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acropolis

Un reset al servizio delle persone

di Ellen Brown 

Invece di accettare il distopico “Great Reset” del World Economic Forum, possiamo costruire un sistema alternativo con il mandato di servire le persone

sisifos e1655456336344Questa è la seconda parte del articolo del 17 giugno 2022 intitolato ” Un ripristino monetario in cui i ricchi non possiedono tutto “, il cui succo era che i livelli di debito nazionale e globale sono insostenibili. Abbiamo bisogno di un “reset”, ma di che tipo? Il “Great Reset” del World Economic Forum (WEF) lascerebbe le persone come inquilini non proprietari in una tecnocrazia feudale. Il ripristino dell’Unione economica eurasiatica consentirebbe alle nazioni partecipanti di rinunciare del tutto al sistema capitalista occidentale, ma che dire dei paesi occidentali rimasti? Questa è la domanda qui affrontata.

* * * *

I nostri antenati avevano alcune soluzioni innovative

Fortunatamente per gli Stati Uniti, il nostro debito nazionale è in dollari USA. Come ha osservato una volta l'ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan , "Gli Stati Uniti possono pagare qualsiasi debito che hanno perché possiamo sempre stampare denaro per farlo. Quindi non c'è nessuna probabilità di default". Pagare il debito pubblico semplicemente stampando il denaro era la soluzione innovativa dei governi coloniali americani a corto di liquidità. Il problema era che tendeva ad essere inflazionistico. Il tagliando di carta che emettevano era considerato un anticipo contro le tasse future, ma era più facile emettere il denaro che tassarlo dopo e un'emissione eccessiva svalutava la moneta. La colonia della Pennsylvania ha risolto il problema formando una " banca fondiaria " di proprietà del governo . Il denaro è stato emesso come credito agricolo che è stato rimborsato. La nuova moneta è uscita dal governo locale e vi è tornata, stimolando l'economia e il commercio senza svalutare la moneta.

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finimondo

Figli di Eichmann?

di Finimondo

SCARPONERUOTA«L’ingenua speranza ottimistica del diciannovesimo secolo, quella secondo cui con la crescita della tecnica cresce automaticamente anche la “chiarezza” dell’uomo, dobbiamo cancellarla definitivamente. Chi oggi si culla ancora in una tale speranza, non solo è un semplice superstizioso, non solo è un semplice relitto dell’altroieri […] quanto più alta è la velocità del progresso, quanto più grandi sono gli effetti della nostra produzione e quanto più è intricata la struttura dei nostri apparati, tanto più rapidamente la nostra immaginazione e la nostra percezione non riescono a stargli dietro, tanto più rapidamente cala la nostra “chiarezza” e tanto più diventiamo ciechi»

Gunther Anders, Noi figli di Eichmann (1964)

La nostra concezione della storia è rimasta fondamentalmente lineare. A dispetto di mostruose smentite quali Auschwitz o Hiroshima, rapidamente rimosse grazie all'incoscienza macchinica, il mito del progresso ha retto bene negli ultimi decenni. Si è mostrato in grado di incassare colpi, di accettare di includere qualche sfumatura e ancora oggi sembra perfettamente attrezzato per resistere al disincanto ispirato dalla catastrofe climatica che sta accelerando sotto i nostri occhi. «Sotto i nostri occhi» forse non è una bella espressione, essendosi creato da molto tempo un «dislivello» tra le azioni che svolgiamo all'interno dell'apparato produttivo e le conseguenze di tali azioni. Non perché siano impercettibili, troppo insignificanti per essere individuate dai nostri sensi e dalla nostra mente, ma al contrario, perché sono diventate troppo enormi.

L'ondata di caldo — un eufemismo che traduce bene la limitatezza del linguaggio, e quindi della nostra capacità di rappresentare le cose nell’ambito del sensibile e del razionale — che si sta oggi abbattendo su vaste aree del globo è tristemente indicativa a tale proposito.

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la citta futura

Inflazione più recessione

di Ascanio Bernardeschi

La radice dell'inflazione e della nuova grave recessione che si annuncia sta nelle politiche imperialistiche. Occorre intrecciare le lotte contro l'imperialismo con il conflitto sociale. Per questo serve l'unità dei comunisti

fa24f9745ef1d31206ce1973dbde487b XLLa crisi perdurante e la pandemia avevano promosso il passaggio della BCE, e delle politiche economiche europee in genere, da rigide custodi della dinamica dei prezzi a elargitrici di moneta facile – naturalmente solo per alcuni – perché, balbettavano i think tank dell'UE, riluttanti ad ammettere che l'austerità aveva ridotto diversi Paesi europei sul lastrico, l'inflazione troppo al di sotto del famigerato e arbitrario 2% non è desiderabile.

Eravamo facili profeti quando sostenevamo che i colli di bottiglia nei comparti industriale e dei trasporti, dovuti al fermo caotico di una serie di attività a causa della pandemia e accentuati dal modello just-in time e scorte zero, impostosi dopo la chiusura della fase fordista, avrebbero determinato uno shock da offerta il quale, in presenza di questa nuova alluvione di liquidità, avrebbe innescato processi inflattivi.

Così come la pandemia è stato il capro espiatorio di una crisi che covava già prima e che il virus ha solo reso manifesta e accentuato, oggi ogni colpa dell'inflazione viene attribuita alla guerra che, non lo neghiamo, sta pur contribuendo al suo sviluppo.

Gli aumenti dei prezzi, soprattutto dei prodotti energetici e alimentari, i quali poi si riversano nei costi di produzione e quindi nei prezzi della generalità dei prodotti (per esempio il 60% del tasso di inflazione è dovuto ai prodotti energetici), si sta verificando in ogni parte del globo; ma in gran parte delle economie capitaliste, tra cui quella italiana, tale crescita non è affiancata da quella dei salari che quindi perdono in potere d'acquisto. In particolare energia e alimenti costituiscono una fetta rilevantissima della spesa delle famiglie a basso reddito le quali oltretutto, lo certifica anche milanofinanza, “possono contare solo su risparmi limitati e hanno un ridotto margine di azione sui consumi discrezionali”.

