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altraparola

La guerra come automatismo di de-globalizzazione

di Franco Berardi Bifo

Schermata 2022 10 05 alle 14.31.00 1130x641Il nazionalismo come forma generale della de-globalizzazione

In un libro del 1946 Die Schuldfrage, Karl Jaspers, uno degli ispiratori del movimento esistenzialista, disse che dovremmo distinguere tra il nazismo come evento storico e il nazismo come corrente profonda della cultura europea, che può riemergere.

Le dinamiche sociali e culturali che hanno dato origine al nazismo nel secolo passato hanno qualcosa di simile alle dinamiche sociali contemporanee, ma il contesto storico, psichico, e soprattutto tecnico è molto differente.

Jaspers scrive in quel testo che la caratteristica per eccellenza del nazismo è il tecno-totalitarismo e sostiene che una piena manifestazione della natura del nazismo potrebbe riapparire in futuro.

Ci si può chiedere se quel futuro sia adesso, e la mia risposta è che le condizioni di una riproposizione su scala enormemente allargata del nazismo stanno emergendo dalla proliferazione di movimenti identitari, neo-reazionari, e nazionalisti che prendono forme diverse e anche tra loro conflittuali come nel caso del conflitto tra Russia e Ucraina, in cui due modelli ugualmente nazionalisti si scontrano militarmente.

Anche Timothy Snyder il quale, in Black Earth: The Holocaust as History and Warning, osserva che la l’impotenza e il terrore provocato da situazioni di emergenza di massa, come le catastrofi ecologiche o le prolungate crisi economiche sono le condizioni più inclini alla formazione di regimi totalitari.

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acropolis

La terapia d’urto sull’economia mondiale

di Michael Roberts

“Chiaramente, le banche centrali non conoscono le cause dell’aumento dell’inflazione. Come ha affermato il presidente della Fed Jay Powell: “Capiamo meglio ora quanto poco sappiamo dell’inflazione”. Ma è anche un approccio ideologico dei banchieri centrali. Tutti i discorsi da parte loro sono la paura di una spirale salari-prezzi. Quindi la loro argomentazione sostiene che, poiché i lavoratori cercano di compensare l’aumento dei prezzi negoziando salari più elevati, ciò alimenterà ulteriori aumenti dei prezzi e di conseguenza le aspettative di inflazione.”

jw mason samir La terapia d’urto era il termine usato per descrivere il drastico passaggio da un’economia pianificata di proprietà pubblica nell’Unione Sovietica nel 1990 a un modo di produzione capitalista in piena regola. È stato un disastro per il tenore di vita per un decennio. La dottrina dello shock era il termine usato da Naomi Klein per descrivere la distruzione dei servizi pubblici e dello stato sociale da parte dei governi a partire dagli anni ’80. Ora le principali banche centrali stanno applicando la propria “terapia d’urto” all’economia mondiale, intente a far salire i tassi di interesse per controllare l’inflazione, nonostante la crescente evidenza che ciò porterà a una recessione globale il prossimo anno.

Questo è quello che dicono. Il membro del consiglio della Federal Reserve Chris Waller chiarisce che “non sto considerando di rallentare o fermare gli aumenti dei tassi a causa di problemi di stabilità finanziaria”. Quindi, anche se l’aumento dei tassi di interesse cominciasse a fare buchi nelle istituzioni finanziarie e nelle loro attività speculative, non importa. Allo stesso modo, il capo della Bundesbank Nagel è risoluto, nonostante l’Eurozona e la Germania in particolare stiano già scivolando in recessione: “I tassi di interesse devono continuare a salire – e in modo significativo”.   Nagel non vuole solo tassi di interesse più alti; vuole che la BCE riduca il suo bilancio, cioè non solo smetta di acquistare titoli di stato per mantenere bassi i rendimenti obbligazionari, ma in realtà venda obbligazioni, portando a rendimenti in aumento.

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collegamenti

Come finirà la guerra in Ucraina?

di Visconte Grisi

Schermata del 2022 10 17 15 01 15Quando si cerca di riflettere sull’evoluzione che potrà avere la guerra in Ucraina una domanda sorge spontanea: la guerra e le distruzioni in Ucraina possono costituire i prodromi di una terza guerra mondiale? Certamente, anche se da diversi anni ormai si sente parlare di “terza guerra mondiale a pezzi”, di “guerra per procura” ecc., questa volta il ricorso a una terza guerra mondiale per risolvere la crisi è reso molto problematico dall’entità delle distruzioni che un tale evento comporterebbe.

Inoltre attualmente nessuna delle potenze in gioco sembra in grado di produrre questo immane sforzo: non gli Stati Uniti che rimangono comunque i più forti sul piano militare ma deboli sul piano industriale dopo decenni di delocalizzazioni, la cui egemonia mondiale si fonda ormai solo sul capitale finanziario; non l’Unione Europea, debole sul piano militare e in preda alle solite divisioni, con una industria tecnologicamente avanzata che ha bisogno dei mercati mondiali di gamma medio/alta; non la Russia che accoppia alla potenza militare ereditata dall’URSS una economia basata quasi esclusivamente sull’esportazione delle materie prime; non la Cina ancora indietro sul piano militare e tesa ad espandersi sul piano commerciale lungo le varie “vie della seta” e con problemi di sviluppo interno ancora non risolti.

L’andamento della guerra, dopo il primo azzardo di Putin in Ucraina, sembra confermare questa ipotesi con gli Stati Uniti aggressivi a parole ma cauti nei fatti, la Cina che attende sorniona l’evolversi degli avvenimenti e l’Unione Europea con smanie interventiste che servono per giustificare una politica di riarmo.

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lacausadellecose

Da Lenin a Putin…

di Michele Castaldo

russia leaders 2 kdyC UHz8rkN23Q0wQlG 1024x576LaStampa.itPremetto che ho riflettuto a lungo se pubblicare una nuova nota dopo aver scritto più di un articolo sulla guerra in corso in Ucraina. Ho sperato che in certi ambiti della cosiddetta ultrasinistra ci potesse essere un certo rinsavimento che lo scorrere dei fatti avrebbe consentito. Devo purtroppo prendere atto che certe chine iniziali si sono ulteriormente incancrenite.

