministrazioni statali e cittadine, dalle direzioni e dai gestori dei singoli istituti, in una forma del tutto cordiale ed estremamente collaborativa con lo svolgersi del piano Aktion T4. Anche se non di massa non sono state poche le selezioni atte a far assassinare tutti coloro ritenuti inutili per la società, a partire da disabili, malati cronici, anziani non autosufficienti e soggetti affetti da presunte malattie psichiatriche.

Se il clima e il contesto del tempo fossero stati più favorevoli, senza le guerre in corso e le prime seppur marginali voci critiche, sicuramente simili progetti non sarebbero stati ritirati strategicamente.

Tanta conoscenza vi è intorno ai capannoni destinati a lager, ma poco si sa, nel sapere diffuso, su quello che erano certe rinomate cliniche e centri di ricerca che per tanto tempo ancora hanno continuato ad ispirare e insegnare al mondo intero anche a fine guerra e quindi a nazismo finito.

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ist onoratodamen

La pandemia come metafora della crisi epocale della società capitalista

di Giorgio Paolucci

Basta capitalismo! Via libera a un altro mondo, a un’altra umanità

micco peste napoliOspedali al collasso, locali pubblici, fabbriche e uffici chiusi, volti coperti da mascherine, miliardi di persone chiuse in case, bare accatastate in attesa di una sepoltura. Siamo in stato di guerra si ribadisce a ogni pie’ sospinto: guerra sanitaria, economico-finanziaria, politica e sociale. Una guerra che non ha precedenti perché non provocata dagli uomini ma dalla natura contro l’umanità nella sua interezza. Per alcuni sarebbe una sorta di sua rivalsa contro la smisurata volontà di potenza dell’uomo che lo induce a pretenderne il possesso come pure cosa inanimata e non cuore pulsante della vita e di cui egli stesso è figlio e parte integrante. Comunque, un accidente, una sorta di gigantesca meteorite caduta dal cielo imprevista e imprevedibile.

Così non c’è questione che vada via via ponendosi che non venga ricondotta al Covid-19, quel nemico terribile ed invisibile che non risparmia nessuno. Ormai non si contano più i neologismi composti con la combinazione del termine “Covid-19” o “corona” in ogni campo: scientifico, medico-sanitario ed economico-sociale. Il tutto per costruire una narrazione secondo cui non vi sarebbe alcuna relazione fra la devastante crisi che si annuncia con l’antefatto, vale dire con lo stato delle cose prima del diffondersi della pandemia.

E così, fatto del tutto eccezionale nella storia moderna, una guerra scoppia prima della crisi.

Si potrebbe obiettare che la storia non si ripete mai uguale a sé stessa e che per ogni cosa c’è sempre una prima volta.

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micromega

Perché una nuova Bretton Woods non basterà a superare la crisi economica post Covid

di Enrico Grazzini

crisi economica mondiale covidLa crisi del coronavirus colpisce duro, ma non basta: incombe già una nuova terribile crisi finanziaria globale. Le soluzioni per uscire dalla crisi economica sono, almeno sulla carta, abbastanza semplici: forte sostegno pubblico al welfare e all'economia; cancellazione e/o ristrutturazione delle montagne di debito privato e pubblico; finanziamenti pubblici per le imprese e per sostenere i redditi famigliari; monetizzazione dei debiti pubblici da parte delle banche centrali; riduzione generalizzata dell'orario di lavoro per abolire la disoccupazione dilagante. Queste le misure che i governi del G20[1] riuniti in una nuova Bretton Woods dovrebbero prendere urgentemente per superare la crisi portata dalla diffusione, per ora ancora incontrollabile, del coronavirus. Ma la politica internazionale è ferma e paralizzata dai nazionalismi – prima di tutto quello di Donald Trump -. Per quanto riguarda l'eurozona il Next Generation Plan quasi certamente si rivelerà insufficiente: “troppo poco e troppo tardi”. Allora il governo italiano, senza aspettarsi “aiuti” da nessuno, potrebbe (e dovrebbe) emettere subito dei titoli-moneta complementari all'euro per rilanciare gli investimenti pubblici e privati, finanziare la ripresa e un'Italia verde e sostenibile.

 

Il mondo post-covid sarà molto più povero, pieno di debiti e di disoccupati

Il mondo post Covid sarà molto più brutto di quello precedente: molte aziende falliranno, molte banche avranno grandi buchi di bilancio, la disoccupazione salirà alle stelle, la povertà colpirà (e colpisce) milioni di persone anche nel ricco mondo occidentale e le diseguaglianze aumenteranno a dismisura, tra le nazioni e dentro le nazioni.