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fuoricollana

Tempesta perfetta o caos sistemico?

di Alessandro Montebugnoli*

Cambiamento climatico, fame e carestie, conflitti armati, iniquità globali. Ma l’imperativo non può essere combattere i sintomi, bensì le cause attraverso una nuova forma di egemonia multilaterale e cooperativa

6 Guerra e sostenibilità ecologica. La guerra in Ucraina va ad aggiungersi ai tanti conflitti armati sparsi nel mondo, e i conflitti si aggiungono alla crisi alimentare e a quella climatica. Ma gli effetti non sono additivi, bensì moltiplicativi, così che i paesi simultaneamente affetti da due o tre crisi fanno registrare livelli di denutrizione fino a 12 volte maggiori di quelli dei paesi affetti da uno solo. Tanto più elevati i livelli di diseguaglianza di un paese, tanto più frequenti le crisi multiple e più gravi gli effetti moltiplicativi. I fattori all’origine dell’attuale, spaventosa, crisi alimentare non vanno considerati in modo isolato: l’essenziale sta piuttosto nei processi di reciproco rafforzamento. Le crisi dipendono dalle condizioni di disordine globale, nel senso che queste ultime sono l’esatto opposto di un quadro idoneo ad affrontarne le cause, alle quali, piuttosto, lasciano campo libero. Se la responsabilità dell’invasione dell’Ucraina ricade sulla Russia di Putin, lo stesso non può dirsi del quadro delle relazioni globali nel quale quella scelta ha preso corpo. Ed è di questo che occorre ragionare.

 

Iniquità globali

È cosa nota che la seconda metà degli scorsi anni Dieci ha segnato una pesante battuta di arresto sulla strada della lotta contro la fame. E così, anche, non siamo certo i primi a osservare che la guerra in Ucraina è venuta a esacerbare un problema già presente in forma acuta. In modo particolarmente incisivo, per esempio, lo ha fatto il direttore esecutivo del World Food Program, David Beasley: “Conflitti, crisi climatica, Covid 19 e costi crescenti del cibo e dei combustibili avevano già creato una tempesta perfetta – e adesso abbiamo la guerra in Ucraina, ad aggiungere una catastrofe in cima a una catastrofe”.

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carmilla

Armi letali: il gran ballo dei diritti umani e la macelleria della guerra

di Sandro Moiso

civili“La società non esiste. Esistono soltanto gli individui” (Margaret Tatcher)

“A Fort Branning, la sede della scuola di fanteria e delle truppe corazzate dell’esercito statunitense, i soldati che vengono «preparati e formati per combattere e vincere» le guerre devono anche frequentare il corso di diritti umani. L’obiettivo del corso è di «inculcare negli allievi che i valori democratici, la legislazione internazionale sui diritti umani e il Diritto Internazionale Umanitario sono doti di comando essenziali nelle forze armate” (Nicola Perugini e Neve Gordon – «Il diritto umano di dominare»)

”NATO, Keep the progress going!” (Amnesty International – Manifesto per il “Summit ombra per le donne afghane”, Chicago 2012)

Nel 2012, poco dopo che Barack Obama aveva pubblicamente dichiarato di essere intenzionato a richiamare tutte le truppe americane di stanza in Afghanistan entro il 2014, nel centro di Chicago (città dove nel mese di maggio dello stesso anno si sarebbe tenuto un summit della NATO per mettere a punto i dettagli della exit strategy) erano comparsi manifesti che esortavano la NATO a non ritirare le proprie truppe dal tormentato paese centro-asiatico.

Su quei poster era scritto:”NATO, Keep the progress going!” (NATO, occorre portare avanti il progresso), stabilendo così un chiaro collegamento tra l’occupazione militare e il progresso. Sotto il titolo, poi, si annunciava un “Summit ombra per le donne afghane” che si sarebbe tenuto durante lo stesso summit della NATO. A differenza, però, di quanto si potrebbe pensare tale iniziativa non era sponsorizzata da qualche fondazione repubblicana o dalla lobby delle armi ma da Amnesty International, la più nota tra le organizzazioni per i diritti umani presenti al mondo.

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pensieriprov

L’imminente frattura globale causata dallo scontro tra diversi ordini economici

Intervista a Michael Hudson

Il post che segue è la traduzione di un’intervista al prof. Michael Hudson pubblicata su The Unz Review. Un’altra analisi essenziale per comprendere gli avvenimenti epocali che stiamo vivendo e orientarci in un mondo che si fa sempre più complesso, oltre che “grande e terribile”. L’originale lo puoi trovare qui.

dsc 0384Prof. Hudson, è uscito il suo nuovo libro “Il destino della civiltà”. Questo ciclo di conferenze sul capitalismo finanziario e la nuova guerra fredda presenta una panoramica della sua particolare prospettiva geopolitica.

Lei parla di un conflitto ideologico e materiale in corso tra Paesi finanziarizzati e deindustrializzati come gli Stati Uniti contro le economie miste di Cina e Russia. In che cosa consiste questo conflitto e perché il mondo si trova in questo momento in un “punto di frattura” particolare, come afferma il suo libro?

L’attuale frattura globale sta dividendo il mondo tra due diverse filosofie economiche: Nell’Occidente USA/NATO, il capitalismo finanziario sta deindustrializzando le economie e ha spostato l’industria manifatturiera verso la leadership eurasiatica, soprattutto Cina, India e altri Paesi asiatici, insieme alla Russia che fornisce materie prime di base e armi.

Questi Paesi sono un’estensione di base del capitalismo industriale che si sta evolvendo verso il socialismo, cioè verso un’economia mista con forti investimenti governativi nelle infrastrutture per fornire istruzione, assistenza sanitaria, trasporti e altre necessità di base, trattandole come servizi di pubblica utilità con servizi sovvenzionati o gratuiti per queste necessità.

Nell’Occidente neoliberale degli Stati Uniti e della NATO, invece, questa infrastruttura di base viene privatizzata come un monopolio naturale che estrae rendite.

Il risultato è che l’Occidente USA/NATO è rimasto un’economia ad alto costo, con le spese per la casa, l’istruzione e la sanità sempre più finanziate dal debito, lasciando sempre meno reddito personale e aziendale da investire in nuovi mezzi di produzione (formazione del capitale).