Ci si potrebbe domandare: a che pro questo insistere su posizioni di gruppi politici ultra minoritari che rappresentano poco più che se stessi? La mia risposta è netta: viviamo una fase molto complicata della storia dove tra l’altro è apertamente tangibile la crisi di una teoria rivoluzionaria, proprio mentre sta arrivando al capolinea quella potenza dominatrice costituita dall’Occidente liberista. Insomma i nodi vengono al pettine e non è più possibile nascondersi e fare il pesce in barile. A maggior ragione se tutti i difensori del liberismo occidentalista scendono in campo in difesa dei valori a cui è giunta la loro storia fatta di rapina.

Propongo un modello diverso di organizzazione sociale? No, perché come ho più volte scritto la storia del modo di produzione capitalistico non è un modello definito a tavolino una volta per tutte, ma è un movimento fondato sullo scambio e sull’individualismo che ha sviluppato oltre misura tutti i rapporti di concorrenza fra i mezzi di produzione e le merci e per questa ragione è arrivato al capolinea, cioè in una crisi irreversibile. Chi pertanto oppone un nuovo modello di rapporti sociali non ha inteso bene che essi potranno scaturire solo dall’implosione per fine vita del capitalismo.

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laboratorio

Le tendenze del capitale nel XXI secolo, tra "stagnazione secolare" e guerra

di Domenico Moro

LItalia verso uneconomia di guerra 1La realtà geopolitica dell’inizio del XXI secolo va studiata a partire dalla categoria di modo di produzione. Tale categoria definisce i meccanismi di funzionamento del capitale in generale, astraendo dalle singole economie e dai singoli Stati. Per questa ragione, dobbiamo far interloquire la categoria di modo di produzione con quella di formazione economico-sociale storicamente determinata, che ci restituisce il quadro dei singoli Stati e delle relazioni tra di loro in un dato momento.

Inoltre, il nostro approccio dovrebbe essere dialettico, basato cioè sull’analisti delle tendenze della realtà economica e politica. Tali tendenze non sono lineari, ma spesso in contraddizione con altre tendenze. Solo lo studio delle varie tendenze contrastanti può permetterci di delineare i possibili scenari futuri.

 

  1. La “stagnazione secolare”

L’economia capitalistica mondiale è entrata in una fase di “stagnazione secolare”. A formulare tale definizione è stato nel 2014 Laurence H. Summers, uno dei principali economisti statunitensi, ministro del Tesoro sotto l’amministrazione Clinton e rettore dell’Università di Harvard. Summers ha mutuato il termine di “stagnazione secolare” dall’economista Alvin Hansen, che lo coniò durante la Grande depressione degli anni ’30, che iniziò con la crisi borsistica del 1929. L’attuale “stagnazione secolare” inizia, invece, con la crisi del 2007-2009, seguente allo scoppio della bolla dei mutui subprime.

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acropolis

Prove di internazionalizzazione del renminbi yuan e de-dollarizzazione

di Raffaele Sciortino

bruciatura dei cento dollari 127700281“Tutto ciò rimanda, giova ricordarlo, alla complessa strutturazione dell’imperialismo finanziario del dollaro, che ha preso forma all’indomani della crisi degli anni Settanta facendo da base per la cosiddetta globalizzazione (§ 1.1). Base su cui si è incardinato, negli ultimi tre decenni, il rapporto economico e geopolitico tra Stati Uniti e Cina, asimmetrico ma essenziale per entrambe le parti. Ora, sia le necessità oggettive dello sviluppo capitalistico cinese sia la strategia del partito-stato nell’ultimo decennio hanno iniziato a spingere per un percorso di autonomizzazione rispetto all’eccessiva dipendenza dalla finanza a stelle e strisce. Più di recente, il deteriorarsi delle relazioni con Washington nonchè l’uso del dollaro come arma nel conflitto ucraino hanno convinto i vertici cinesi del fatto che l’esposizione al sistema incentrato sul dollaro rappresenta oramai un rischio sempre meno controbilanciato dal vantaggio dell’accesso ai mercati di esportazione occidentali. La Cina, insomma, non può più giocare sempre e comunque alle regole della Federal Reserve. È qui che si inserisce, altro tassello del puzzle, la strategia comunemente definita di internazionalizzazione della moneta cinese, che nelle intenzioni di Pechino dovrebbe essere cauta e regolata ma sempre più pare rappresentare una scelta obbligata.”

Questo testo è parte di un volume più ampio con il titolo Cina e Usa allo scontro nella crisi globale. Il volume è in fase di preparazione e la sua uscita è prevista per il prossimo mese di Ottobre.

* * * *

Strategia interna della doppia circolazione e proiezione esterna, trasformazione del modello di sviluppo fin qui seguito e riconfigurazione della globalizzazione in forme più consone agli interessi cinesi: tutto ciò non può non investire il piano della moneta.

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contropiano2

Ma quale “green deal”, qui casca l’asino neoliberista

di Claudio Conti - Guido Salerno Aletta

green deal asino neoliberistaLa comunicazione imperiale, di questi tempi, è decisamente schizofrenica. Da un lato c’è l’esibizione di forza incontrastabile (sanzioni alla Russia, minacce alla Cina, fiducia nella “vittoria Ucraina”, pretesa che il resto del mondo segua – come negli ultimi 30 anni – i propri ordini, ecc).

Dall’altra la corsa all’accaparramento di nuove forniture per le materie prime energetiche che dalla Russia arrivano sempre meno, con piani di razionamento per i consumi della popolazione (sorpassando la “delicatezza” dei “consigli per consumare meno”).

Per capirci qualcosa di più, come spesso facciamo, andiamo a vedere come la stanno prendendo gli specialisti dell’economia, dato che dei fogliacci di propaganda euro-atlantica (Corriere e Repubblica su tutti) non c’è proprio da fidarsi.

Un disperato editoriale di TeleBorsa – non proprio un foglio bolscevico – chiarisce molto.

Intanto che modo di produzione capitalistico e ambientalismo non possono proprio “coesistere”. Tutta la retorica della “transizione ecologica”, tra eventi come il Cop26 e il Recovery Fund, viene smontata come una follia (capitalisticamente parlando).