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theunconditional

Denaro senza valore e rapida dissoluzione di un mondo

di Fabio Vighi

Davide Bonazzi The Wall Street Journal A New Way to Clean Old MoneyL’accelerazione del paradigma emergenziale cui assistiamo dal 2020 ha come scopo – semplice, ma ampiamente disconosciuto – il mascheramento del collasso socioeconomico in atto. Nel metaverso le cose sono l’opposto di ciò che sembrano. Inaugurando Davos 2022, Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, ha incolpato Virus & Putin per la ‘confluenza di calamità’ che si si sta abbattendo sull’economia mondiale. Nulla di particolarmente originale. Davos infatti non è un covo di perfidi complottisti, ma il megafono di reazioni sempre più disperate a fronte di contraddizioni sistemiche ingestibili. Ai davosiani oggi non resta che nascondersi dietro goffe bugie da ragazzini imbarazzati. L’insistenza con cui ci raccontano che la recessione in arrivo è effetto di avversità globali che hanno colto il mondo di sorpresa (da Covid-19 a Putin-22), nasconde l’amara consapevolezza dell’esatto contrario: è la crisi economica a causare scientemente queste “disgrazie”. Quelle che ci vengono vendute come catastrofiche minacce esterne sono in realtà la proiezione ideologica del limite interno della modernità capitalistica, e della sua decomposizione in atto. In termini sistemici, la funzione dello stato d’emergenza è mantenere artificialmente in vita il corpo comatoso del capitalismo. Il nemico non è più costruito per legittimare l’espansione dell’Impero del dollaro; piuttosto, serve a nascondere la bancarotta di un mondo che affonda nei debiti e nella svalutazione monetaria.

Dalla caduta del muro di Berlino in poi, lo sviluppo della globalizzazione ha minato le condizioni di possibilità del capitale stesso. La risposta a questa parabola implosiva è stata lo scatenamento di una serie di emergenze globali a stretto giro di posta, e integrate da iniezioni sempre più massicce di paura, caos, e propaganda.

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eticaeconomia

Lo spettro della stagflazione, con o senza stretta monetaria

di Roberto Tamborini

108f2 stagflazioneMentre il mondo sta cercando di lasciarsi alle spalle la tragedia della pandemia, l’intreccio tra economia e crisi politico-militari sembra riportarci, come un crudele gioco dell’oca, agli anni Settanta del secolo scorso, il decennio della “Grande inflazione”. Era l’ottobre 1973, e a supporto della guerra del Kippur di Siria ed Egitto contro Israele, i paesi arabi membri dell’Opec (l’organizzazione dei paesi produttori di petrolio) decisero di colpire i paesi filo-israeliani con un embargo delle esportazioni di greggio, e poi un aumento unilaterale del suo prezzo da circa 3 dollari al barile a oltre 11. Pochi anni dopo, nel 1979, arrivò il secondo shock petrolifero, in seguito alla rivoluzione islamica in Iran e a un’altra guerra, tra il gigante Sciita e l’Iraq. Il prezzo del greggio triplicò di nuovo e superò i 30 dollari al barile.

Siamo ancora lontani, per ora, dal vertiginoso aumento del costo della vita che prese piede in quel periodo, ma le previsioni, o auspici, di uno shock inflazionistico di breve durata, dovuto a fattori transitori legati al rimbalzo post-pandemia dell’economia mondiale, si stanno rivelando fallaci. Lo spettro della “stagflazione” degli anni Settanta, alta inflazione accompagnata da economia stagnante, si aggira per il mondo e sta mettendo in allarme i vertici delle banche centrali (BCE, Decisioni di politica monetaria, 14-4-2022). Le pressioni dei “falchi” della stabilità dei prezzi s’intensificano, in particolare in Europa, chiedendo azioni risolute. Sappiamo che la Storia non si ripete mai uguale, ma ci sono alcune analogie con gli anni Settanta che è utile considerare per il presente.

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sinistra

Guerra alla Russia ed emergenza permanente

di Nicola Casale

russiaUcrainaL’emergenza della pandemia non è finita. È tenuta in caldo, pronta per essere ripresa in autunno, con l’obiettivo di estendere a tutti, bambini compresi, l’obbligo vaccinale e il green pass (GP). Contro la sua ripresa militano alcuni fattori importanti.

Interni a ogni singolo paese: riluttanza delle popolazioni, stanche delle restrizioni e sfiduciate nei vaccini, emergere di una crisi economica che potrebbe riaprire il conflitto sociale su vasta scala, indebolendo la disponibilità della gente a mettere al primo posto la pandemia, soprattutto se dovesse continuare l’evidenza di provocare malattie non gravi e con scarso rischio di ricovero e decesso.

Internazionali: molti paesi potrebbero sottrarsi a un’ulteriore allarme mondiale. In ciascuno di essi la gestione della pandemia ha fatto passi indietro grazie alle reazioni popolari. L’India è il caso più evidente: la lotta dei contadini non s’è fatta condizionare dai lockdown, con oltre un anno di mobilitazione ha vinto costringendo il governo a recedere dalla contro-riforma agraria e ha smantellato la narrazione pandemica, inducendo il governo a diffondere l’ivermectina che ha drasticamente ridotto ricoveri e decessi. In Russia non ci sono state mobilitazione di piazza, ma la popolazione ha semplicemente sabotato vaccini e GP. Rifiuti analoghi in molti paesi asiatici, africani, latinoamericani e dei Balcani (non solo i soliti serbi...).

La stessa Cina presenta caratteri diversi dalla gestione occidentale: fa lockdown rigidi, ma limitati nello spazio e nel tempo, perché avverte il pericolo di attacchi biologici (la scoperta dei laboratori in Ucraina la dice lunga sulla pratica Usa/occidentale di diffondere patogeni soprattutto verso Russia e Cina). Ciò non toglie che i lockdown siano ugualmente inutili a eradicare il virus e molto utili, invece, a operazioni di disciplinamento sociale. La Cina, comunque, non usa vaccini occidentali, non impone obbligo vaccinale e non usa il GP.