In effetti, già l’Unione Europea aveva fatto robustissime marce indietro già prima dell’inizio della guerra in Ucraina. La revisione della “tassonomia” relativa alle varie fonti energetiche aveva chiarito che gas, nuceare e perino il carbone sono “ecologici”. E quindi che nulla, in realtà, doveva cambiare, tranne qualche robusto finanziamento alle infrastrutture con tecnologie “innovative”.

In secondo luogo, che la dimensione della riduzione dei consumi dovuti alla carenza di rifornimenti energetici (sbrigativamente chiamati “gas russo”) sarà di dimensioni drammatiche, che fanno impallidire il ricordo della crisi petrolifera del 1973.

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badialetringali

La guerra in un mondo senza futuro

di Marino Badiale

Clipboard1. Introduzione.

Il primo dei numeri della rivista “Limes” dedicati alla guerra in Ucraina (uscito a marzo) aveva il titolo “La Russia cambia il mondo”. È un titolo che coglie molto bene uno degli aspetti di fondo della situazione attuale, cioè il cambiamento netto, nella realtà politica mondiale, causato dall’attacco della Russia all’Ucraina. In questo intervento cercherò di esaminare come questo cambiamento si colleghi all’analisi della situazione storica contemporanea che ho sviluppato in vari interventi su questo blog, analisi la cui tesi principale è che l’attuale società capitalistica mondializzata si sta avviando verso un drammatico collasso.

Il punto di partenza per queste riflessioni è la sensazione che nei paesi occidentali buona parte dell’opinione pubblica, ma anche degli analisti e degli stessi ceti dirigenti, sia stata colta di sorpresa dall’azione russa, ritenendo evidentemente molto improbabile quello che poi è realmente accaduto. Anch’io ero di questa opinione, perché mi sembrava che una guerra, come quella attualmente in corso, fosse contraria agli interessi di tutti gli attori in gioco, e ovviamente confidavo nella razionalità di tali attori. La realtà ha smentito queste opinioni (che, come ho indicato, ritengo non fossero solo mie), e naturalmente occorre prenderne atto. D’altra parte, il fatto che la guerra sia iniziata e prosegua mi sembra non invalidi del tutto la tesi che vi siano, in questo fatto, forti elementi di irrazionalità, nel senso sopra indicato: tale guerra non appare del tutto congrua agli interessi dei vari attori coinvolti. Questo intervento è dedicato ad una riflessione su questo punto, cioè su come questa vicenda, e la sua disturbante irrazionalità, illumini alcuni aspetti di fondo della realtà contemporanea.

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bollettinoculturale

Crisi della legge del valore e divenire rendita del profitto in Carlo Vercellone

di Bollettino Culturale

ups and downs economyCarlo Vercellone con la sua tesi sulla “crisi della legge del valore e divenire rendita del profitto” afferma che il profitto e la legge del valore, con lo sviluppo del capitale, acquisiscono un carattere maggiormente rentier. Dopo la crisi del fordismo si può osservare un ritorno e una moltiplicazione della rendita, che implica una generale inversione del rapporto tra salario, rendita e profitto. Secondo l'autore, c'è un approccio molto diffuso all'interno delle teorie marxiste che considerano la rendita un’eredità precapitalista che ostacola lo sviluppo del capitale stesso. Il capitalismo puro non consentirebbe l'esistenza della rendita. Allo stesso modo, esiste una lettura che sostituisce la rendita fondiaria con la rendita finanziaria e interpreta la crisi del 2008 come un conflitto tra questa vocazione rentier del capitale finanziario e il capitale produttivo "buono", che genera profitto e occupazione. Capitale e lavoro avrebbero stipulato un accordo che implicherebbe il controllo del prezzo dei beni, salari compresi, con l'obiettivo di garantire la piena occupazione e ristabilire il funzionamento della legge del valore tempo di lavoro socialmente necessario, contro le distorsioni causate dall'intervento del settore finanziario sul settore produttivo. Vercellone afferma di non essere d'accordo con questa lettura per quattro motivi: (1) la rendita non è al di fuori delle dinamiche del capitale, né si oppone al profitto; (2) la rendita non è separata dall'aumento della dimensione immateriale e cognitiva del lavoro, successiva alla crisi del fordismo, di cui fanno parte i servizi finanziari; (3) c'è un esaurimento della logica industriale dell'accumulazione di capitale e un aumento della vocazione rentier e speculativa dello stesso capitalismo produttivo; (4) nega la natura globale della finanza, che ora è nell'intero ciclo economico, rendendo ancora più difficile distinguere tra economia finanziaria ed economia reale.

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antropocene

Niente è risolto

di Jacques Camatte

Si conclude, con questo articolo, lo studio relativo al rischio di estinzione[1]

playtime1Gli uomini combattono, si uccidono, ma è la natura a soffrire di più: la sua distruzione aggrava il rischio di estinzione, che si accresce anche a causa della continua erosione della naturalità delle specie. - Jacques Camatte

Niente è stato risolto e, globalmente, oggettivamente, l’umanità vive nella déréliction [solitudine esistenziale, abbandono], per quanto riguarda i dominati, e nella fuga in avanti dei dominanti, che pensano, nei fatti, di scongiurare o manipolare la minaccia di estinzione.

Grazie all’uscita dalla natura, l’umanità pensava di poter sfuggire al rischio di estinzione, soprattutto con lo sviluppo del capitale, che avrebbe dovuto garantire la sicurezza, ma la morte di esso [2] e la persistenza del rischio sono la prova lampante che niente è stato risolto. Diversi fenomeni lo testimoniano.

Il covid-19 si manifesta periodicamente con grande virulenza, mentre altre malattie, come il vaiolo delle scimmie, sono in aumento.

La dipendenza e lo sradicamento accrescono la perdita dell’immunità naturale, di conseguenza aumenta l’assistenzialismo.

La siccità, che aumenta ogni anno in intensità e durata, è accompagnata da una serie di incendi sempre più distruttivi. Si può dire che, parallelamente, si assiste sempre più a sparatorie, come se l’incendio coinvolgesse la specie stessa.

La fame colpisce sempre più persone in tutto il mondo.

Rivolte, sommosse, in rapporto a un malcontento persistente, e persino crescente, in diversi Paesi.

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lacausadellecose

Di caos in caos

di Michele Castaldo

il caos 03 1000 768x537La crisi del governo di “unità nazionale”, diretto dall’uomo della provvidenza, il banchiere Draghi, in piena estate, mostra non il fallimento della politica come vogliono sostenere la gran parte dei commentatori e degli intellettuali. No, è la crisi di un modo di produzione in crisi, ovvero di interessi di più classi in contrasto fra loro e in ognuna di esse, perché si vanno sempre più riducendo i margini del mercato.

All’orizzonte: il costo delle materie prime che determinano addirittura le alleanze storiche internazionali; la necessità di far fronte dando un impulso alle grandi aziende per renderle competitive e le ricadute di questo processo sui settori destinati perciò ad essere falcidiati: i taxisti per la Uber, le 50.000 imprese a rischio di chiusura, la revisione dei contratti dei beni demaniali. Si tratta di interessi economici che stridono fra loro e ne fanno le spese i partiti che si candidano a rappresentarli. Si provi solo a immaginare quale somma occorrerebbe per 50.000 mila imprese sull’orlo del fallimento, che Giuseppe Conte, per un verso, e Salvini per il versante del nord, vorrebbero salvare. E sotto accusa cosa è se non il reddito di cittadinanza?

All’interno dell’attuale caos dei partiti e dei vari raggruppamenti politici si segnala, in controtendenza, una crescita continua del partito di estrema destra della signora Giorgia Meloni, che viene visto come il fumo negli occhi dai democratici e dalla sinistra. E proprio coll’approssimarsi del centenario della Marcia su Roma del 28 ottobre del 1922, il partito Fratelli d’Italia, il partito dei patrioti, come lo definisce la Meloni, potrebbe festeggiare quel centenario con la nomina se non addirittura il giuramento di un nuovo governo della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza. Insomma la Storia, quella vera, gioca sempre brutti scherzi agli uomini che pensano di dirigerla.

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blackblog

Fed e BCE nel vicolo cieco della politica monetaria

di Tomasz Konicz

Breve storia delle aporie della politica di crisi borghese nella transizione dell'economia mondiale dalla crisi pandemica alla crisi bellica

EurodigitalFacebookDalla pandemie alla guerra, l'economia mondiale non ha più pace. Sul suo sito web, "Tagesschau" vede addirittura l'economia mondiale minacciata da «crisi multiple».[*1] Ma è proprio nel momento in cui si parla delle conseguenze economiche di quella che appare come una rapida erosione del sistema mondiale capitalistico, che va ora posta la questione se abbia davvero ancora senso parlare di una crisi economica pandemica o di una crisi economica relativa alla guerra, o se invece non sia più appropriato comprendere gli shock economici susseguenti come le fasi di un unico e stesso processo di crisi sistemica.

In ogni caso, nella sua ultima valutazione dell'economia globale la Banca Mondiale ha dovuto rivedere significativamente al ribasso le sue precedenti previsioni di crescita. [*2] Secondo tali previsioni, quest’anno l'economia globale dovrebbe crescere solo del 2,9%, mentre a gennaio la Banca Mondiale si aspettava ancora il 4,1%. Questo dimezzerebbe o quasi lo slancio economico globale, che nel 2021 grazie alle gigantesche misure di stimolo economico finanziate dal debito di molti Stati, aveva raggiunto un enorme aumento del 5,7%. Per molti Paesi emergenti e in via di sviluppo, i quali possono raggiungere la stabilità sociale solo con alti tassi di crescita, questo rallentamento economico è già di per sé pericoloso, soprattutto in un contesto di impennata dei prezzi dei generi alimentari. Inoltre, la Banca Mondiale ha messo in guardia dal rischio crescente di un periodo prolungato di stagflazione, simile alla fase di crisi degli anni '70, quando la stagnazione economica era accompagnata da un'inflazione a due cifre (per questo si veda anche: "Back to stagflation?" [*3]).

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acropolis

La soluzione capitalista per “salvare” il pianeta: trasformalo in una classe di asset e vendilo

Lynn Fries intervista John Bellamy Foster

John Bellamy Foster spiega la “soluzione” ideata dalla finanza globale per risolvere l’imminente crisi ambientale: creare un patrimonio del valore di un multi-quadrilion di dollari sul retro di tutto ciò che la natura fa ed espropriarlo dai beni comuni globali per realizzare un profitto. Peggio ancora: sta già accadendo

0d5019bb91d963a1982a8cfe65e960b4 Spuros Papaloukas antigrapho e1658070902736L’ospite di oggi è John Bellamy Foster. Parlerà della finanziarizzazione della terra come nuovo regime ecologico. Un regime in cui la rapida finanziarizzazione della natura sta promuovendo una Grande Espropriazione dei beni comuni globali e l’espropriazione dell’umanità su una scala che supera tutta la storia umana precedente. E che sta accelerando la distruzione degli ecosistemi planetari e della terra come casa sicura per l’umanità. Il tutto in nome di salvare la natura trasformandola in mercato.

Gli articoli delle recensioni mensili dei nostri ospiti: La difesa della natura: resistere alla finanziarizzazione della terra e alla natura come modalità di accumulazione: il capitalismo e la finanziarizzazione della terra descrivono in dettaglio questo argomento.

Insieme a noi dall’Oregon, John Bellamy Foster è professore di sociologia all’Università dell’Oregon ed editore di Monthly Review. Ha scritto ampiamente sull’economia politica ed è un importante studioso di questioni ambientali. È autore di numerosi libri tra cui Ecology: Materialism and Nature di Marx , The Great Financial Crisis: Causes and Consequences , The Ecological Rift: Capitalism’s War on the Earth . Un prossimo libro, Capitalism in the Anthropocene: Ecological Ruin or Ecological Revolution, uscirà presto da Monthly Review Press. Benvenuto, John.