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laboratorio

Guerra, inflazione e conferma della "stagnazione secolare”

di Domenico Moro

Stagnazione secolareNel 2013 Laurence H. Summers, uno dei più importanti economisti statunitensi e già ministro del Tesoro di Clinton, definì la fase economica contemporanea come “stagnazione secolare”. Con questa definizione Summers voleva intendere che l’economia mondiale – a partire da quella dei paesi più sviluppati, come Usa, Europa occidentale e Giappone – era entrata in una fase di crisi permanente. Summers aggiunse che, guerra a parte, non si vedeva alcuna possibile soluzione a tale crisi.

Nell’analisi dell’economista statunitense si tracciava una analogia tra la fase attuale e quella seguita alla grande crisi del 1929, che fu risolta dalla Seconda guerra mondiale. Infatti, fu solamente a seguito delle enormi spese statali per la produzione militare che gli Usa si ripresero dalla crisi e solamente a seguito delle enormi distruzioni della guerra mondiale e degli investimenti americani successivi che l’Europa, il Giappone e l’intero occidente poterono dare avvio a una fase economica espansiva che durò alcuni decenni.

L’economia capitalistica è entrata dal 2007-2008 in una crisi ininterrotta che, a parte brevi riprese, permane tutt’ora. Il contenuto della crisi, dovuta a una sovrapproduzione assoluta di capitale, permane nonostante le forme in cui si manifesta mutino di volta in volta: crisi dei mutui subprime nel 2007, crisi del debito sovrano nel 2013, crisi pandemica nel 2020 e, infine, la crisi attuale che si manifesta nella forma della stagflazione e della guerra.

La breve ripresa del 2021 non ha consentito alle economie dei Paesi avanzati di recuperare interamente quanto era stato perso nell’anno precedente, durante la pandemia.

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rete dei com

Crisi sistemica e crisi militare

di Mauro Casadio

RisikoStallo come accumulo di contraddizioni

Se siamo chiamati a fare una analisi della situazione attuale rischiamo di essere parziali se non si analizzano le condizioni che hanno portato all’oggi. Dunque per descrivere la dinamica che ora porta alla “formalizzazione” delle contraddizioni in atto dobbiamo delineare per sommi capi il percorso fatto da queste nell’ultimo decennio.

Certamente dopo la fine dell’URSS si è determinata una fase di stabilità dovuta alla possibilità per il capitale di autovalorizzarsi utilizzando gli enormi spazi materiali che si erano creati, inclusa la Cina, e lo sviluppo delle forze produttive causato da scienza e tecnologia e dal forte ridimensionamento della lotta di classe, dal basso, a livello internazionale.

Questa condizione “virtuosa” si è protratta fino alla crisi finanziaria del 2007/2008, anche se è stata preceduta da altri momenti di caduta per la finanza, segnando una prima modifica della linea di crescita, curvandosi verso un andamento più “piatto”; e nel decennio passato questa tendenza si è ulteriormente accentuata.

Questa stato delle cose, caratterizzato da una crisi latente, però non ha rimesso in discussione l’egemonia statunitense e gli equilibri internazionali, ma ha fatto crescere competitori potenziali portando di fatto ad uno stallo dei rapporti di forza internazionali.

Va chiarito che per “rapporti di forza” non intendiamo eminentemente quelli militari ma, oltre ovviamente a questi, intendiamo anche quelli economici, sociali, ideologici, etc, cioè dello sviluppo complessivo dei diversi soggetti in campo.

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linterferenza

L’Occidente totalitario getta la maschera

di Norberto Fragiacomo

usa gaffe del presidenteSe gettano la maschera non è per sbadataggine, né per imperizia o imprudenza: le “grandi firme” nostrane sono agitprop che sanno il fatto loro e conoscono benissimo il mestiere – quello di propagandista dei presunti valori occidentali s’intende, perché il giornalismo libero è tutt’altra cosa, ed è comunque una specie in via di estinzione.

Ormai sui quotidiani di regime (cioè tutti, eccezion fatta per La Verità e Il Fatto Quotidiano, su cui residuano spazi di riflessione e dibattito) si dà per scontato e pienamente accettabile che la guerra in corso, dapprincipio presentataci come “difensiva”, sia un’operazione NATO per interposta Ucraina, e il 28 aprile, durante la trasmissione Otto e Mezzo, Massimo Franco ha seraficamente affermato che anche se la Russia fosse effettivamente caduta in una trappola tesale dagli americani  (vale a dire: anche ammesso che sia stata indotta/forzata ad attaccare l’Ucraina) giudizi e valutazioni non cambierebbero. Può farmi piacere che un “saggista di fama, membro dell’International Institute for Strategic Studies di Londra (IISS)”, definito “un istituto di ricerca britannico (o think tank) nel campo degli affari internazionali” da Wikipedia, confermi quanto ho scritto in alcuni pezzi per l’interferenza a partire da fine febbraio, ma mi domando cosa motivi questo soprassalto di sincerità. Quando, il 25 febbraio scorso, azzardai che “In questa vicenda sin dall’inizio Joe Biden e i suoi “diplomatici” hanno alimentato le tensioni soffiando quotidianamente sul fuoco: non puntavano a un accordo, ma a provocare l’antagonista spingendolo a un’umiliante resa o a gesti inconsulti. Messo all’angolo dall’intransigenza statunitense Vladimir Putin ha soppesato le poche opzioni sul tavolo, propendendo infine per l’attacco militare – scelta dolorosa e gravida di pericoli anzitutto per la Russia.

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carmilla

Il nuovo disordine mondiale / 9: la guerra nell’era del totalitarismo neoliberale

di Gioacchino Toni

hh11hh11uu11uu«Quel Novecento che aveva visto il susseguirsi di guerre mondiali e totalitarismi, lo spreco incommensurabile di un’inutile corsa agli armamenti, il proliferare di autoritarismi e rivoluzioni fallite, con l’happy ending del “trionfo della democrazia”, aveva creato l’illusione che l’umanità e i governi che pretendono di rappresentarla potessero dimostrare, anche grazie agli straordinari progressi tecnologici e all’immensa ricchezza circolante, una maggiore capacità di costruire la pace, per non ripetere gli errori tragici del passato. E invece tutto ciò che la mia generazione è riuscita a fare è stato trasmettere ai propri figli soltanto una diversa civiltà della guerra»
Fabio Armao

Nel recente volume di Fabio Armao, La società autoimmune. Diario di un politologo (Meltemi 2022), viene analizzata l’ingarbugliata trama del potere che contraddistingue la contemporaneità: un “totalitarismo neoliberale” che, al di là delle differenti sembianze che assume – mafie, gang, neofascismo, finanza underground, capitalismo clientelare, femminicidio, ecocidio e persino, come si vedrà, privatizzazione della guerra – ha, secondo l’autore, nella rinascita del clan la struttura di riferimento del sistema sociale.

Tale convincimento, attorno a cui ruota il volume, si inserisce all’interno di una più generale riflessione a cui Armao ha dedicato due suoi precedenti testi: L’età dell’oikocrazia (Meltemi, 2020) [su Carmilla] e Le reti del potere (Meltemi, 2020). Secondo lo studioso la struttura del clan, in grado com’è di interporsi tra individui e istituzioni e di mediare tra locale e globale, risulterebbe particolarmente adatta alla gestione della globalizzazione neoliberale nel suo imporre gli interessi economici privati sull’interesse politico pubblico. Si tratterebbe dunque di una “oikocrazia”1 assurta a modello universale capace di adattarsi sia alle esigenze dei regimi democratici che a quelle delle autocrazie.

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carmilla

Il nuovo disordine mondiale / 8: mai più per un pugno di conchiglie

di Sandro Moiso

colpisci“La situazione internazionale ha subito nuovi e importanti cambiamenti, il tema della pace e dello sviluppo sta affrontando gravi sfide e il mondo non è pacifico” (Xi Jinping a Joe Biden durante la conferenza sulla crisi in Ucraina del 18 marzo 2022)

Alla fine del XIX secolo, ai tempi della «corsa verso l’Africa», l’oro africano alimentava da almeno mille anni le economie europee e del mondo islamico, mentre fin dal XV secolo i suoi regni, alquanto evoluti e sofisticati, commerciavano con gli europei lungo le coste atlantiche, dal Senegal all’Angola. Almeno fino alla metà del Seicento fu un commercio tra eguali, basato su diverse valute. Soprattutto conchiglie importate dalle Maldive e dal Brasile.

Nel corso del tempo, le relazioni tra Africa ed Europa si incentrarono sempre di più sul commercio degli schiavi, danneggiando il relativo potere politico ed economico dell’Africa, mentre i valori di scambio monetario si spostarono drasticamente a vantaggio dell’Europa.

Questo, almeno, è quanto raccontato e analizzato da Toby Green, Senior Lecturer di Storia e cultura lusofona africana presso il King’s College di Londra, in un testo molto importante e sicuramente destinato a diventare di riferimento per quanto riguarda la storiografia sul colonialismo1.

Se l’imposizione di un sistema monetario basato sul denaro, come feticcio e valore equivalente per gli scambi commerciali, si rivelò decisivo per lo sviluppo degli scambi avviati dalla prima grande globalizzazione coloniale e capitalistica, oggi l’assoluta e trionfale diffusione del sistema su cui si fondò l’accumulazione primitiva e l’instaurazione di un autentico regime di rapina, basato sullo scambio ineguale, causa, sia al cuore che alla periferia dell’impero occidentale, sconvolgimenti pari soltanto a quelli che la rapida diffusione della rete e dei social ha causato al sistema di informazione e disinformazione mediatica, politica e militare operativo tra gli Stati e tra i governi di questi e i loro cittadini2.

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resistenzealnanomondo

Il Great Reset fase 2: Guerra

di winteroak – da un inviato speciale

gs beijingMentre la pandemia ha acclimatato il mondo al lockdown, normalizzato l’accettazione di farmaci sperimentali, accelerato il più grande trasferimento di ricchezza alle multinazionali decimando le PMI e adattato la memoria muscolare delle operazioni della forza lavoro in preparazione per un futuro cibernetico, è stato necessario un vettore aggiuntivo per accelerare il collasso economico prima che le nazioni possano “ ricostruire meglio “.

Di seguito presento diversi modi in cui l’attuale conflitto tra Russia e Ucraina è il prossimo catalizzatore dell’agenda Great Reset del World Economic Forum , facilitato da una rete interconnessa di stakeholder globali e da una rete diffusa di partenariati pubblico-privato.

 

1. La guerra tra Russia e Ucraina sta già provocando un’interruzione senza precedenti delle catene di approvvigionamento globali, esacerbando la carenza di carburante e inducendo livelli cronici di inflazione.

Mentre le tensioni geopolitiche si trasformano in un conflitto prolungato tra la NATO e l’asse sino-russo, una seconda contrazione potrebbe far precipitare l’economia nella stagflazione .

Negli anni a venire, la combinazione di crescita inferiore alla media e inflazione incontrollata costringerà una sottoclasse economica globale a contratti di micro-lavoro e posti di lavoro a basso salario in una gig economy emergente.

Un’altra recessione aggraverà la sete di risorse globali, restringerà la portata dell’autosufficienza e aumenterà significativamente la dipendenza dai sussidi governativi.

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effimera

Produzione-distruzione-guerra. Il trittico mortale del capitalismo

di Giorgio Griziotti

Recensione del libro di Maurizio Lazzarato:

L’intollerabile presente, l’urgenza della rivoluzione. Classi e minoranze, ombre corte, Verona 2022

L’intolérable du présent, l’urgence de la révolution. Minorités et classes, Eterotopia France, Paris 2022 (edizione francese, uscita in gennaio)

lazzarato84L’attualità della grave guerra scoppiata in piena Europa proprio mentre stavo scrivendo questa nota ha acceso il led per la comprensione dell’ultimo capitolo del libro di Maurizio Lazzarato pubblicato recentemente per i tipi di Ombre Corte. C’è da dire che l’insistenza dell’autore sul concetto di guerra come chiave di lettura del capitalismo sin dalla Prima Guerra mondiale, non mi aveva completamente convinto. In fondo le guerre non solo sono sempre esistite ma secondo gli etologi pare che gli umani abbiano ereditato questa propensione da certi primati che arrivano a combattersi mortalmente per la conquista del territorio vitale.