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LYNN FRIES: Ciao e benvenuto. Sono Lynn Fries produttore di Global Political Economy o GPEnewsdocs. L’ospite di oggi è John Bellamy Foster. Parlerà della finanziarizzazione della terra come nuovo regime ecologico. Un regime in cui la rapida finanziarizzazione della natura sta promuovendo una Grande Espropriazione dei beni comuni globali e l’espropriazione dell’umanità su una scala che supera tutta la storia umana precedente. E che sta accelerando la distruzione degli ecosistemi planetari e della terra come casa sicura per l’umanità. Il tutto in nome di salvare la natura trasformandola in mercato.

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badialetringali

Spiegare l'assurdo

(lettere al futuro 7)

di Marino Badiale

uomo bosco1. L’assurdo

In un intervento precedente [1] ho osservato come sia paradossale la situazione dell’umanità contemporanea, posta di fronte al cambiamento climatico, e più in generale alla devastazione ambientale indotta dalla società attuale: da una parte si accumulano le conoscenze scientifiche che delineano un quadro di grande pericolo e grande urgenza, mentre le prime avvisaglie della crisi climatica in corso stanno concretamente interferendo con la vita di varie comunità sparse nel pianeta [2]; dall’altra, la società globalizzata contemporanea non sta in sostanza facendo nulla di essenziale per affrontare la crisi climatica e le altre problematiche ambientali. Dicendo “nulla di essenziale” intendo dire che le iniziative che si tenta di porre in essere, a livello sia degli individui sia delle comunità e delle istituzioni, per quanto lodevoli e necessarie, non appaiono tuttavia sufficienti rispetto alla gravità dei processi in atto. Il problema sta infatti nella struttura fondamentale della nostra organizzazione economico-produttiva, nei rapporti sociali ed economici che la strutturano e che possiamo riassumere come “capitalismo”. Senza toccare questi dati strutturali non è possibile un’azione realmente efficace di contrasto e contenimento della crisi climatica. Ciò che colpisce è il fatto che l’umanità contemporanea sembra ignorare questa “scomoda verità”, e quindi appare nella sostanza indifferente rispetto alla crisi climatica, nonostante le oscillazioni di maggiore o minore interesse che si possono avere negli anni. Questa indifferenza appare con molta evidenza nei ceti dirigenti dell’attuale società globalizzata, perché ovviamente sono loro ad avere il potere e i mezzi per “fare qualcosa”, ed è l’assenza del loro “fare” la principale responsabile della situazione in cui ci troviamo, e del cupo futuro che ci si prepara.

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iltascabile

Crisi, catastrofe, rivoluzione

Una conversazione con Emiliano Brancaccio

di la redazione del Tascabile

img brancaccioContinuano le conversazioni della redazione con intellettuali capaci di aiutarci a leggere la guerra in corso, alla ricerca di uno scambio con punti di vista che possano restituire la complessità e la portata di quanto sta accadendo. L’intervista di oggi è con l’economista Emiliano Brancaccio, Professore di politica economica presso l’Università degli Studi del Sannio, a Benevento, tra i principali esponenti delle scuole di pensiero economico critico. Seguiamo Brancaccio da quando siamo venuti a conoscenza dei suoi lavori più recenti: Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico (Piemme, 2022) e Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione (Meltemi, 2020), due saggi capaci di individuare le tendenze generali della fase storica che stiamo attraversando: su scala globale, una centralizzazione del potere in sempre meno mani che conduce inevitabilmente a una contrazione dello spazio democratico.

Ci interessava in particolare la sua capacità di portare un punto di vista radicale in sedi istituzionali che, da profani, immaginiamo restie alla critica che invece Brancaccio sa esercitare. Siamo partiti allora dalla guerra in Ucraina, come abbiamo già fatto con Marco D’Eramo, Alfonso Desiderio e Maria Chiara Franceschelli, ma siamo arrivati a toccare un’ampia rete di aspetti macroeconomici e politici della contemporaneità, e ne abbiamo approfittato per farci chiarire alcuni punti delle sue analisi. Il risultato è una conversazione ambiziosa, dallo sguardo ampio, ma che speriamo possa servire a orientarci, in modo molto pragmatico, a capire se e come possiamo sperare di avere voce in capitolo sul nostro futuro.

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carmilla

La guerra e il lato oscuro dell’Occidente. 3: A caccia di mostri

di Fabio Ciabatti

Qui e qui le puntate precedenti

perchek industrie raDgOau5K6c unsplashI periodi bellici non sembrano adatti al tentativo approfondire l’analisi. La propaganda non va tanto per il sottile. I nemici diventano mostri, il male assoluto. Parlando di nemico come lato oscuro si potrebbe dare l’impressione che stiamo menando il can per l’aia di fronte alla domanda pressante che viene rivolta a tutti noi: tu da che parte stai? Ma è proprio a questa domanda che bisogna sottrarsi. Perché, comunque si sviluppi nel breve periodo, il conflitto è destinato a far emergere i fondamenti mostruosi del nostro mondo. Un modo per provare a disertare il campo di battaglia è proprio quello di riconoscere che il nemico non rappresenta un’alterità incommensurabile rispetto alla nostra identità (stiamo parlando di una diserzione ideale ben consapevoli che quella reale cosa assai diversa). In questo modo possiamo mettere in questione la logica assoluta dell’“amico-nemico” che ci viene imposta e contrastare gli slanci bellicamente eroici che essa porta con sé. Si tratta certamente di un primo passo necessario perché ci consente di capire che, al di là delle manifeste differenze, esiste un sostrato comune tra i contendenti.1

Adesso, però, è venuto il momento di chiederci se questo passo sia anche sufficiente. La suggestione del lato oscuro l’abbiamo ripresa da uno dei manuali di sceneggiatura più diffusi di Hollywood, Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler. Qui l’antagonista è considerato come l’“insieme degli aspetti negativi dell’Eroe stesso”, come la “dimora dei mostri che reprimiamo dentro di noi”. Il nemico non è altro che l’eroe al rovescio, il suo lato oscuro, appunto. In questo contesto, la sconfitta dell’antagonista deve passare necessariamente per una trasformazione dell’eroe, perché la vittoria contro il male che è rappresentato esteriormente dal nemico significa anche la sconfitta del male che si cela in profondità nel protagonista stesso. La domanda da porsi a questo punto è la seguente: a partire da questa dinamica si può immaginare che la trasformazione dell’eroe possa produrre qualcosa di realmente nuovo?

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sfero

La logica della crisi corrente

di Andrea Zhok

20220701T100007 cover 1656669607412Per cercar di comprendere la situazione attuale e le sue tendenze di sviluppo è necessario alzare lo sguardo almeno all’altezza degli ultimi tre lustri, ricollegandoci alla crisi finanziaria del 2007-2008.

La crisi subprime ha mostrato, innanzitutto, nella maniera più chiara, chi detiene la sovranità effettiva nel mondo odierno. Alle origini della crisi sta la deregolamentazione del sistema finanziario americano avvenuto almeno a partire dall’abolizione dello Glass-Steagall Act (1999, presidenza Clinton), con cui si sono aperte le ultime dighe al predominio della finanza speculativa (processo iniziato sin dagli anni ’70). Quell’atto di delegificazione era stato auspicato da tempo dai principali attori finanziari statunitensi, ma solo alla soglia del 2000 le pressioni ottennero pienamente l’esito desiderato.

Da allora si è avviata una stagione di speculazione ruggente che ha prodotto un incremento costante del peso dell’economia finanziaria rispetto all’economia reale, promuovendo la creazione della pazzesca bolla immobiliare esplosa a fine 2007.

In quell’occasione per il sistema finanziario si trattava di capire una sola cosa, ovvero se, o in quale misura, gli stati avrebbero compensato per i rischi speculativi privatamente presi. Quando il governo americano decise (con molti tentennamenti) di lasciar fallire la Lehman Brothers, come "esempio" contro il "moral hazard" del sistema bancario, i vertici del sistema finanziario presero un discreto spavento. Per qualche lunghissimo giorno si percepì la possibilità di un effetto domino, di un collasso totale con il successivo fallimento del gigante AIG, che sarebbe stato incontenibile nelle conseguenze. Questa propagazione venne sventata dal governo USA all’ultimo momento, con la prima di una prodigiosa serie di “iniezioni di liquidità”.

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acropolis

Un reset al servizio delle persone

di Ellen Brown 

Invece di accettare il distopico “Great Reset” del World Economic Forum, possiamo costruire un sistema alternativo con il mandato di servire le persone

sisifos e1655456336344Questa è la seconda parte del articolo del 17 giugno 2022 intitolato ” Un ripristino monetario in cui i ricchi non possiedono tutto “, il cui succo era che i livelli di debito nazionale e globale sono insostenibili. Abbiamo bisogno di un “reset”, ma di che tipo? Il “Great Reset” del World Economic Forum (WEF) lascerebbe le persone come inquilini non proprietari in una tecnocrazia feudale. Il ripristino dell’Unione economica eurasiatica consentirebbe alle nazioni partecipanti di rinunciare del tutto al sistema capitalista occidentale, ma che dire dei paesi occidentali rimasti? Questa è la domanda qui affrontata.

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I nostri antenati avevano alcune soluzioni innovative

Fortunatamente per gli Stati Uniti, il nostro debito nazionale è in dollari USA. Come ha osservato una volta l'ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan , "Gli Stati Uniti possono pagare qualsiasi debito che hanno perché possiamo sempre stampare denaro per farlo. Quindi non c'è nessuna probabilità di default". Pagare il debito pubblico semplicemente stampando il denaro era la soluzione innovativa dei governi coloniali americani a corto di liquidità. Il problema era che tendeva ad essere inflazionistico. Il tagliando di carta che emettevano era considerato un anticipo contro le tasse future, ma era più facile emettere il denaro che tassarlo dopo e un'emissione eccessiva svalutava la moneta. La colonia della Pennsylvania ha risolto il problema formando una " banca fondiaria " di proprietà del governo . Il denaro è stato emesso come credito agricolo che è stato rimborsato. La nuova moneta è uscita dal governo locale e vi è tornata, stimolando l'economia e il commercio senza svalutare la moneta.

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finimondo

Figli di Eichmann?

di Finimondo

SCARPONERUOTA«L’ingenua speranza ottimistica del diciannovesimo secolo, quella secondo cui con la crescita della tecnica cresce automaticamente anche la “chiarezza” dell’uomo, dobbiamo cancellarla definitivamente. Chi oggi si culla ancora in una tale speranza, non solo è un semplice superstizioso, non solo è un semplice relitto dell’altroieri […] quanto più alta è la velocità del progresso, quanto più grandi sono gli effetti della nostra produzione e quanto più è intricata la struttura dei nostri apparati, tanto più rapidamente la nostra immaginazione e la nostra percezione non riescono a stargli dietro, tanto più rapidamente cala la nostra “chiarezza” e tanto più diventiamo ciechi»

Gunther Anders, Noi figli di Eichmann (1964)

La nostra concezione della storia è rimasta fondamentalmente lineare. A dispetto di mostruose smentite quali Auschwitz o Hiroshima, rapidamente rimosse grazie all'incoscienza macchinica, il mito del progresso ha retto bene negli ultimi decenni. Si è mostrato in grado di incassare colpi, di accettare di includere qualche sfumatura e ancora oggi sembra perfettamente attrezzato per resistere al disincanto ispirato dalla catastrofe climatica che sta accelerando sotto i nostri occhi. «Sotto i nostri occhi» forse non è una bella espressione, essendosi creato da molto tempo un «dislivello» tra le azioni che svolgiamo all'interno dell'apparato produttivo e le conseguenze di tali azioni. Non perché siano impercettibili, troppo insignificanti per essere individuate dai nostri sensi e dalla nostra mente, ma al contrario, perché sono diventate troppo enormi.

L'ondata di caldo — un eufemismo che traduce bene la limitatezza del linguaggio, e quindi della nostra capacità di rappresentare le cose nell’ambito del sensibile e del razionale — che si sta oggi abbattendo su vaste aree del globo è tristemente indicativa a tale proposito.