L’originalità della tesi sul concetto di guerra, esposta da Lazzarato già nel passato[1], sta proprio nel fatto che “il capitalismo è contemporaneamente un modo di produzione e un modo di distruzione e autodistruzione…. e che la guerra mostra l’enorme produttività di questa macchina integrata” come sostenuto da Keynes quando “affermava che solo la guerra poteva verificare la pertinenza del suo sistema economico, dal momento che essa spinge al limite le capacità produttive.” (Pag. 231). Questa enorme produttività è finalizzata alla distruzione e quando la macchina capitalista gira a pieno regime porta alla catastrofe.

“Invece di celebrare Schumpeter e la sua nota formula della ‘distruzione creatrice’, bisognerebbe considerare che essa sta portando all’autodistruzione dell’umanità (e di parte delle altre specie)” tramite ogni sorta di guerra compresa ovviamente quella alla biosfera mentre il “marxismo non ha saputo analizzare le rotture operate dalle guerre, proprio perché [anche lui è] ossessionato dalla produzione.” Pag. 233)

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sollevazione2

La posta in gioco

di Leonardo Mazzei

crisi ucraina linkiestaLa propaganda è assordante, la ragione è oscurata. Inutile soffermarsi sui mille esempi che ce lo dimostrano. Basta accendere la tv, sfogliare qualsivoglia giornale, per averne la riprova in ogni minuto di queste tetre giornate di guerra.

Inutile, seppur doveroso, anche il mostrare l’ipocrisia ed il doppiopesismo della politica e dei media occidentali. In Ucraina muoiono civili e bambini, nelle guerre americane che hanno insanguinato il primo ventennio del secolo invece no. Ma su questo rimandiamo al bell’articolo scritto in proposito da Franco Cardini.

C’è tuttavia un’infamia che le supera tutte, l’attribuzione delle ragioni del conflitto alla presunta malvagità – peggio, alla “pazzia” – di un uomo. Questo modo di presentare le cose ha tanti scopi: criminalizzare l’avversario, rendere nei fatti impossibile qualunque trattativa, preparare il mondo ad un’escalation per mettere in ginocchio la Russia.

Già, l’escalation… A leggere i giornaloni essa sembrerebbe il frutto della supposta avventatezza di Putin. Ma è così? Un gongolante Edward Luttwak, il dottor Stranamore più noto delle nostre tv, ha affermato entusiasticamente il contrario: «C’è un’escalation, ma l’escalation è dal lato occidentale». Difficile non essere d’accordo.

E’ chiaro che siamo entrati in una partita mortale, uno scontro che non ammette vie di fuga, alla fine del quale ci sarà un vincitore ed un vinto, ma ci sarà soprattutto un quadro internazionale profondamente diverso da quello precedente alla crisi ucraina.

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lacausadellecose

Il caos capitalistico riflesso in Ucraina

di Michele Castaldo

Ivan Vladimirov escort of prisonersI fatti di questi giorni non sono un fulmine a ciel sereno, Putin avrebbe perso all’improvviso i lumi della ragione e ha deciso di scatenare la guerra contro l’Ucraina, come si tenta di far credere, oppure per la sete espansionistica che mirerebbe a restaurare il vecchio impero zarista. Le cose sono molto più semplici e molto più complicate al tempo stesso.

Che si cerca di accerchiare la Russia attraverso la Nato fino ai confini ucraini, dovremmo ricordare che ci sono stati accordi firmati dalle potenze occidentali con la Russia all’indomani dell’implosione dell’Urss. E in quegli accordi si stabiliva che la Nato non avrebbe dovuto raggiungere i confini con la Russia, e in modo particolare attraverso l’Ucraina. Accordi, scritti e firmati, non chiacchiere. Dopodiché la Nato, ovvero gli Usa e le maggiori potenze economiche europee hanno risucchiato uno a uno tutti i paesi che si erano liberati dall’orbita sovietica, in modo particolare a Est, ma anche a Nord. E la Russia ha subito.

Vogliamo essere oltremodo chiari: le repubbliche che si sono liberate dall’influenza della ex Urss non lo hanno fatto esclusivamente su ordine dei comandi occidentali, lo hanno fatto anche perché attratti dalle luci scintillanti dell’Occidente. Dunque le Repubbliche baltiche, la Polonia, la stessa Ucraina, la Romania, l’Ungheria abbandonarono una nave ritenuta ormai in via di affondamento, e per aspirare a uno sviluppo autoctono della propria economia incominciarono a occhieggiare con l’Occidente e l’Occidente accolse volentieri nel suo seno nuove possibilità di mercato e un nuovo proletariato da sfruttare. Altrimenti detto: nuova linfa per rilanciare l’insieme del modo di produzione capitalistico che mostrava qualche affanno proprio lì nel suo cuore pulsante.

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marxismoggi

Ucraina: guerra “locale” e crisi mondiale

di Osvaldo Coggiola*

755fd09c7f44132d3ded7d2204c4397a kpFH U33201820337414MQH 656x492Corriere Web SezioniQuella in corso è una guerra per riconfigurare la politica internazionale di un mondo capitalista in crisi e decadenza.

La guerra in Ucraina è l’espressione del trasferimento della crisi mondiale dal terreno economico e politico a quello bellico, e avrà ripercussioni nel mondo intero, anche militari, a cui nessun paese potrà sottrarsi, e da cui nessuna forza politica potrà lavarsene le mani, dichiarandosi neutrale o difendendo una posizione “equidistante”. Sebbene la Russia appaia come l’“aggressore”, il clima politico della guerra è stato accuratamente preparato dai principali media occidentali, premendo sui rispettivi governi, al punto in cui un ricercatore australiano ha concluso, alla vigilia del 24 febbraio, che “il progetto per un’invasione sembra essere già stato scritto, e non precisamente dalla penna del leader russo. I pezzi sono tutti al loro posto: l’ipotesi dell’invasione, la promessa attuazione delle sanzioni e limiti nell’ottenimento di finanziamenti, oltre a una decisa condanna”.