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la citta futura

Inflazione più recessione

di Ascanio Bernardeschi

La radice dell'inflazione e della nuova grave recessione che si annuncia sta nelle politiche imperialistiche. Occorre intrecciare le lotte contro l'imperialismo con il conflitto sociale. Per questo serve l'unità dei comunisti

fa24f9745ef1d31206ce1973dbde487b XLLa crisi perdurante e la pandemia avevano promosso il passaggio della BCE, e delle politiche economiche europee in genere, da rigide custodi della dinamica dei prezzi a elargitrici di moneta facile – naturalmente solo per alcuni – perché, balbettavano i think tank dell'UE, riluttanti ad ammettere che l'austerità aveva ridotto diversi Paesi europei sul lastrico, l'inflazione troppo al di sotto del famigerato e arbitrario 2% non è desiderabile.

Eravamo facili profeti quando sostenevamo che i colli di bottiglia nei comparti industriale e dei trasporti, dovuti al fermo caotico di una serie di attività a causa della pandemia e accentuati dal modello just-in time e scorte zero, impostosi dopo la chiusura della fase fordista, avrebbero determinato uno shock da offerta il quale, in presenza di questa nuova alluvione di liquidità, avrebbe innescato processi inflattivi.

Così come la pandemia è stato il capro espiatorio di una crisi che covava già prima e che il virus ha solo reso manifesta e accentuato, oggi ogni colpa dell'inflazione viene attribuita alla guerra che, non lo neghiamo, sta pur contribuendo al suo sviluppo.

Gli aumenti dei prezzi, soprattutto dei prodotti energetici e alimentari, i quali poi si riversano nei costi di produzione e quindi nei prezzi della generalità dei prodotti (per esempio il 60% del tasso di inflazione è dovuto ai prodotti energetici), si sta verificando in ogni parte del globo; ma in gran parte delle economie capitaliste, tra cui quella italiana, tale crescita non è affiancata da quella dei salari che quindi perdono in potere d'acquisto. In particolare energia e alimenti costituiscono una fetta rilevantissima della spesa delle famiglie a basso reddito le quali oltretutto, lo certifica anche milanofinanza, “possono contare solo su risparmi limitati e hanno un ridotto margine di azione sui consumi discrezionali”.

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fuoricollana

Tempesta perfetta o caos sistemico?

di Alessandro Montebugnoli*

Cambiamento climatico, fame e carestie, conflitti armati, iniquità globali. Ma l’imperativo non può essere combattere i sintomi, bensì le cause attraverso una nuova forma di egemonia multilaterale e cooperativa

6 Guerra e sostenibilità ecologica. La guerra in Ucraina va ad aggiungersi ai tanti conflitti armati sparsi nel mondo, e i conflitti si aggiungono alla crisi alimentare e a quella climatica. Ma gli effetti non sono additivi, bensì moltiplicativi, così che i paesi simultaneamente affetti da due o tre crisi fanno registrare livelli di denutrizione fino a 12 volte maggiori di quelli dei paesi affetti da uno solo. Tanto più elevati i livelli di diseguaglianza di un paese, tanto più frequenti le crisi multiple e più gravi gli effetti moltiplicativi. I fattori all’origine dell’attuale, spaventosa, crisi alimentare non vanno considerati in modo isolato: l’essenziale sta piuttosto nei processi di reciproco rafforzamento. Le crisi dipendono dalle condizioni di disordine globale, nel senso che queste ultime sono l’esatto opposto di un quadro idoneo ad affrontarne le cause, alle quali, piuttosto, lasciano campo libero. Se la responsabilità dell’invasione dell’Ucraina ricade sulla Russia di Putin, lo stesso non può dirsi del quadro delle relazioni globali nel quale quella scelta ha preso corpo. Ed è di questo che occorre ragionare.

 

Iniquità globali

È cosa nota che la seconda metà degli scorsi anni Dieci ha segnato una pesante battuta di arresto sulla strada della lotta contro la fame. E così, anche, non siamo certo i primi a osservare che la guerra in Ucraina è venuta a esacerbare un problema già presente in forma acuta. In modo particolarmente incisivo, per esempio, lo ha fatto il direttore esecutivo del World Food Program, David Beasley: “Conflitti, crisi climatica, Covid 19 e costi crescenti del cibo e dei combustibili avevano già creato una tempesta perfetta – e adesso abbiamo la guerra in Ucraina, ad aggiungere una catastrofe in cima a una catastrofe”.

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carmilla

Armi letali: il gran ballo dei diritti umani e la macelleria della guerra

di Sandro Moiso

civili“La società non esiste. Esistono soltanto gli individui” (Margaret Tatcher)

“A Fort Branning, la sede della scuola di fanteria e delle truppe corazzate dell’esercito statunitense, i soldati che vengono «preparati e formati per combattere e vincere» le guerre devono anche frequentare il corso di diritti umani. L’obiettivo del corso è di «inculcare negli allievi che i valori democratici, la legislazione internazionale sui diritti umani e il Diritto Internazionale Umanitario sono doti di comando essenziali nelle forze armate” (Nicola Perugini e Neve Gordon – «Il diritto umano di dominare»)

”NATO, Keep the progress going!” (Amnesty International – Manifesto per il “Summit ombra per le donne afghane”, Chicago 2012)

Nel 2012, poco dopo che Barack Obama aveva pubblicamente dichiarato di essere intenzionato a richiamare tutte le truppe americane di stanza in Afghanistan entro il 2014, nel centro di Chicago (città dove nel mese di maggio dello stesso anno si sarebbe tenuto un summit della NATO per mettere a punto i dettagli della exit strategy) erano comparsi manifesti che esortavano la NATO a non ritirare le proprie truppe dal tormentato paese centro-asiatico.

Su quei poster era scritto:”NATO, Keep the progress going!” (NATO, occorre portare avanti il progresso), stabilendo così un chiaro collegamento tra l’occupazione militare e il progresso. Sotto il titolo, poi, si annunciava un “Summit ombra per le donne afghane” che si sarebbe tenuto durante lo stesso summit della NATO. A differenza, però, di quanto si potrebbe pensare tale iniziativa non era sponsorizzata da qualche fondazione repubblicana o dalla lobby delle armi ma da Amnesty International, la più nota tra le organizzazioni per i diritti umani presenti al mondo.

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pensieriprov

L’imminente frattura globale causata dallo scontro tra diversi ordini economici

Intervista a Michael Hudson

Il post che segue è la traduzione di un’intervista al prof. Michael Hudson pubblicata su The Unz Review. Un’altra analisi essenziale per comprendere gli avvenimenti epocali che stiamo vivendo e orientarci in un mondo che si fa sempre più complesso, oltre che “grande e terribile”. L’originale lo puoi trovare qui.

dsc 0384Prof. Hudson, è uscito il suo nuovo libro “Il destino della civiltà”. Questo ciclo di conferenze sul capitalismo finanziario e la nuova guerra fredda presenta una panoramica della sua particolare prospettiva geopolitica.

Lei parla di un conflitto ideologico e materiale in corso tra Paesi finanziarizzati e deindustrializzati come gli Stati Uniti contro le economie miste di Cina e Russia. In che cosa consiste questo conflitto e perché il mondo si trova in questo momento in un “punto di frattura” particolare, come afferma il suo libro?

L’attuale frattura globale sta dividendo il mondo tra due diverse filosofie economiche: Nell’Occidente USA/NATO, il capitalismo finanziario sta deindustrializzando le economie e ha spostato l’industria manifatturiera verso la leadership eurasiatica, soprattutto Cina, India e altri Paesi asiatici, insieme alla Russia che fornisce materie prime di base e armi.

Questi Paesi sono un’estensione di base del capitalismo industriale che si sta evolvendo verso il socialismo, cioè verso un’economia mista con forti investimenti governativi nelle infrastrutture per fornire istruzione, assistenza sanitaria, trasporti e altre necessità di base, trattandole come servizi di pubblica utilità con servizi sovvenzionati o gratuiti per queste necessità.

Nell’Occidente neoliberale degli Stati Uniti e della NATO, invece, questa infrastruttura di base viene privatizzata come un monopolio naturale che estrae rendite.

Il risultato è che l’Occidente USA/NATO è rimasto un’economia ad alto costo, con le spese per la casa, l’istruzione e la sanità sempre più finanziate dal debito, lasciando sempre meno reddito personale e aziendale da investire in nuovi mezzi di produzione (formazione del capitale).

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theunconditional

Denaro senza valore e rapida dissoluzione di un mondo

di Fabio Vighi

Davide Bonazzi The Wall Street Journal A New Way to Clean Old MoneyL’accelerazione del paradigma emergenziale cui assistiamo dal 2020 ha come scopo – semplice, ma ampiamente disconosciuto – il mascheramento del collasso socioeconomico in atto. Nel metaverso le cose sono l’opposto di ciò che sembrano. Inaugurando Davos 2022, Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, ha incolpato Virus & Putin per la ‘confluenza di calamità’ che si si sta abbattendo sull’economia mondiale. Nulla di particolarmente originale. Davos infatti non è un covo di perfidi complottisti, ma il megafono di reazioni sempre più disperate a fronte di contraddizioni sistemiche ingestibili. Ai davosiani oggi non resta che nascondersi dietro goffe bugie da ragazzini imbarazzati. L’insistenza con cui ci raccontano che la recessione in arrivo è effetto di avversità globali che hanno colto il mondo di sorpresa (da Covid-19 a Putin-22), nasconde l’amara consapevolezza dell’esatto contrario: è la crisi economica a causare scientemente queste “disgrazie”. Quelle che ci vengono vendute come catastrofiche minacce esterne sono in realtà la proiezione ideologica del limite interno della modernità capitalistica, e della sua decomposizione in atto. In termini sistemici, la funzione dello stato d’emergenza è mantenere artificialmente in vita il corpo comatoso del capitalismo. Il nemico non è più costruito per legittimare l’espansione dell’Impero del dollaro; piuttosto, serve a nascondere la bancarotta di un mondo che affonda nei debiti e nella svalutazione monetaria.

Dalla caduta del muro di Berlino in poi, lo sviluppo della globalizzazione ha minato le condizioni di possibilità del capitale stesso. La risposta a questa parabola implosiva è stata lo scatenamento di una serie di emergenze globali a stretto giro di posta, e integrate da iniezioni sempre più massicce di paura, caos, e propaganda.

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eticaeconomia

Lo spettro della stagflazione, con o senza stretta monetaria

di Roberto Tamborini

108f2 stagflazioneMentre il mondo sta cercando di lasciarsi alle spalle la tragedia della pandemia, l’intreccio tra economia e crisi politico-militari sembra riportarci, come un crudele gioco dell’oca, agli anni Settanta del secolo scorso, il decennio della “Grande inflazione”. Era l’ottobre 1973, e a supporto della guerra del Kippur di Siria ed Egitto contro Israele, i paesi arabi membri dell’Opec (l’organizzazione dei paesi produttori di petrolio) decisero di colpire i paesi filo-israeliani con un embargo delle esportazioni di greggio, e poi un aumento unilaterale del suo prezzo da circa 3 dollari al barile a oltre 11. Pochi anni dopo, nel 1979, arrivò il secondo shock petrolifero, in seguito alla rivoluzione islamica in Iran e a un’altra guerra, tra il gigante Sciita e l’Iraq. Il prezzo del greggio triplicò di nuovo e superò i 30 dollari al barile.

Siamo ancora lontani, per ora, dal vertiginoso aumento del costo della vita che prese piede in quel periodo, ma le previsioni, o auspici, di uno shock inflazionistico di breve durata, dovuto a fattori transitori legati al rimbalzo post-pandemia dell’economia mondiale, si stanno rivelando fallaci. Lo spettro della “stagflazione” degli anni Settanta, alta inflazione accompagnata da economia stagnante, si aggira per il mondo e sta mettendo in allarme i vertici delle banche centrali (BCE, Decisioni di politica monetaria, 14-4-2022). Le pressioni dei “falchi” della stabilità dei prezzi s’intensificano, in particolare in Europa, chiedendo azioni risolute. Sappiamo che la Storia non si ripete mai uguale, ma ci sono alcune analogie con gli anni Settanta che è utile considerare per il presente.