Poco o niente è stato detto da parte dei principali media occidentali sul fatto di come si è espansa l’alleanza sotto la sigla della NATO, dopo lo scioglimento e dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, espansione avvenuta ogni volta in modo più minaccioso per la Federazione Russa, quale principale stato succeduto all’ex federazione di nazioni che costituivano l’URSS.

Gli stessi Usa che puntano all’estensione della NATO fino agli stessi confini della Russia, mirando, dietro pressioni e ricatti militari, alla penetrazione dei propri capitali in tutto il territorio ex sovietico, hanno annunciato poco prima una forte ripresa della propria crescita economica simultaneamente al maggior bilancio militare della propria storia, due fatti che sono intimamente connessi.

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paneerose

Lo shock pandemico accelera la tendenza capitalistica alla concentrazione e all'espropriazione

di Partito comunista internazionale

Ci è stato segnalato questo ampio contributo apparso su “il programma comunista”, n.3, maggio-giugno 2021. Ritenendolo utile ai fini del dibattito, lo pubblichiamo

Jappe1) Emergenza permanente

La “pandemia” da Covid è senz'altro uno di quegli eventi che determinano delle svolte, non solo come emergenza sanitaria, ma come avvio di una nuova emergenza più generale e indeterminata nel tempo, elevata a metodo di gestione politica dell'emergenza sociale ed economica.

La portata dell'evento, per le ricadute che sta generando, è paragonabile a quello che, ad inizio millennio, ha dato il via alla lunga stagione della “guerra al terrorismo” di matrice islamica, di cui ancora oggi si patiscono i postumi. Se è vero che quella guerra non è servita, com'era nelle intenzioni di chi l'ha scatenata, a riaffermare il ruolo degli Stai Uniti come unica potenza mondiale e a interromperne il declino, oggi che gli attentati si vanno riducendo per portata e frequenza rimane intatta la legislazione emergenziale che si è instaurata un po' ovunque, a cominciare dal Patriot Act negli Stati Uniti. Come l'attentato alle Torri Gemelle – i cui risvolti rimangono per molti aspetti tutt'altro che chiari – generò a suo tempo delle conseguenze planetarie, altrettanto accade con l'insorgenza Covid, le cui ripercussioni sembrano però estendersi ben oltre l'indirizzo securitario e guerrafondaio che seguì all'11 settembre, e assumere una valenza più generale e un'incidenza più profonda. Non siamo in grado di affermare quale sia stata l'effettiva origine di eventi così straordinari, accomunati dalla manifesta, clamorosa inefficienza degli organismi civili e militari preposti alla prevenzione e al contrasto di simili catastrofi, organismi per altro forti di una potentissima dotazione di mezzi di previsione e intervento. Tuttavia, anche accettando le versioni ufficiali, non v'è dubbio che quegli eventi abbiano avviato una azione generale di contenimento e soluzione delle contraddizioni capitalistiche. Come dopo l'11 settembre, anche l'emergenza pandemica ha portato all'introduzione di elementi propri di una situazione di guerra.

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operaviva

Resistere alla barbarie

Gaia secondo Isabelle Stengers

di Francesco Demitry

Claire Fontaine Untitled Nuclear Family 2013 1 1628x1375Questo libro, tradotto da Nicola Manghi e pubblicato dalla casa editrice Rosenberg&Sellier, Nel tempo delle Catastrofi. Resistere alla barbarie a venire, è ricchissimo di spunti e attraversa in circa centosettanta pagine alcune delle principali problematiche poste dall’autrice, Isabelle Stengers, nei suoi scritti. Nel tentativo di recensire questo testo ho cercato di connetterne alcuni passaggi con altri testi di Stengers, così da aprire ad altri rimandi e indicare possibili strade da percorrere.

Vorrei cominciare allora da una problematica, quella della Natura, affrontata e sviluppata continuamente dall’autrice, anche e soprattutto in rapporto con la scienza. Nel 1979 Ilya Prigogine e Isabelle Stengers scrivono La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, riprendendo, tra gli altri, Nietzsche contro l’approccio scientifico che aveva tentato di ridurre la natura all’impotenza: una scienza che si era accorta della potenza della natura «creatrice e distruttrice» e che aveva provato a «soffocarne i ruggiti»; una scienza che prova a far tacere le forze sotto il «segno dell’equivalenza» ma che deve fare i conti con le «differenze» che, come effetto, producono altre «differenze». E proprio da qua ripartono gli autori, scrivendo che:

Questa convinzione che la natura non sia un sistema ordinato, ma l’eterno dispiegarsi di una potenza produttrice di effetti antagonisti, contrapposti in una lotta per la supremazia e il dominio, ha certamente radici e risonanze filosofiche; tuttavia nulla ci vieta d’udirvi anche il rumore delle macchine; non degli apparecchi da laboratorio, ma delle macchine industriali che, in meno di un secolo, avevano prodotto effetti incommensurabili con quelli delle macchine semplici, le ispiratrici della scienza classica, mosse soltanto dall’acqua, dal vento e dal lavoro animale od umano1.

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neronot

Un concerto di cigni starnazzanti (e neri)

di Franco Bifo Berardi

Crisi russo-ucraina, declino USA, depressione, eventi impensabili: a che serve l’ottimismo quando la prospettiva è il caos?

bifo cignoStento a crederci. Forse c’è qualcosa che non funziona più bene nella mia testa: quel che accade non riesco a spiegarmelo.

In Italia non se ne parla neanche, siamo impegnati a eleggere l’uomo della Goldmann Sachs oppure un altro chissenefrega. Ma quello che sta accadendo alla frontiera orientale del continente è la situazione più prossima alla guerra atomica che io abbia visto in vita mia. Avevo undici anni ai tempi della crisi dei missili per Cuba, e ricordo che non si parlava d’altro. Oggi nessuno parla più con nessuno, zitti e Mosca. A proposito, ricapitoliamo i fatti.

Quando Biden parlò alla nazione in agosto, quando disse “war in Afghanistan is over” mentre i suoi collaboratori afghani si accalcavano all’aeroporto, rincorrevano gli aerei in partenza, si attaccavano alle ali e cadevano giù da mille metri di altezza, pensai: quest’uomo è finito, ma il problema è che gli Stati Uniti d’America saranno ora costretti a fare i conti con se stessi.

Dopo due catastrofiche guerre concluse in modo ignominioso, con l’Iraq trasformato in terreno di guerra perenne, consegnato in parte all’arcinemico iraniano, e l’Afghanistan restituito ai talebani, pensavo che il ceto dirigente americano avrebbe preso per lo meno una pausa di riflessione.

Per qualche ragione che fatico a capire, Biden ha invece pensato che, perdute due guerre regionali contro nemici militarmente primitivi, il solo modo per ristabilire l’onore dell’America e per recuperare l’appoggio del suo popolo che si prepara a nuove elezioni, era lanciare una guerra contro un regime granitico nel suo nazionalismo, e dotato di un arsenale atomico che può annientare il genere umano.

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theunconditional

Pandemia e strategia economica: una trama inestricabile

di Alastair Crooke

Benedetto Cristofani handelsblatt corona bull cristofaniTre anni fa, parlando degli sforzi per far rientrare in patria dall’Asia i posti di lavoro persi dai colletti blu americani, avevo detto ad un professore americano dell’US Army War College di Washington che questi posti di lavoro non sarebbero mai ritornati. Erano perduti per sempre.

Il professore aveva replicato che era proprio così, ma che ero io a non capire il punto. L’America non si aspettava, né voleva, che ritornasse in patria la maggior parte di quei banali posti di lavoro dell’industria manifatturiera. Avrebbero dovuto rimanere in Asia. Le élite, aveva continuato, volevano solo i posti di comando del settore tecnologico. Volevano la proprietà intellettuale, i protocolli, le metriche, il quadro normativo che avrebbe permesso all’America di caratterizzarsi ed espandersi nei prossimi due decenni di evoluzione tecnologica globale.

Il vero dilemma però, secondo lui, era: “Cosa bisognerebbe fare di quel 20% della forza lavoro americana che non sarà più necessaria, che non servirà più per il funzionamento di un’economia a base tecnologica?”

In effetti, quello che il professore aveva sottolineato era solo uno dei tanti aspetti di un dilemma economico fondamentale. Negli anni settanta e ottanta le aziende statunitensi si erano impegnate a delocalizzare in Asia il costo del lavoro. In parte per tagliare le spese e aumentare la redditività (e così era stato) ma anche per una motivazione più profonda.

Gli Stati Uniti sono sempre stati un impero espansionistico, sempre alla ricerca di nuove terre, di nuovi popoli e delle loro risorse umane e materiali da sfruttare. Il movimento in avanti, la continua espansione militare, commerciale e culturale è la linfa vitale di Wall Street e della sua politica estera.

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neronot

Rassegnatevi / 3

L’indignazione fa male alla salute, la volontà non può nulla. E allora? Passivismo unica via!

di Franco «Bifo» Berardi

BIFO COVER 5Indignatevi! è il titolo di un libro di Stéphane Hessel (2010) che ebbe una certa influenza negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008, quando il movimento Occupy tentò di opporsi all’arroganza del ceto dominante e all’impoverimento che venne imposto alla società per ripagare il debito delle banche.

Ci indignammo in gran numero e marciammo nelle vie di New York, di Genova, del Cairo e di Hong Kong, ma l’automa finanziario prevalse, e la logica degli algoritmi costrinse i lavoratori a rinunciare a ogni residuo governo politico sulle vicende dell’economia. 

L’estate greca del 2015 fu il momento culminante dell’indignazione, ma anche dell’impotenza: il 62% degli elettori disse No alle ingiunzioni della finanza centrale europea, ma due giorni dopo Alexis Tsipras fu costretto a firmare l’imposizione depredatrice, e a quel punto tutti capimmo che la democrazia era finita proprio dove 25 secoli fa l’avevano inventata.

Da allora abbiamo continuato a indignarci, ma l’indignazione impotente fa male alla salute. E la salute della società è andata di male in peggio, soprattutto quella mentale. 

So che non è possibile liberarsi della rabbia con un gesto di volontà, ma è utile sapere che da decenni l’equilibrio mentale della popolazione è corroso dal combinato disposto di indignazione per l’intollerabile, e inesorabilità dell’impoverimento e dell’umiliazione prescritti dalla logica degli algoritmi finanziari. 

Poiché la volontà non può nulla contro un sistema di automatismi astratti, è utile elaborare la rabbia perché evolva in estraneità e quindi autonomia.

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finimondo

Il dado è tratto

di Avis de tempêtes

riscaldamento globale terra AdobeStock 170021331 kIxH 835x437IlSole24Ore WebIl mondo accelera. Ciò che resiste si fa calpestare dal gran balzo in avanti. Se diventa ogni giorno più evidente che il cambiamento climatico è diventato irreversibile, la pressione nelle caldaie dello scafo infernale di questa civiltà-Titanic aumenta, alimentata dall'illusione che un crescendo tecnico possa ripristinare gli equilibri turbati. Da parte dei ribelli, si tarda ancora troppo ad affrontare questa realtà ed a trarne le debite conseguenze, magari provvisorie, per il nostro agire e le nostre prospettive di lotta. Tuttavia i giochi sono fatti ed è a partire da qui che dovremmo riflettere.

 

Troppo tardi

Se mai è esistita una qualche possibilità di far deviare il treno dall'espansione industriale attraverso una decisione politica del gestore della rete per invertire, o perlomeno rallentare il processo del cambiamento (una convinzione illusoria, dato che la sopravvivenza della mega-macchina non può essere disgiunta dalla crescita produttiva), essa si trova ormai alle nostre spalle. Nessuna misura, per quanto totalitaria o faraonica, potrà disinnescare questo processo già molto avanzato. Il cambiamento climatico è un fatto; la sola cosa che resta aperta alla speculazione (e qualsiasi approccio scientifico che pretenda di elaborare un modello preciso e globale del fenomeno non può che rimanere cieco — una deformazione professionale, probabilmente — davanti all’assoluta impossibilità di prevedere un fenomeno di tale ampiezza, di tale grandezza, da fattori tanto vari quanto ignoti), è il suo ritmo, le sue conseguenze immediate e, a medio termine, ciò che accadrà dopo il tracollo degli eco-sistemi locali.